Un futuro sostenibile è un futuro che non si stanca mai di costruire la pace
Dopo 77 anni, l'Europa torna a vedere l'orrore della guerra. La politica non sventoli bandiera bianca e riconosca, attraverso un “infaticabile” ricorso al negoziato, la supremazia del valore della pace.
di Filippo Salone
Il Novecento per molti versi è stato il secolo buio dei totalitarismi, di ogni ordine e grado, che hanno mostrato il volto feroce della ideologia e della politica, sino alla distruzione delle guerre, la forma più irreversibile di insostenibilità.
Il nuovo secolo ha ridotto il peso specifico dei totalitarismi e l’impatto dei conflitti in Europa, ma alcune scorie inevitabilmente hanno continuato ad ardere sotto le ceneri.
Papa Francesco si è soffermato su questa realtà, nell’Enciclica Fratelli Tutti: “La guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante. Il mondo sta trovando sempre più difficoltà nel lento cammino della pace che aveva intrapreso e che cominciava a dare alcuni frutti” (FT 256).
“Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità del popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali”. (FT 11)
Con l’ASviS abbiamo ragionato “laicamente” sulla forza visionaria di queste riflessioni e del tratto comune che unisce i valori del Cristianesimo con i principi delineati nell’Obiettivo 16 dell’Agenda 2030, pubblicando un Quaderno ricco di riflessioni, presentato lo scorso giugno, da pochi giorni tradotto anche in inglese.
Partendo dall'attualità, dalle notizie che arrivano dall’Ucraina, possiamo riflettere sulla necessità di non negare la dimensione del conflitto e invocare la pace in forma di appello generico o per una convinzione fideistica ma di valutare che i conflitti negli ambiti politici e delle relazioni tra Stati sono qualcosa di “inevitabile e fisiologico”.
Chi tende davvero alla pace non vuole azzerare il conflitto ma disporlo sul campo, per poi decostruirne le parti più devastanti e inserire tra queste quei tasselli che servono a costruire il mosaico della ”pace positiva”.
Perché allora oggi, di fronte a un conflitto che cova da anni, siamo arrivati all’epilogo drammatico della guerra?
La guerra è solo uno strumento rispetto alla volontà politica. Uno strumento vecchio e nefasto. Per superarlo bisogna ridare centralità al negoziato, nella prospettiva di raggiungere l’obiettivo che può rappresentare la vera bussola per muovere verso la sostenibilità universale della coesistenza: il superamento “laborioso” del conflitto.
“Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce», avvisa il Pontefice, la guerra “è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. (FT 261).
Solo una governance globale può assumersi la responsabilità di evitare il baratro e far sì che la condanna della guerra stabilita il 10 febbraio 1947 - quando la Carta dell’Onu vietava il ricorso sia all’uso della forza sia alla sua minaccia come legittima forma di intervento politico - non diventi lettera morta.
La pace tra le nazioni dipende dal raggiungimento di un equilibrio. Un equilibrio che si basa sulla fiducia negli accordi internazionali e sulla credibilità degli organismi che ne garantiscono il rispetto, a partire dall’Onu.
L’Organizzazione delle Nazioni unite, secondo il suo statuto, svolge quattro funzioni: mantenere la pace e la sicurezza internazionali; sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni; cooperare nella risoluzione dei problemi internazionali e nella promozione del rispetto dei diritti umani; rappresentare un centro per l’armonizzazione delle diverse iniziative nazionali.
“Bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale… dando nuovo impulso ai principi dichiarati nel Preambolo per la forza del diritto contro il diritto alla forza”. (FT 257).
Occorre dunque convocare in seduta permanente il Consiglio di Sicurezza o riunire da subito in forma straordinaria e continuativa i 193 membri dell’Assemblea Generale.
Bisogna andare avanti incessantemente sulla via del negoziato internazionale e del multilateralismo, per arrivare a una proposta di composizione pacifica del conflitto.
di Filippo Salone, coordinatore Gruppo di lavoro sul Goal 16 “Pace, giustizia e istituzioni solide” dell’ASviS e responsabile relazioni esterne Fondazione Prioritalia.