Un patrimonio aziendale di nuove competenze
La resilienza e lo sviluppo sostenibile comportano non soltanto un cambiamento di idee e di atteggiamento, ma anche l'arricchimento e l'aggiunta di nuove competenze nel capitale umano di ogni azienda. Ciò costituisce un'esigenza strategica, ma pure un'opportunità per i giovani che possiedono le professionalità adeguate.
di Renato Chahinian
Il patrimonio aziendale di ogni organizzazione (for profit, non profit, o anche pubblica) è usualmente dato dai beni materiali e immateriali (investimenti) utilizzati per l’attività e i fini dell’organizzazione medesima. Ma in realtà il patrimonio comprende pure altri elementi che devono essere presenti in ogni azienda e che possono fare la differenza in termini di performance e di raggiungimento degli obiettivi molto più efficacemente dei predetti beni. Si tratta del capitale umano, cioè la qualità della forza lavoro (a tutti i livelli, da quelli più semplici a quelli manageriali) per svolgere al meglio le attività previste.
Questi elementi, consistenti nella presenza di adeguate competenze in relazione agli obiettivi da raggiungere e alla capacità di realizzarli, non compaiono nei prospetti contabili patrimoniali perché di difficile valutazione, ma devono ugualmente essere tenuti in debita considerazione per esprimere qualsiasi giudizio di merito su ogni tipo di organizzazione da esaminare.
Infatti, da sempre i lavoratori dipendenti e autonomi al servizio di ogni azienda sono stati scelti in rapporto alle competenze possedute ritenute adatte in rapporto all’attività prevista. Anzi, la mancanza o l’insufficienza delle competenze più importanti all’interno della compagine aziendale è stata generalmente la causa principale di eventuali dissesti o di insoddisfacenti prestazioni.
Ora, con il sopraggiungere del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che interesserà tante istituzioni pubbliche e aziende private, e ancor più in futuro, con l’affermazione generale dei principi dello sviluppo sostenibile, che gradualmente coinvolgerà strati sempre più ampi di organizzazioni, non basterà più che i soggetti prima competenti nelle loro mansioni cambino soltanto idea e atteggiamento e si dedichino al cambiamento che la resilienza e la sostenibilità impongono. Ma sarà necessario che all’interno delle preesistenti competenze aziendali si formino nuove professionalità, sia integrative delle conoscenze attuali, sia aggiuntive a queste, al fine di guidare con efficienza ed efficacia l’auspicato cambiamento.
Infatti, la differenza tra l’obiettivo esclusivamente economico (soprattutto per le imprese) e un obiettivo contemporaneamente economico, sociale e ambientale comporta una serie di valutazioni e realizzazioni differenti che presuppongono competenze più complesse e varie da parte di tutti gli interlocutori aziendali, sia interni che esterni.
Tenendo presente che per operare in maniera sostenibile occorre un ripensamento dell’attività aziendale formulando una nuova strategia avente per fine la sostenibilità, bisogna avere le competenze necessarie per ideare, monitorare e rendicontare il processo virtuoso che permetterà l’intera pianificazione strategica con tali requisiti. Ciò comporta nuovi criteri decisionali e applicativi che le competenze aziendali tradizionali non possedevano e che ora si devono integrare e aggiungere nel nuovo patrimonio di capitale umano richiesto.
Preliminarmente, è il caso di sottolineare che spesso mancano pure teoricamente le basi di una simile conoscenza e quindi anche le discipline interessate dalla sostenibilità devono rinnovarsi per comprendere nuovi modelli di riferimento.
Comunque, partendo dalla fase iniziale della definizione della strategia, è importante sottolineare che ora servono professionalità in grado di riformare lo stesso processo produttivo aziendale e, spesso, pure quello a monte e a valle della filiera, per fare in modo che, oltre ad un risultato economico positivo, si crei:
- una serie di effetti positivi sotto l’aspetto sociale (condizioni di lavoro dignitoso, sicurezza nei luoghi di lavoro e nei punti di contatto con gli stakeholder, equità organizzativa e nelle remunerazioni, tutela dei soggetti più deboli e svantaggiati);
- un impatto complessivamente positivo per l’ambiente (prodotti, servizi e processi non dannosi, aumento del risparmio energetico e maggiore ricorso alle energie rinnovabili, economia circolare e riduzione dell’utilizzo di tutti i beni scarsi in natura).
Ciò è indispensabile per creare: nuovo valore condiviso, vantaggio competitivo e nuovo valore aggiunto per la collettività, una complessità aziendale e di sistema in grado di conseguire progresso e sviluppo sostenibile.
Soltanto da queste brevi annotazioni, risulta chiaro quanto devono essere implementate e migliorate le attuali competenze tradizionali che ricercano soltanto il fine del profitto, senza preoccuparsi di raggiungere tutti gli altri obiettivi. Parallelamente, analoghe osservazioni si possono fare per la fase della programmazione operativa e del controllo di gestione e pure in sede di reporting, quando si deve dimostrare con valutazioni di impatto quali-quantitativo tutti i diversi tipi di risultato conseguiti. Infatti, anche per queste importanti operazioni aziendali la competenza economico-tecnica usuale degli addetti ai diversi livelli organizzativi non basta più.
A questo punto è chiaro che ovunque occorrono profili professionali nuovi e di più elevato livello che non sempre il mercato del lavoro attuale è in grado di fornire. Al riguardo, basti pensare che, nonostante la disoccupazione molto elevata e ormai strutturale del nostro sistema economico, le aziende stentano a reperire personale con competenze digitali e di sostenibilità, mentre le indagini sulle professionalità del futuro prevedono una maggioranza di profili evoluti in grado di progettare percorsi di sviluppo sostenibile.
Ciò rappresenta quindi un avvertimento e un indirizzo per i giovani di oggi e di domani: dovranno puntare proprio su queste competenze, se vorranno trovare un lavoro richiesto, dignitoso e adeguatamente remunerato. Si tratta, nell’ambito di ogni scelta personale di lavoro desiderato, di individuare le conoscenze e le pratiche applicative che permettono un più incisivo contenuto di resilienza e sostenibilità.
In definitiva, contrariamente alla crescita del profitto, che richiede sempre meno lavoratori e sempre più sottopagati, lo sviluppo sostenibile abbisogna di sempre maggiori posti di lavoro e con competenze sempre più elevate. Il maggior costo del lavoro che ne deriva sarà ripagato dall’ottenimento di beni e servizi di più alta qualità e valore per l’intera comunità.
di Renato Chahinian, consulente in Economia e finanza dello sviluppo sostenibile