Giovannini al Festival del Futuro: “Dobbiamo essere utopici”
Resilienza trasformativa, preparazione agli shock, futuro e progresso come pilastri dello Stato: questi gli ingredienti, secondo l’ex ministro, per evitare gli scenari peggiori dei prossimi anni.
di Flavio Natale
“Come ha detto il segretario generale dell’Onu António Guterres, siamo di fronte al rischio del collasso del nostro sistema. Noi vogliamo evitare questo scenario, e le discussioni di oggi sono orientate a capire come evitare che questo disordine si concretizzi”. Così Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili del Governo Draghi, è intervenuto in apertura del Festival del Futuro, la tre giorni organizzata dal Gruppo editoriale Athesis, Harvard business review Italia ed Eccellenza d’impresa per mettere a confronto esperti di fama internazionale sui grandi temi che caratterizzeranno il domani del nostro pianeta.
Ma se la sfida è evitare lo scenario peggiore, come si può evitare che questo si realizzi?
L'intervento di Enrico Giovannini dal minuto 40:00
Giovannini elenca quattro possibili strade che l’umanità potrebbe percorrere nel futuro. La prima è “quella di continuare a dire che ce la faremo”, e seguire le stesse politiche di oggi (business as usual), sperando che la situazione non peggiori. “La seconda visione è quella di un futuro distopico, in cui avverrà effettivamente un disastro” e in cui gli unici a potersi garantire la sopravvivenza saranno i ceti benestanti, come i “ricchi della Silicon Valley”. La terza opzione, prosegue l’ex ministro, è applicare una “visione retrotopica” (termine coniato da Zygmunt Bauman): se la realtà globalizzata diventa troppo complessa, veloce e frammentaria, alcune persone sentono il bisogno di tornare indietro (una retrotopia, per l’appunto) a un passato solo “apparentemente” più sicuro. Cosa ci resta, dunque?
“La quarta visione, quella utopica” ha dichiarato Giovannini, che consiste nella possibilità di invertire i trend negativi che già esistono, e convertirli in trend positivi. “Dobbiamo essere utopici. Non sognare qualcosa di impossibile, ma provare a costruire qualcosa di diverso dagli altri scenari, un futuro migliore”.
L’ex ministro ha poi proseguito portando come esempio virtuoso l’Europa, e il suo tentativo “storico” nello sviluppo dell’umanità: costruire un’integrazione politica, economica e sociale con strumenti di pace. “Gli altri Stati sovranazionali l’hanno fatto con la guerra”, ha ricordato Giovannini, che ha sottolineato l’importanza di “costruire un approccio politico che riconosca le vulnerabilità”, ma che sia anche capace di rispondere in modo efficace a queste vulnerabilità.
Quindi l’ex ministro si è soffermato sul concetto di “resilienza trasformativa”, elaborato durante la sua esperienza pregressa nel Joint Research Centre dell’Unione europea. “Cos’è la resilienza?”, si è chiesto Giovannini, “è la capacità di fronteggiare uno shock, e di rimbalzare rapidamente a dove ci si trovava prima della crisi. Ma perché rimbalzare indietro? Dobbiamo applicare una resilienza trasformativa: prendere la spinta dalla caduta e rimbalzare avanti”. Per raggiungere questo obiettivo, a livello europeo, sono stati elaborati programmi politici centrati su “quattro p e una t”: proteggere, promuovere, preparare, prevenire e trasformare.
“Se lo shock è piccolo e dura poco, tendiamo ad assorbirlo. Se è più lungo, tendiamo ad adattarci. Ma se invece è più lungo e violento dobbiamo trasformarci”, ha aggiunto Giovannini, proponendo di investire in formazione, tecnologica, governance “per prepararci ad affrontare futuro più turbolento rispetto al passato”.
“Il futuro non appare improvvisamente, ma si costruisce tramite step intermedi, investendo, scegliendo, sbagliando, per fare il passo successivo”, ha dichiarato l’ex ministro, a conclusione del suo intervento. Per questo “l’approccio dei governi deve cambiare”, orientando le politiche verso una visione differente, “dove futuro e progresso siano parti integranti della funzione di uno Stato”, come accade già in altri Paesi, in cui sono stati istituiti ministeri del Futuro o centri di studio sul tema.
“Invito tutti a essere aperti, a credere nell’utopia, magari sostenibile, perché le alternative, business as usual, retrotopia, distopia, non sono solo disastrose nel futuro, ma brutte da vivere nel presente”.