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Megatrend e Covid: l’eredità del 2020 nelle scelte del futuro

Quale impatto avrà la pandemia nei prossimi decenni? L’Italian Institute for the Future prova a dare una risposta analizzando i dieci fenomeni macro in campo tecnologico, economico, sociale, che cambieranno profondamente la nostra vita.

di William Valentini

Individuare, catalogare e studiare tutti quei fenomeni emergenti che sembrano essere in grado di produrre effetti dirompenti a lungo termine sulla società “è un esercizio indispensabile - oltre che molto complicato -  perché oggi siamo più che mai consapevoli della necessità di anticipare quegli scenari che potrebbero produrre trasformazioni distruttive e prepararci in modo adeguato”, spiega il presidente dell’Italian Institute for the Future, Roberto Paura. L’istituto è molto attivo su questo fronte: ogni anno pubblica un documento, il report Emerging long-term megatrends, che studia e seleziona dieci fenomeni emergenti da tenere d’occhio per la loro capacità di produrre effetti dirompenti sul lungo termine, trasformandosi in potenziali megatrend.

L’edizione di quest’anno non poteva non aprirsi con un riferimento all’impatto che la pandemia avrà sulla società.  Il Rapporto ricorda come nel 1918, in contemporanea con la più grave pandemia influenzale della storia (la “spagnola”), si diffuse in Europa una malattia misteriosa, nota come encefalite letargica. La malattia, ben presto diventata pandemia, uccise non meno di mezzo milione di persone fino al 1926, quando scomparve. Coloro che sopravvivevano potevano, sul lungo termine, sviluppare parkinsonismo. La comunità scientifica si divide ancora sull’origine di questa malattia: l’ipotesi di uno stretto legame con l’influenza spagnola è una delle teorie in campo, benché non la più probabile. Tuttavia, gli interrogativi sul cosiddetto long Covid hanno riportato in auge l’interesse degli scienziati verso questa potenziale correlazione. Gli effetti ancora sconosciuti del virus Sars-CoV-2 sul lungo termine potrebbero includere malattie autoimmuni nuove o già note, patologie neurologiche come il Parkinson o l’Alzheimer, o anche patologie sconosciute come fu l’encefalite letargica dopo l’influenza spagnola. Nonostante non vi siano ancora certezze scientifiche, non appena la fase acuta dell’emergenza sarà rientrata con l’estensione globale della copertura vaccinale, saranno necessari follow-up periodici su scala anche pluridecennale sui pazienti che hanno contratto il Covid-19 per individuare in anticipo lo sviluppo di nuove sindromi o danni d’organo e sarà prioritario investire nello sviluppo delle relative terapie.

Salute ma anche economia: gli shock prodotti dai lockdown hanno messo in evidenza le vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, riportando in auge il dibattito sul re-shoring, contrapposto all’off-shoring estremamente in voga negli ultimi decenni. Si tratta del rientro dall’estero di segmenti della produzione di un’azienda, precedentemente delocalizzati per opportunità economiche.  “L’aumento degli stipendi e del costo nella vita nei paesi emergenti e la maggiore convenienza dell’automazione, insieme a nuovi orientamenti dei consumatori verso la filiera corta, avevano già accelerato questo processo. Ora il re-shoring, da opportunità economica, potrebbe diventare una vera e propria esigenza strategica. Per adesso il fenomeno ha riguardato principalmente gli Stati Uniti, anche se in Europa il fenomeno sta diventando sempre più esteso: in particolare Regno Unito e Italia stanno avviando, per motivi diversi, percorsi di questo tipo (Londra a causa della Brexit, Roma per tutelare il made in Italy). A questo trend, occorre aggiungere anche l’impatto del Covid sulla fabbricazione dei presidi igienico-sanitari che ha alimentato la convinzione di molti governi di assicurarsi il controllo della produzione strategica in patria nel caso di crisi future che possano compromettere le catene di approvvigionamento e distribuzione”, spiegano gli autori del lavoro.

In questo quadro, la tecnologia ha e avrà un ruolo fondamentale. Nel settembre 2020 il quotidiano britannico The Guardian ha usato l’intelligenza artificiale Gpt-3 per unire tre testi con salti logici redatti da altrettanti giornalisti in carne e ossa. Questa tecnologia, rilasciata l’anno scorso da OpenAI di Microsoft, utilizza un’elaborazione del linguaggio naturale chiamato Nlp natural language processing. Nel 2019 il più potente modello possedeva 1,5 miliardi di parametri (un parametro può essere grossolanamente comparato a una connessione sinaptica del cervello umano); oggi GPT-3 ne usa ben 175 miliardi. Un “balzo in avanti”, spiegano gli analisti, che apre la strada a una nuova generazione di Nlp in grado di creare un futuro ecosistema in cui esseri umani e intelligenze artificiali potranno operare in sinergia per svolgere molteplici compiti nei campi più diversi, utilizzando il linguaggio naturale, senza quindi dover obbligare gli utenti a imparare complicati operatori logici e linguaggi di programmazione.

Le nuove tecnologie stanno avendo un forte impatto anche in campo energetico. L’anno appena concluso si è aperto con la minaccia di una crisi militare tra Stati Uniti e Iran, che ha fatto schizzare verso l’alto il prezzo del greggio. Successivamente, la pandemia ha bloccato la produzione industriale di mezzo mondo; il crollo del traffico aereo, degli spostamenti via nave e il blocco del trasporto su gomma, anche leggero, ha provocato il più grave calo della domanda petrolifera, con una flessione anche superiore all’80%. La situazione, tuttavia, potrebbe non essere congiunturale: secondo il report annuale Energy Outlook di Bp, una delle quattro maggiori società petrolifere del mondo, la domanda di petrolio non tornerà ai livelli pre-Covid, perché il picco della domanda sarebbe già stato raggiunto nel 2019.

Inoltre, è plausibile che i governi occidentali intensifichino gli sforzi per contrastare i cambiamenti climatici anche alla luce della prossima Cop-26, il meeting mondiale sul clima in programma nel novembre 2021. Potrebbero così introdurre nuovi incentivi per le energie rinnovabili e ridurre di conseguenza l’appeal dei combustibili fossili. Sulla scorta di queste analisi, Bp ha annunciato che aumenterà di otto volte i suoi investimenti in energie a basso impatto ambientale entro il 2025 e di dieci volte entro il 2030, mentre a settembre ha chiuso un accordo per oltre un miliardo di dollari per lo sviluppo dell’eolico offshore. Un esempio seguito anche da altre compagnie petrolifere.

Il 2020 è stato anche l’anno della definitiva affermazione della didattica da remoto. Sebbene il processo fosse iniziato da tempo e nonostante l’impegno di docenti e alunni, l’esperienza è stata vissuta con sofferenza da parte di molti giovani. Spiegano gli autori della ricerca: l’e-learning richiede il 40-60% di tempo in meno per l’apprendimento rispetto alle lezioni frontali classiche perché gli studenti possono imparare al ritmo che preferiscono. Al tempo stesso, altri dati affermano che chi è esposto ai media digitali per più di cinque ore al giorno avrebbe il 71% di possibilità in più di provare pulsioni al suicidio rispetto a chi ha un’esposizione di una sola ora e il 51% di probabilità in più di dormire meno di 7 ore per notte. Il 67% dei docenti Usa ha registrato negli studenti un aumento della distrazione e dei problemi emotivi e sociali. Ma non solo: la didattica a distanza pone infatti anche questioni etiche sulle quali i governi del futuro dovranno concentrarsi.

Non c’è dubbio che le grandi piattaforme digitali intendano entrare nell’affare della didattica con il loro approccio disruptive, diventando concorrenziali tanto nei confronti della scuola quanto dell’università. Sono già attive realtà come Facebook for Education, che sta lavorando per offrire esperienze didattiche di tipo immersivo in realtà virtuale attraverso Oculus Rift, mentre Amazon ha lanciato Aws Educate per utilizzare la propria piattaforma cloud per la didattica a distanza. Ma la tendenza è presente anche in Cina, Paese che per primo ha dovuto reagire alla pandemia.

Con l’affermazione di nuovi modelli di didattica e di lavoro, e più in generale con la digitalizzazione della vita quotidiana portata dal Covid, cresce contestualmente anche il rischio di attacchi informatici. A partire dal marzo 2020, una vasta infiltrazione riconducibile alla Russia ha interessato le infrastrutture informatiche di numerosi centri del governo degli Stati Uniti. Secondo una stima citata dal Rapporto, tra febbraio e marzo dell’anno scorso, questo tipo di crimini sarebbe aumentato in maniera esponenziale (+600%). Una realtà che ha spinto gli analisti ad immaginare che la prossima pandemia virale possa essere quella dentro i nostri devices. Più che essere il frutto di attacchi di organizzazioni criminali (che solitamente hanno per obiettivo la richiesta di un “riscatto” per sbloccare i server attaccati), queste nuove operazioni su larga scala fanno ormai parte integrante delle strategie militari di Paesi come Russia, Cina, Corea del Nord, Iran, Israele e degli stessi Stati Uniti.

Appare del tutto evidente come l’impatto della pandemia abbia prodotto effetti su moltissimi aspetti della nostra vita, compresi anche quelli economici. A questo proposito, scrivono gli autori, anche i grandi sistemi economici nazionali colpiti dalla pandemia stanno sviluppando un nuovo approccio, mettendo in cima alle priorità lo stimolo fiscale (fatto del tutto nuovo in Europa). A differenza della fase post-2008, sembrano emergere anche elementi di discontinuità. In sintesi, si delinea uno scenario in cui sono centrali, rispettivamente, la politica fiscale, gli investimenti pubblici e la loro pianificazione. Elementi tanto più significativi poiché si inseriscono in un contesto in cui i tassi di interesse sono significativamente bassi o addirittura negativi, rendendo quindi conveniente l’indebitamento pubblico, e in una fase in cui gli investimenti privati sono in declino. Altro obiettivo esplicito è creare posti di lavoro, fattore di solito lasciato alle forze del mercato. Inoltre, si riconosce esplicitamente che il declino degli investimenti pubblici dagli anni Novanta a oggi in settori quali sanità, edilizia pubblica, ambiente, ha indebolito la resilienza delle società al Covid-19.

Come tutti gli aspetti della vita economica e sociale colpiti più duramente dalla pandemia, anche i trasporti stanno vivendo una rivoluzione.  L’emergenza Covid-19 ha creato la crisi di gran lunga più grave nella storia del settore, con un crollo di circa il 90% del traffico passeggeri mondiale tra marzo e maggio 2020 (nonostante qualche effetto positivo sul settore cargo). La riduzione dei voli ha avuto ripercussioni anche sulle politiche industriali dei due principali produttori di aerei (Boeing e Airbus) con una riduzione del 70% della produzione. Nonostante i dati pesantemente negativi, le prospettive di ripresa rimangono piuttosto aleatorie visto che esiste la possibilità concreta che si ritorni ai livelli pre-crisi solo dopo il 2027. Un problema che rischia di far perdere il lavoro a quasi cinque milioni di persone. Ad approfittarne saranno forme di mobilità alternativa, dalle ferrovie ad alta velocità al futuro sistema Hyperloop, dai progetti di Urban Air Mobility su cui si concentra oltre un miliardo di investimenti, al nuovo comparto dell’ipersonico.

Dal 2015 ad oggi, i risparmiatori europei hanno aumentato la loro propensione marginale al risparmio. E questo è avvenuto ovunque, non solo in Italia dove storicamente il risparmio è molto alto. Si tratta dell’ennesimo effetto che l’incertezza e la paura, alimentate anche dal Covid, hanno prodotto. Il rischio è che, se dovesse ripartire l’inflazione, migliaia di cittadini vedrebbero ridursi la loro ricchezza. Per questa ragione spiegano nel report, occorrono politiche che impediscano ai risparmiatori di cadere in quella che il grande economista inglese John Maynard Keynes definiva “trappola della liquidità”.

Tra gli aspetti più rivoluzionari che i ricercatori hanno selezionati c’è la crescita del mercato dei digital twins: i “gemelli digitali“, repliche digitali o equivalenti virtuali di prodotti e processi destinati ad avere ampia diffusione nell’industria manifatturiera come nella gestione delle supply chain, per la loro capacità di simulare scenari e consentire interventi in ottica anticipatrice e in modalità remota. Destinate a diventare pervasive in diversi ambiti del vivere umano, in futuro non sarà fantascientifico immaginare un gemello digitale per ogni persona. Nel gennaio 2020 Samsung ha infatti lanciato il progetto “Neon” che mira a creare avatar 3D di esseri umani, realtà virtuali personalizzate progettate come alter ego degli utenti, con i quali sarà possibile interagire attraverso display olografici o dispositivi in realtà virtuali. Dal canto loro, Singapore e Regno Unito stanno inoltre investendo nella realizzazione di gemelli digitali di intere aree urbane. Un vero salto di qualità nello sviluppo delle città intelligenti.

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di William Valentini

mercoledì 20 gennaio 2021