Decidiamo oggi per un domani sostenibile

Indicatori Esg, autorità e libertà

Mentre l’Onu, l'Ue e gli Stati nazionali tentano di stabilire le metriche per misurare la sostenibilità, la comunità finanziaria riempie il vuoto imponendo i propri indicatori Esg. Bisogna identificare metriche comuni, adottando una molteplicità di quadri interpretativi. 

di Francesco Varanini

Agire in nome dello sviluppo sostenibile è ormai un luogo comune. L’aspetto positivo di questo fenomeno è che esiste ormai un reale, crescente e globalmente diffuso orientamento verso la sostenibilità. Quello negativo è che spesso il termine sembra essere sgradevolmente usato come un omaggio al politically correct o alle mode. Da evidenziare, inoltre, che se la sostenibilità viene trasformata in un indicatore universale rischia di essere il cavallo di Troia dentro il quale nascondere mere operazioni speculative.

Dallo standard alla speculazione

Riviste come l'Harvard Business Review, organizzazioni non governative come il World economic forum, società di consulenza come McKinsey, sempre più insistentemente sottolineano che "Finance and sustainability are expected to go hand in hand in the short run": "Diventare rispettosi dell'ambiente abbassa i costi ed incrementa i ricavi", dicono.

La finanza si è dunque convertita alla buona causa? Non credo e, in proposito, vorrei richiamare l’attenzione ad uno scivolamento. Si parla sempre meno di sostenibilità e sempre più di Esg.

"L’acronimo Esg ha preso il sopravvento nel mondo della sostenibilità, soprattutto perché è un termine del settore finanziario". "Sustainable finance and Esg [Environmental, social, and corporate governance] explode into the mainstream".

La scelta a cui ogni azienda del pianeta è posta di fronte è chiara: "aprire la strada verso un'economia sostenibile o rischiare di perdere la licenza per operare". "Non c'è nessuna azienda il cui modello di business non sarà profondamente influenzato dalla transizione verso un'economia a zero emissioni". E se ne spiega brutalmente il motivo: "Le aziende che non si preparano rapidamente vedranno soffrire i loro business e le loro valutazioni". Il mancato rispetto degli indicatori Esg è destinato ad essere equiparato al falso in bilancio.

Mentre l’Onu, l'Unione Europea, gli stati nazionali tentano faticosamente di definire obiettivi e stabilire le metriche tramite le quali misurare il percorso verso il raggiungimento della sostenibilità, la comunità finanziaria procede veloce. Riempie il vuoto imponendo i propri indicatori Esg, tramite i quali indirizza lo sviluppo e premia e punisce imprese e cittadini.

Esiste il concreto rischio che la stessa Unione europea finisca per adottare gli indicatori imposti dalla comunità finanziaria. Intanto le aziende si stanno rapidamente adeguando. Un esempio riguarda l'ambito Social: ogni organizzazione adotta - implicitamente - politiche di diversity management legate alla propria cultura a cui ora inizia a rinunciare per adeguarsi a uno standard.

Le aziende non mirano più a raggiungere risultati coerenti con le proprie strategie e i propri valori ma mirano a migliorare la propria posizione in una classifica stabilita secondo un parametro universale. Se gli indicatori Esg sono fissati da agenzie al servizio della finanza speculativa conviene dubitarne. Conviene anche, più in generale, chiedersi quale ruolo debbano avere, nell'orientamento verso la sostenibilità, le liste di buone pratiche e gli indicatori di performance.

Cosa significa sostenibilità

La sostenibilità parte dell’impegno etico che coinvolge ogni persona ed ogni organizzazione. Un concetto evidente che scaturisce dalla saggezza che accompagna gli esseri umani dalla notte dei tempi; l’impegno di lasciare alle generazioni future spazi di libertà almeno pari agli spazi offerti a noi dalle generazioni che ci hanno preceduto; l’impegno di rispettare la natura di cui noi stessi facciamo parte. La scienza e la tecnica, in particolare lo sviluppo industriale a partire dal 1700 ci hanno offerto tanti doni ma hanno anche rotto l'equilibrio che sta alla base della vita. In due secoli il peso della nostra impronta sulla Terra è aumentato esponenzialmente mettendo in pericolo i complessi equilibri alla base della nostra stessa sopravvivenza.

Se gli esseri umani hanno messo in discussione gli spazi di libertà e la rigenerazione della natura, sta agli esseri umani intervenire. Ed ecco che l'impegno si concretizza verso il termine del ventesimo secolo. Nel 1972 con il Rapporto sui limiti della crescita del Club di Roma [di cui tra pochi giorni si celebra il cinquantesimo anniversario - abbiamo iniziato a comprendere la pericolosità del nostro modello di sviluppo. Nel 1987 con il rapporto Onu Our Common Future del 1987 abbiamo iniziato a pensare al concetto di sostenibilità. Nel 1992 hanno preso corpo le prime iniziative volte a contrastare la "dangerous human interference with the climate system". Nel 2015 tutti gli stati membri dell’Onu hanno sottoscritto l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Eccoci al motivo di questa sintesi. Appare ovvio dire che il mero appello alla responsabilità personale e collettiva non basta. Dall'impegno etico debbono discendere obiettivi concreti; gli obiettivi debbono essere descritti ed imposti tramite norme vincolanti; il raggiungimento degli obiettivi deve essere monitorato tramite appositi indicatori.

Le difformità che si possono notare leggendo gli argomenti dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 e dei 169 target in cui sono articolati pongono questioni su cui riflettere. Obiettivi tanto basilari quanto generici – Sconfiggere la povertà; Sconfiggere la fame; Pace, Giustizia e Istituzioni Solide - sono sullo stesso piano di altri obiettivi di ordine più specifico, come Imprese, innovazione e infrastrutture. Obiettivi generali – Vita sulla Terra - sono allo stesso livello di obiettivi che parlano di azioni specifiche, come Lotta contro il cambiamento climatico. La lista degli SDGs può apparire dunque come il frutto di un comprensibile compromesso politico. La distanza tra l'impegno etico - irrinunciabile fondamento della sostenibilità - e la sua forse necessaria ed inevitabile traduzione in lista di obiettivi scaturita da un accordo tra visioni diverse e probabilmente contrastanti dello sviluppo pone questioni che non possiamo trascurare.

Obiettivi, azioni e capacitazioni

A prima vista, per raggiungere un risultato, la stesura di una lista di obiettivi appare necessaria e inevitabile. Allo stesso tempo però, siamo consapevoli dell’inadeguatezza insita nelle liste. Ogni elenco di cose da fare è per sua natura parziale e in fondo pericoloso, perché inevitabilmente esclude qualcosa di importante e perché rimanda all’autorità che l’ha compilato. Chi mai può avere l'arroganza di decidere cosa è importante per la salvezza della Terra e per ogni cittadino del pianeta di oggi e di domani?

Sembrano domande enormi, tanto vaste che pare impossibile aprire un dibattito in merito. A mio avviso, partendo dalla storia delle capabilities, possiamo arrivare a una sintesi e prendere una posizione.  Il concetto di capabilities intesa come l’attitudine che muove i cittadini verso lo sviluppo sostenibile è frutto del pensiero di due maestri: Amartya Sen e Martha Nussbaum.

Spesso il termine viene erroneamente tradotto in italiano con la parola capacità mentre dovremmo a sempre aggiungervi un aggettivo: capacità potenziali. O meglio tradurlo con la parola capacitazioni. Si tratta di definire le risorse di cui una persona dispone se viene posta nelle condizioni di scoprire in sé e portare alla luce queste risorse. Si tratta, in altri termini, dei talenti. Tesori spesso nascosti, le capabilities sono la fonte della libertà. La giustizia cui dovremmo tendere consiste nel garantire ad ogni cittadino del pianeta la possibilità di sviluppare le proprie capabilities.

Ma quali sono le capabilities? Su questo le posizioni di Sen e di Nussbaum si divaricano. Nussbaum, mossa dalle migliori intenzioni, stabilisce una lista di dieci capabilities. Possiamo anche essere d'accordo con l’importanza dei dieci punti indicati da Nussbaum. Ma perché non dovremmo poter aggiungere un punto alla lista o, in piena coscienza, sostituirne uno con un altro? La posizione di Nussbaum è normativa: parla di ciò che ogni cittadino ha diritto ad avere. Impone di fidarsi passivamente della sua autorità, morale e allo stesso tempo scientifica. Offrendoci una lista, Nussbaum apre il campo a una pericolosa via di fuga: affidati all'esperto; rispetta le indicazioni.

Sen, al contrario, ci toglie l’alibi di sostituire all'impegno personale il rispetto di una norma. Non parla di diritti ma di libertà. Pone ciascuno di fronte alla responsabilità dell’arbitrio. Per Sen non sta agli esperti definire cosa deve essere importante per ogni cittadino; l’esperto non può sapere cosa sarà importante per i nostri figli e per le generazioni future. Non sta a noi definire per loro degli standard di vita. A noi, oggi, compete la responsabilità di lasciare agli altri lo spazio per scegliere in libertà quale vita vivere.


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Dalle liste alle metriche

Dal punto di vista di Amartya Sen è dunque assurdo stabilire una lista valida per ogni cittadino del pianeta, una lista universale, una lista che passa sopra la storia, le culture, le differenze che ogni essere umano porta con sé. Ma la cosa più importante del suo pensiero è il passo successivo: Sen non ignora la necessità di metriche ma afferma però che “ridurre ad un solo quantum omogeneo tutto ciò cui abbiamo motivo di dare valore non è possibile”. Secondo lui, invece di ricondurre la misurazione dei passi avanti verso la sostenibilità ad un unico sistema di pesi, conviene accettare di comprenderli usando una ricca serie di pesi anche non pienamente congruenti tra di loro. Con le metriche universali, puntuali, la misurazione finisce per ridursi ad un calcolo esatto, a un indicatore leggibile senza sforzo, nella logica quantitativa del “tanto più, tanto meglio” ovvero del confronto “chi ne ha di più e chi di meno?”.

Il sistema di valutazione proposto da Sen fonda sulla combinazione di fattori distinti, chiama in gioco di valutare la complessità di oggetti eterogenei, considera che le diverse dimensioni del valore non siano necessariamente riconducibili l’una all’altra. Nel definire modalità di rilevazione, parametri, indicatori, Sen considera che il raggiungimento di accordi limitati e di gerarchie parziali sia un risultato efficace e sufficiente. La scelta dei pesi sarà fatta in funzione di ciò che si vuole guardare, del dove si sta guardando.

Invece di cercare la metrica perfetta Sen ci invita ad accettare la molteplicità di quadri interpretativi, anche incompleti. Per farlo occorre cogliere i trend e i punti di svolta, favorire le tendenze positive che emergono, senza giudicare dall’alto di un unico punto di vista. Senza pretendere di dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Un approccio che evita di dare a qualcuno, tramite gli indicatori, la chiave per imporre universalmente una mèta, per premiare o punire ogni cittadino e ogni impresa.

di Francesco Varanini

fonte dell'immagine di copertina: khaosai/123rf

martedì 31 maggio 2022