Il nuovo ruolo delle imprese
Non solo fornire prodotti, ma assumere un ruolo diverso, una "responsabilità sociale": questo il nuovo percorso che le aziende devono seguire, sviluppando la relazionalità con il mercato attuale e potenziale.
di Remo Lucchi, presidente dell'Advisory board di Eumetra Mr
Premessa
Stiamo attraversando un periodo di grande evoluzione sociale, come mai era accaduto. E le ipotesi, peraltro, fanno intravedere per il futuro un’ulteriore velocità evolutiva. Evoluzione problematica, se non si fa attenzione. Cambiano i protagonisti, cambiano le attese.
Tutto ciò ha un elevato riflesso sulle imprese. Si sta creando una crescente attesa per un ruolo sociale delle imprese più ampio e articolato, che certamente va oltre i classici obiettivi di fornire beni/prodotti/servizi.
In breve analizziamo le cause innescanti, e le conseguenze sociali, per poi soffermarci sul ruolo delle imprese.
Gli accadimenti
A monte della pandemia e dell’Ucraina, che hanno comunque creato ulteriore tensione, si è sviluppata negli ultimi anni una fenomenologia nuova, della quale abbiamo già parlato più volte in altre circostanze, ma che vale la pena di riprendere, stante la sua rilevanza (nel senso che non era mai accaduta nella storia).
Veniamo da un’epoca storica che è sempre stata caratterizzata da una società composta da una piccolissima parte elitaria che ha sempre gestito tutte le forme di potere, e da una grande maggioranza di “masse incolte”, senza alcuna aspirazione di protagonismo sociale.
Unico obiettivo di queste masse: un po’ di denaro. Non esistevano individualità. Soprattutto chi aveva poco denaro riteneva che l’unica forza praticabile fosse quella prodotta dall’unione, e che la traduzione in ambito politico fosse la condivisione; quindi, non individualità, ma società egualitaria, comunismo.
Ma negli ultimi 20 anni è successo qualcosa che ai più è sfuggito. Le nuove generazioni sono entrate nell’adultità con una cultura completamente diversa. Mai era avvenuto. Di certo non hanno completato gli studi, ma arrivando – quasi tutti – a una maturità, hanno acquisito una propria “individualità”. Non più masse: ciascuno era un “individuo”, con una propria decorosa capacità critica.
Ma contemporaneamente alcune fenomenologie si sono intrecciate, creando problemi complessi, in conseguenza di un obiettivo che è clamorosamente saltato.
Vediamo la sequenza, in breve:
- L’aver studiato – pur in modo non completo – ha innescato un desiderio di protagonismo sociale come non era mai avvenuto in passato. Desiderio di orizzontalità, di inclusione, di partecipazione.
- Non ci si rendeva conto che – per questi obiettivi – la formazione non avrebbe dovuto essere interrotta, e che una maturità non era sufficiente[1]. Le attese di protagonismo individuale erano rimaste molto elevate.
- Ma la globalizzazione e le varie crisi finanziarie che si sono succedute hanno impedito a queste nuove generazioni di partecipare. Sono cadute in un precariato complesso, con difficoltà spesso crescenti. Stante però le illusioni che si erano fatte, questa precarietà non è stata subìta in modo rassegnato, come avveniva in passato, ma con arrabbiature e tensioni crescenti.
- Da qui nasce il desiderio di difendere la propria individualità, di avere comunque diritti partecipativi, che ha poi provocato fenomenologie di nazionalismo, contrapposizione, populismo, con una posizione politica opposta a quella delle generazioni precedenti (prima c’erano le comunità, adesso ci sono i singoli individui).
- Il tema è molto complesso, perché fra i vari guai, questa fenomenologia riduce anche la sensibilità al tema della sostenibilità; pericolo che deve essere assolutamente evitato. D’altra parte è “comprensibile”, quasi come un fatto naturale: se la gente non sta bene si pone innanzitutto l’obiettivo di un benessere personale al più presto. Il tema della sostenibilità, cioè del benessere futuro di chi verrà, per loro non ha di certo la priorità.
Le soluzioni auspicate
La situazione descritta, caratterizzata da contrapposizioni crescenti, si ritiene che debba essere ovviamente affrontata. La soluzione di questi problemi auspica aiuti, logiche di relazionalità ed alleanza, e non contrapposizioni.
Non c’è grande speranza che lo Stato, e i Governi che si succedono con velocità impressionante, abbiano in progetto di proporre soluzioni: in 75 anni - dal varo della Costituzione a oggi - si sono succeduti circa 70 Governi. L’ipotesi che viene fatta è che il tutto sia condizionato da convenienze di parte, e che il progetto di sviluppare un obiettivo di medio-lungo periodo per il Paese non esista, cioè non faccia parte della nostra cultura politica.
La soluzione che si va sempre più delineando è l’affidamento al sistema economico, pur in una più ampia logica evolutiva. La credibilità basica si innesta sul fatto che tutti noi riusciamo a vivere perché esiste il sistema economico, che ci offre beni-prodotti-servizi-lavoro e denaro.
Sta maturando tuttavia un’ulteriore richiesta. Mentre si dà ormai per scontato che le imprese sviluppino la propria attività in modo sostanzialmente serio, si ritiene che il loro obiettivo debba sempre di più prendere in considerazione anche lo sviluppo della relazionalità con il proprio mercato attuale e potenziale: cioè non solo fornire prodotti, ma assumersi sempre di più il ruolo di proporre anche altro, inscrivibile nell’assunzione di responsabilità sociale.
Cioè investire sulla gente, aiutandola in vario modo a stare meglio. Si tratterebbe, peraltro, non di un costo, ma di un investimento: tanto più si agisce nel modo più auspicabile, tanto più si avranno interessanti ritorni.
La logica è molto semplice. Gli individui hanno – come abbiamo visto – una capacità critica crescente, si sentono sempre meno dipendenti anche dalle imprese, pretendono una vera orizzontalità. Vogliono considerare l’impresa come una partner a tutti gli effetti, con la quale scambiare. E stante il fatto che i vari prodotti delle varie aziende sono e saranno sempre più di analogo valore, la scelta si sposterà sempre di più verso il senso valoriale dell’Impresa, cioè verso la sua capacità di essere un “interlocutore di vita” interessante.
In questa prospettiva si presume che il ruolo sociale dell’impresa sarà sempre più importante, così come sarà sempre più importante il suo attivismo comunicazionale. La comunicazione è relazione, che è la componente basica della vita. E la gente vuole vivere.
Le priorità delle imprese
Sono varie le aree di impegno sociale richieste alle Imprese. Possono essere riassunte in tre grandi ambiti:
- Grande attenzione all’ambiente;
- Forte attenzione ai problemi sociali del territorio in cui opera, assumendosi anche responsabilità sociali, offrendo contributi di varia natura;
- Forte investimento sui lavoratori, per la loro crescita come individui, e creando competenze, innanzitutto per il loro personale benessere, ma anche per i ritorni a favore dell’impresa.
Il primo ambito – ambiente – lo si dà per scontato.
Sul secondo tema – assunzione di responsabilità sociale – ne abbiamo già fatto cenno, anche se è un tema non di facile soluzione, stante la diversità delle attese dei vari segmenti di pubblico. È un argomento da studiare con attenzione – in dipendenza anche del proprio posizionamento attuale e prospettico –, senza che le difficoltà inducano a rinviare.
Soffermiamoci invece sul terzo ambito – quello degli investimenti sui lavoratori. È forse quello più importante, tenendo conto dei problemi sociali di cui si è parlato, e presuppone una fondamentale attenzione per il well-being, in particolare per il work-life balance, con anche forte attenzione alla formazione dei dipendenti, per il loro Benessere, sia personale che professionale.
Il benessere – come prima si accennava – è un tema fondamentale, per evitare contrapposizioni alla sostenibilità. E il ruolo delle imprese è sempre più fondamentale, stante il fatto che nessun altro ha in progetto interventi per far crescere gli individui.
E la crescita della persona – sia come individuo, che come professionista – rappresenta da tutti i punti di vista il vero grande obiettivo:
- Migliora l’Impresa, avendo un doppio ritorno, sia per la migliore professionalità dei lavoratori, sia per la gratitudine dei lavoratori, che hanno goduto dell’investimento su di loro, e gli impliciti ritorni;
- Migliora anche il contesto sociale, perché gli individui che lo compongono sono più felici e meno dediti alle contrapposizioni. Si innescano i valori della relazionalità positiva, che producono vita felice.
E vita felice – il benessere individuale – come si è detto è la condizione basica perché tutti gli individui si debbano sentire portatori della sostenibilità, che è il grande obiettivo: che la vita sia felice anche in futuro, per sé e per chi verrà.
Ribadiamo: se non si ha benessere attuale, non ci può essere investimento sul futuro. Le ricerche sociali lo confermano: chi non è felice, non vuole sentire parlare di sostenibilità.
Quindi il Benessere attuale è il vero investimento sul futuro.
In tutto questo ragionamento, la relazionalità positiva è il metodo fondamentale, e il vero grande supporto della relazionalità è la comunicazione: senza comunicazione non si crea relazionalità.
In definitiva, senza l’impresa e le sue attività di well-being, relazionali e comunicazionali, non ci può essere un futuro felice. Quindi “L‘impresa è il vero motore della felicità”.
[1] Nessuna colpa per questa interruzione degli studi: mancanza di risorse, e incapacità da parte del potere pubblico di capire che le giovani generazioni sono l’unica vera ricchezza che ha il Paese per il suo futuro, e che su di esse bisogna fare il massimo investimento. Se la famiglia non è in grado, lo Stato deve trovare soluzioni.