Come cambia il ruolo dell’influencer: creator più piccoli e ritorno all’autenticità
Gli investimenti nel settore in continuo aumento: opportunità per i giovani ma anche molti rischi tra competizione, compensi in calo e i danni degli algoritmi sulla salute mentale.
Entro la fine del 2024 il mercato che ruota intorno agli influencer, il cosiddetto influencer marketing, toccherà i 24 miliardi di dollari. Un trend in crecita, spinto dalle aziende che investono sempre di più per promuoversi tramite creator digitali. Negli Stati Uniti, secondo eMarketer, le spese per questo tipo di collaborazioni sono quasi triplicate in cinque anni, raggiungendo i 7 miliardi di dollari. Quando una larga fetta di comunicazione passa dai social, non meraviglia che la figura del content creator si rafforzi, alimentando un mercato di grande rilievo. E forse non sorprende che negli Usa il 57% della Generazione Z, ossia i nati tra il 1997 e il 2012, sogni di diventare influencer, e il 53% veda questa professione come apripista di una carriera stabile e sicura, come riporta l’Economist.
Tuttavia, il rapido sviluppo del settore porta con sé sfide notevoli. Le strategie dei brand ad esempio, si stanno spostando dai “mega-influencer” – con milioni di follower – verso i micro e nano-influencer, creator con un seguito più ristretto ma decisamente più coinvolto. Questa "lunga coda" di influencer di nicchia permette ai brand di raggiungere con precisione segmenti specifici di consumatori, come appassionati di yoga o over 60 in cerca di consigli di moda. Il pubblico di questi influencer di nicchia risulta infatti più fedele e spesso più disposto a fidarsi dei suggerimenti promozionali dei creatori, rendendoli partner ideali per campagne mirate.
Per i giovani che aspirano a una carriera da influencer, però, l’espansione del settore rappresenta un ostacolo: con oltre 200 milioni di creator stimati a livello globale (Linktree) e una crescita annua compresa tra il 10 e il 20%, la competizione è altissima e la popolarità online si dimostra spesso effimera.
A livello di guadagni poi, i dati mostrano che solo un influencer su dieci guadagna più di 100 mila dollari all’anno, mentre il 72% dei creator si accontenta di meno di 500 dollari. Sempre secondo Linktree solo il 4% dei creator riesce a mettersi in tasca tra 10 mila e 50 mila dollari, e il 2% supera i 50 mila dollari, mentre il 17% ottiene compensi tra i 500 e i 5 mila dollari e il 5% tra i 5 mila e i 10 mila dollari.
A queste difficoltà si aggiungono le disparità di genere nel compenso: secondo Izea, nel 2022 i creator maschi guadagnavano in media il 30% in più delle donne, addebitando 2.978 dollari per post rispetto ai 2.289 dollari delle loro colleghe.
Se da una parte la popolarità di influencer e creator continua a crescere, dall’altra i consumatori stanno iniziando a provare una sorta di “fatica da influencer”. McKinsey riporta che il 68% dei consumatori globali di moda è insoddisfatto della quantità di contenuti sponsorizzati sui social. La stessa autenticità che agli esordi aveva reso gli influencer così popolari è a rischio credibilità, con un equilibrio sempre più precario tra la necessità di guadagno e il bisogno di contenuti sinceri da parte dei follower. Per molti influencer, mantenere la fiducia del proprio pubblico significa ridurre la quantità di contenuti promozionali e selezionare con maggiore attenzione le collaborazioni, nonostante l’esigenza economica di continuare a crescere. Altri influencer invece stanno evolvendo verso una gestione autonoma del proprio marchio, diversificando i loro guadagni e puntando su prodotti digitali, abbonamenti e risorse a pagamento, senza dipendere esclusivamente dalle collaborazioni con i brand.
L’influenza crescente dei social media ha poi un altro lato oscuro: l’impatto degli algoritmi sulla salute mentale degli utenti, soprattutto dei giovani. Recentemente in Francia un gruppo di famiglie ha avviato la prima class action europea contro TikTok, accusata di alimentare la diffusione di contenuti autolesionistici. La questione è complessa, ma non è un mistero che gli algoritmi delle piattaforme siano progettati per mantenere alta l’attenzione degli utenti: l’esposizione ripetuta a contenuti dannosi, calibrati su precedenti ricerche degli adolescenti, può amplificare in loro uno stato di malessere e isolamento.