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Fertilità in Italia: quali priorità per il futuro?

Il Paese rischia di cadere in una “trappola” demografica che può determinare un calo esponenziale delle nascite. Per evitarlo, è necessario varare subito consistenti politiche di sostegno alle famiglie.

di Chiara Celesia

La popolazione italiana è in diminuzione: la decrescita nel numero degli abitanti ha avuto inizio nel 2015, anche se la fertilità nel Paese segue un trend negativo da più tempo, e questo dato è destinato a diventare sempre più significativo negli anni a venire. Il declino demografico è un fenomeno in atto per la quasi totalità dei Paesi europei, dove i tassi di fertilità (TF) sono al di sotto del tasso di sostituzione (generalmente fissato a 2.1), grazie al quale la popolazione rimarrebbe costante. Ciononostante, il caso italiano rappresenta uno dei più drammatici del continente: nel 2019 il TF ammontava a sole 1.27 nascite per donna, contro l’1.87 francese e l’1.54 tedesco.

Ma perché questo dato rappresenta un problema? Nel caso italiano, il calo e l’invecchiamento demografico mettono in pericolo la sostenibilità del sistema economico della nazione. Già nel 1937, Keynes iniziò a parlare delle possibili conseguenze negative di una popolazione in declino. Dopo il “baby boom” del dopoguerra, oltre alla dimensione economica, il dibattito oggi si focalizza sull’impatto che questo trend verso il basso può avere su vari ambiti, come sul sistema pensionistico, sui livelli di innovazione, sui flussi migratori, sull’ambiente naturale che ci circonda e sul nostro sistema politico. In più, se il contesto odierno di bassa fertilità si protraesse per un lasso di tempo significativo, si incorrerebbe nella cosiddetta “trappola della bassa fertilità”, causando un circolo vizioso di bassa fertilità determinato dalla progressiva minore presenza di donne fertili che determinerebbe a sua volta un calo esponenziale delle nascite se non affrontato tempestivamente e radicalmente.

Lo strumento principale che lo Stato ha a disposizione per influenzare la volontà dei suoi abitanti ad avere più figli sono le politiche favorevoli alle famiglie. Esse sono basate su una visione prettamente economica e non culturale o ideologica legata al desiderio di avere figli. Tali politiche sono comunemente strutturate in una combinazione di pagamenti diretti (come bonus e assegni familiari), trasferimenti indiretti (come esenzioni fiscali e politiche assistenziali), congedi di maternità e paternità e disponibilità di servizi per l’infanzia. L’idea alla base è quella di aumentare la volontà di avere figli attraverso una riduzione dei costi associati ad essi o attraverso l’aumento del reddito familiare disponibile.

L’efficacia di questo tipo di politiche è stata dimostrata, ad esempio, in uno studio effettuato sulle politiche familiari di 21 Paesi europei. Nonostante la diversità dell’approccio all’interno del continente, si è dimostrato come il livello di generosità del supporto fornito alle famiglie sia positivamente correlato alle intenzioni di procreare sia da parte degli uomini che delle donne. In un contesto di bassa fertilità come quello odierno, quindi, la questione delle politiche di supporto alle famiglie è centrale per l’analisi di sviluppi futuri nel campo della fertilità.

In Italia, tuttavia, la percentuale di spesa pubblica a supporto delle famiglie è ridotta. Essa ammonta all’1.9% del Pil (2017), un dato inferiore alla media dei Paesi Ocse. Oltre alla ridotta spesa pubblica causata dall’alto debito che l’Italia ha accumulato a partire dagli anni ’80, ci sono alcune lacune, evidenziate dal report della United Nations Population Division, nelle politiche portate avanti dai governi italiani in passato che ne limitano l’efficacia. Per prima cosa, l’incertezza del mercato del lavoro e la mancata disponibilità di welfare pubblico a favore di studenti e lavoratori determina una situazione di precarietà per i giovani italiani che influenza negativamente la possibilità economica e la volontà di avere figli.

A seguire, la presenza limitata di assistenza all’infanzia, rende incompatibile la cura dei bambini con un lavoro a tempo pieno. In Italia, i servizi per i bambini al di sotto di 3 anni sono disponibili per il 24.7% di questi ultimi, un valore sotto la soglia minima del 33% fissata dall’Unione europea. Inoltre, la disponibilità di tali servizi è soggetta a notevoli disparità a livello regionale e rispetto al livello socioeconomico delle famiglie. Questa carenza causa una forte dipendenza dalla disponibilità dei nonni. Infatti, si stima che questi ultimi forniscono regolare assistenza all’81% di famiglie a doppio reddito. Infine, un aspetto che non può essere tralasciato è il ruolo della disuguaglianza di genere, sia per quanto riguarda la partecipazione al mercato del lavoro, sia per quanto riguarda lo sbilanciamento tra il congedo di maternità e quello di paternità, che accentua le differenze di genere e la disparità della divisione della cura del bambino.

Il regime di bassa fertilità avrà effetti sempre più tangibili sulla popolazione italiana, influenzando lo sviluppo del nostro Paese sotto molteplici punti di vista. Le politiche a sostegno delle famiglie sono un modo per poter controllare questa variabile e garantire un livello di stabilità sotto questo punto di vista, ma alcuni ostacoli a livello politico e istituzionale devono essere superati per far sì che ciò accada.

 

di Chiara Celesia, AWARE per la Rete Giovani 2021

martedì 3 agosto 2021