Scuola: i libri di testo discriminano le donne
Studenti scrivono alla casa editrice per segnalare la scarsa presenza di scrittrici. E un gruppo di docenti si organizza in associazione.
Quanto contribuiscono gli stereotipi a determinare la disparità tra il genere maschile e quello femminile? E quanto i libri di testo scolastici concorrono a rafforzare questi bias cognitivi tanto dannosi?
Molto, è la risposta a entrambe le domande. Ma il cammino per rimediare a questo stato di cose appare al momento ancora troppo lungo e impervio.
Il problema è stato di recente sollevato da un fatto di cronaca che ha visto una classe quinta di un istituto tecnico statale in provincia di Lecco vincere il concorso Sulle vie della parità indetto dall’associazione Toponomastica femminile con una ricerca sulla presenza di autrici nei libri di testo delle superiori. L’esito dell’indagine è stato così sconfortante che gli studenti, guidati dalla professoressa di Lettere Wiolen Orio, hanno scritto alla casa editrice Zanichelli lamentando che nel proprio testo - così come in altri in adozione nella scuola - ci fosse la presenza di sole due scrittrici, Elsa Morante e Virginia Woolf, a fronte di ben 31 scrittori.
“La nostra amara riflessione a riguardo”, si legge nella lettera inviata alla casa editrice, “approda alla consapevolezza di una enorme ed ingiustificata assenza, non dalla realtà letteraria, bensì dalla letteratura comunicata e studiata nelle scuole italiane, che tutt’al più presenta le donne come narrate e non narranti”. Gli studenti e le studentesse auspicano quindi che “si possa e si debba porre le basi di un urgente e necessario superamento del pressoché totale e silente dominio di autori maschili nella letteratura scolastica…”.
La risposta della Zanichelli, che rinvia al decalogo dalla stessa redatto “Obiettivo 10 in parità” e rivendica il fatto che “le novità del 2022 hanno mostrato una maggiore attenzione alla pari rappresentazione dei generi, al superamento degli stereotipi e all’uso del linguaggio” non ha soddisfatto la classe né tantomeno l’insegnante.
Il problema non è nuovo. Risale infatti a più di 25 anni fa l’iniziativa dell’Associazione Italiana Editori di un codice di autoregolamentazione per le pari opportunità nei libri di testo, denominato Polite, che dando seguito a una Direttiva del presidente del Consiglio e con riferimento agli impegni assunti nella Quarta Conferenza mondiale sulle Donne di Pechino sottolinea l’importanza di un aggiornamento dei testi didattici “volto allo sviluppo dell’identità di genere e della cultura delle pari opportunità”.
Nella precedente legislatura è stata poi presentata una proposta di legge da parte di alcune parlamentari tra cui Laura Boldrini, Rossella Muroni, Lia Quartapelle, con Alessandro Fusacchia primo firmatario, “per la promozione della diversità e l’inclusione nei libri scolastici nonché istituzione di un osservatorio nazionale”, che tuttavia non è mai stata calendarizzata.
L’impressione che, nonostante qualche sporadico tentativo e qualche timido miglioramento soprattutto per quanto riguarda i testi della scuola primaria, il tema resti in secondo piano è abbastanza forte.
Di chi la responsabilità maggiore di questo stato di cose?
“Ogni anno vengono prodotte circa un milione e mezzo di pagine di testi scolastici, il cui aggiornamento richiederebbe un lavoro enorme e persone con adeguate competenze per realizzarlo”, sottolinea Marzia Camarda, imprenditrice nel settore dei servizi per l’editoria con la società Sidera.
L’adeguamento, spiega, andrebbe fatto su diversi piani: linguistico, disciplinare, narrativo, e ognuno di questi ambiti presenta delle complessità. Basti pensare a quante polemiche e discussioni suscita la declinazione al femminile dei nomi di professioni e cariche, soprattutto se di prestigio, a volte rifiutata dalle stesse donne che le ricoprono perché temono in questo modo di risultare meno autorevoli.
Se dovessimo riportare gli esempi di stereotipi presenti nei testi scolastici l’elenco sarebbe davvero lungo, a cominciare da frasi come “la mamma stira” mentre “il papà legge il giornale” citate nei sussidiari della scuola primaria, per continuare con quanto riportato in un testo di geografia dove si attribuisce il calo demografico in Europa alla responsabilità delle donne “che non vogliono più fare figli”.
Ma anche le omissioni sono significative: Camarda cita l’esempio degli stupri di guerra, una realtà ancora purtroppo attuale e regolarmente ignorata dai libri di testo.
Insomma, il lavoro da fare sarebbe veramente tanto. E non si tratta solo di quantità, perché sono necessarie competenze specifiche che gli editor e anche i docenti spesso non possiedono.
“Formazione, formazione e ancora formazione”, è la proposta caldeggiata dall’imprenditrice.
Ma ci sarebbe anche un lavoro enorme da fare per sensibilizzare gli insegnanti, che spesso sono i primi a restare ancorati ai canoni tradizionali.
“Se alle elementari un’autrice come Bianca Pitzorno al posto di Giulio Verne è più facilmente accettata, man mano che si sale nel grado di ordinamento scolastico il canone si irrigidisce”, sostiene Camarda.
Va anche ricordato che l’età media dei docenti è piuttosto elevata e che quindi la tentazione di restare ancorati a quello che si è studiato e ai programmi su cui ci si è formati è piuttosto diffusa.
“Nella secondaria tra i docenti e le docenti c’è forse maggiore sensibilità, perché si ha a che fare con adolescenti e ci si muove anche in un’ottica di prevenzione”, riferisce Filomena Taverniti, insegnante e socia fondatrice dell’associazione Indici Paritari. “All’università ci si forma ancora su testi ottocenteschi come il De Sanctis e i corsi di abilitazione non prevedono insegnamenti di didattica di genere. Personalmente non penso che non si debbano più studiare autori come il Verga, che resta fondamentale, ma si può e si deve studiare anche Alda Merini e Liliana Cavani”.
Il riferimento è alla recente uscita pubblica della scrittrice Susanna Tamaro, che tante polemiche ha suscitato e che forse proprio per questo non è servita a fare chiarezza su un insegnamento ormai non più al passo con i tempi e che andrebbe adeguato “in tutti i cicli scolastici e in tutte le materie, non solo quelle letterarie”, sottolinea Taverniti.
Per le docenti di Indici Paritari la situazione non è più accettabile, al punto da spingere l’associazione a diffondere un appello pubblico alle case editrici in cui si chiede “un cambiamento definitivo e reale, convinte che non si possa costruire una società rispettosa delle differenze quando le nuove generazioni possono arrivare a concludere un ciclo di studi senza sapere dell'esistenza di donne letterate, scienziate, artiste e protagoniste di qualunque altra disciplina. Libri di scuola nei quali, dalla preistoria ad oggi, il pensiero, le scoperte, le tecnologie sono sempre progressi dell’Uomo che scopre, inventa, viaggia, combatte, studia, conosce ed è artefice del mondo in cui opera. Anche in occasione dell'esame di maturità, ogni anno come uno stanco rituale, si denuncia la vergognosa assenza di intellettuali donne nei testi proposti per le prove scritte, eppure tutto rimane immobile da un anno all'altro.“
“Una conoscenza a metà”, la definisce Marzia Camarda, che le insegnanti più consapevoli fanno sempre più fatica ad accettare di trasmettere.