Gli scenari globali a medio termine dopo la sconfitta di Trump negli Stati Uniti
Se la vittoria di Joe Biden verrà confermata dai complessi meccanismi del sistema istituzionale americano, gli Usa intraprenderanno una nuova strada. Ma quali saranno i riflessi per il resto del mondo?
di William Valentini
L’attenzione alla “scienza e alla forza della speranza, per affrontare le grandi battaglie del nostro tempo”, come la pandemia. La lotta al razzismo, radicato nel “sistema degli Stati Uniti”, a favore della giustizia razziale. Nel tradizionale discorso della vittoria, Joe Biden ha ribadito quelli che sono stati i punti di forza di tutta la sua campagna elettorale, una delle più polarizzanti della storia statunitense. Secondo quello che scrivono i giornalisti d’oltreoceano del quotidiano online Quartz, infatti, “gli americani che hanno votato per il candidato democratico Biden lo hanno fatto per vari motivi. Alcuni erano semplicemente stufi dell'attuale inquilino della Casa Bianca; altri erano preoccupati per il destino della democrazia stessa, e altri ancora stavano canalizzando una visione più ottimistica del futuro”. Ma se da un lato gli elementi di discontinuità con Donald Trump sono stati la forza elettorale del neopresidente, dall’altro molti vedono in Biden una guida in balia di spinte quasi contrapposte.
È di questo avviso il filosofo progressista Noam Chomsky, intervistato per La Repubblica da Anna Lombardi a pochi giorni dalla chiusura dei seggi elettorali. “Il Presidente oggi è schiacciato fra due forze: l'establishment del partito e gli attivisti che hanno galvanizzato la base spingendola a votare per lui”, spiega l’intellettuale, voce critica della sinistra a stelle e strisce. In questo ha avuto un ruolo decisivo il suo programma ambientalista, sviluppato, sottolinea il filosofo, grazie a milioni di attivisti “che lo hanno martellato in tal senso”. Ora, però, ha raccontato ancora, “occorre tornare a fare pressione affinché si vada nella direzione giusta”.
Scienza e investimenti nella sfida alla pandemia
Un’analisi dell’Associated Press, ripresa da Fortune Italia, ha rivelato che le 376 contee con il maggior numero di nuovi casi di Covid rispetto alla popolazione locale - aree che spesso hanno registrato una minore adesione alle misure di distanziamento sociale e agli altri provvedimenti di salute pubblica – sono andate verso Trump. Sul contrasto al Covid-19 è emerso uno dei punti di rottura più forti tra i programmi dei due candidati alla presidenza. L’analisi dei possibili scenari post-elezioni realizzata da Quartz sottolinea, infatti, che, durante una campagna elettorale segnata dalla pandemia, Biden ha assunto il ruolo del candidato pro-scienza. Il neopresidente ha espresso il suo sostegno agli investimenti nella ricerca e nelle agenzie di sanità pubblica, ottenendo l'approvazione di diverse organizzazioni scientifiche, che raramente avevano preso posizione prima delle elezioni. L’intenzione del Presidente democratico di seguire i pareri degli esperti conferma la sua disponibilità a realizzare linee-guida nazionali per combattere la diffusione del Coronavirus, qualcosa che molti esperti dicono sia mancato dall’inizio della pandemia. In particolare, sottolinea Quartz, da candidato Biden ha chiesto più volte uno sforzo per porre fine alla piaga della disinformazione che ad oggi ostacola gli sforzi per tenere sotto controllo la pandemia nelle aree più colpite dal virus.
La politica energetica al bivio
Ma se la gestione del Covid ha rappresentato un terreno di scontro privilegiato per tutta la durata della campagna elettorale, cambiamento climatico e strategia energetica sono stati i veri totem della comunicazione del neo presidente, spiega ancora il giornale Quartz. Biden “ha costantemente inquadrato il cambiamento climatico come non solo reale, ma come un aspetto centrale rispetto al quale la sua amministrazione gestirà le questioni dell'economia, della politica estera, della sicurezza nazionale e della giustizia sociale”. La differenza di approccio con il suo avversario Trump sui temi ambientali ha avuto effetti diretti sulle urne. Sul quotidiano Domani l’economista Valeria Termini ha analizzato i risultati delle elezioni proprio alla luce delle diverse posizioni sullo sfruttamento delle risorse fossili. “Nelle regioni del petrolio, del carbone e del gas e negli Stati dove si concentrano le riserve e l'estrazione di shale ha vinto Donald Trump. Ha superato il 65,5 per cento dei voti in North Dakota, il 62 in Alaska, il 52,2 in Texas. In Virginia, dove l'estrazione di petrolio è raddoppiata in pochi anni, Trump ha ottenuto il 68,7; come in Oklahoma (65,4 per cento); il 70,4 nel Wyoming e 53 in Ohio, ricchi di combustibili fossili”, perdendo tuttavia il Colorado, il New Mexico e soprattutto la California".
Biden (dichiarato vincitore della tornata elettorale proprio nei giorni dell’uscita formale degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima, accordo nel quale il neo presidente si propone di rientrare il primo giorno alla Casa Bianca) ha promesso un approccio diametralmente opposto a quello di Trump nel campo delle politiche ambientali. L’intenzione è quella di sviluppare un piano di sostegno delle energie rinnovabili e di difesa del pianeta, finanziato con 1700 miliardi. Biden inoltre ha dichiarato di voler decarbonizzare l’economia, raggiungendo zero emissioni entro il 2050. “Nel programma democratico si legge l'installazione di 500 milioni di pannelli solari, di 500mila stazioni di ricarica per le auto elettriche lungo le strade americane”, continua l’economista della Università Roma Tre ed esperta in materia di ambiente. Biden propone anche di trasformare tre milioni di veicoli pubblici in veicoli elettrici a zero emissioni; vuole imporre l'obbligo di costruire tutti i nuovi edifici con caratteristiche a emissioni zero a partire dal 2030 e si impegna a convertire 4 milioni di edifici esistenti in tal senso; infine, vuole fissare regole per l'industria del gas e del petrolio volte a garantire "giustizia ambientale". Nei prossimi quattro anni, è probabile dunque che Biden darà una grande spinta alle industrie dell’energia pulita, riducendo il supporto ai combustibili fossili, stabilirà nuovi mandati per la riduzione delle emissioni e rivedrà il modo in cui le agenzie governative aiutano i cittadini ad adattarsi agli impatti climatici, ricollocando gli Stati Uniti tra gli attori credibili e influenti nella diplomazia climatica globale. Un impegno in prima persona quello del Presidente, che, immaginano gli analisti, porterà alla realizzazione di un nuovo regolamento sulle emissioni di carbonio sviluppato dall’Agenzia per la protezione ambientale statunitense.
Il rilancio del multilateralismo
“Un presidente che crede nei rapporti con l’Unione europea e nei valori transatlantici” è un’ottima notizia per Bruxelles, ha spiegato il commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni a Mario Ajello su Il Mattino di Napoli. La politica estera del presidente Trump, sintetizzata dallo slogan ‘America First’, verrà molto probabilmente sostituita da un approccio più collegiale, basata sulla condivisione delle scelte con gli alleati, spiega Gentiloni. “Biden si è proposto come portatore di un ruolo tradizionale e multilaterale dell'America. Mi aspetto dalla nuova amministrazione un atteggiamento diverso sull'Organizzazione mondiale della sanità e, cosa fondamentale per noi europei, sull'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che ultimamente l'amministrazione americana aveva messo in crisi”.
Proprio con il Wto, l’amministrazione Trump ha sempre avuto rapporti tesi. A ottobre gli Stati Uniti si sono opposti alla raccomandazione del comitato per la candidatura della nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala alla carica di direttrice generale, bloccando il processo di selezione durato quattro mesi. L’economista sarebbe stata la prima donna africana a guidare l’organizzazione, scrivono i giornalisti indiani del The economic times. Una sfiducia che si è tradotta anche nel blocco da parte di Washington della nomina dei giudici della corte che gestisce le controversie tra Paesi, impedendo il normale funzionamento dell’istituzione e prediligendo accordi bilaterali. “Non solo Wto, le prospettive per tutti gli altri processi internazionali sembrano migliori sotto Biden. Con un approccio più diplomatico, la nuova amministrazione dovrebbe portare più certezze” nel quadro delle relazioni internazionali, tornando a prediligere un approccio più multilaterale, ha raccontato Biswajit Dhar, professore di economia presso la Jawaharlal Nehru University di Nuova Delhi al quotidiano economico.
Una realtà che avrà effetto nel nostro Paese, anche perché dal primo gennaio l’Italia assumerà la presidenza del G20, che, ha spiegato Gentiloni, “non è solo il luogo d'incontro dei leader dei 20 Paesi ma anche la sede in cui si stanno cercando intese su questioni cruciali per il nostro futuro, prima fra tutte la Digital Tax”. Ma se con l’Europa i rapporti saranno presumibilmente migliori (una ricerca prodotta dal Pew Institute, e citata da Gentiloni, ha registrato qualche mese fa il più basso livello di consenso da parte degli europei verso gli Stati Uniti), la politica con i tradizionali competitor non cambierà di molto.
L’enigma dei rapporti con Cina e Russia
“Non mi aspetto grandi cambiamenti nel rapporto con la Cina e con la Russia, se non sul piano dello stile, che sarà sicuramente più sobrio e coerente”, ma soprattutto, ha spiegato il commissario Gentiloni nell’intervista, “è da vedere in quale misura la linea di graduale disimpegno nei diversi teatri internazionali proseguirà”.
Dello stesso avviso l’ex consigliere di Stato, il conservatore Henry Kissinger, intervistato da Mathias Döpfner, per i quotidiani del consorzio Lena (al quale aderisce La Repubblica, che ha pubblicato l’articolo in Italia): “Una questione di cruciale importanza sarà quella delle relazioni con Pechino. Il problema ha due sfaccettature: la prima è la crescita della Cina, che provoca un cambiamento negli equilibri di potere del mondo. La seconda è la differenza ideologica. Per il futuro, il problema sarà capire in che misura il conflitto ideologico prevarrà sulle relazioni tra i due Paesi. La crescita delle capacità economiche e militari cinesi è una cosa, ma è in atto anche un consistente cambiamento nella natura di queste capacità. Prendiamo in considerazione, per esempio, la questione dei rapporti commerciali. È possibile ottenere un risultato negoziato quando grandi società del settore hi-tech si scontrano operando da piattaforme che hanno una portata globale? Oppure sarà possibile raggiungere accordi economici negoziati che equilibrino la relazione in modo tale che vari Paesi possano possedere quelle piattaforme? E di sicuro ci sarà un'evoluzione della tecnologia: questo implica che il conflitto militare sarà difficile da contenere” a prescindere che il presidente sia Trump o Biden. Per evitare questo rischio, spiega Kissinger, “è fondamentale valutare la possibilità di un controllo degli armamenti. Io rientro nel novero di quanti, oggi una minoranza, credono sia imprescindibile cercare di risolvere problemi più gravi con i negoziati”.
“È probabile che Biden sia più concentrato sulle questioni interne che sulla politica estera, almeno all'inizio”, hanno scritto i giornalisti di Quartz, e che dunque proseguirà una scelta di contenimento rispetto a Mosca. “Il presidente durante la sua carriera politica ha sostenuto l'espansione della Nato come cuscinetto”, in chiave anti-russa, e ha promesso di "rendere l'Ucraina una priorità della politica estera degli Stati Uniti" durante la campagna elettorale. Una sostanziale continuità con il predecessore che però non riguarderà la special relationship tra Londra e Washington. “È lecito aspettarsi relazioni più fredde con il Regno Unito sulla Brexit”, spiegano ancora i giornalisti della testata statunitense.
I legami storici di Biden con l'America Latina si tradurranno probabilmente in un rinnovato protagonismo americano nel continente, che si era molto indebolito durante la presidenza Trump. Secondo Quartz, infatti, è lecito aspettarsi “un ritorno all'impegno in stile Obama con Cuba e Venezuela, sforzi per combattere la corruzione e la violenza in America centrale e un ritorno a un approccio statunitense più tradizionale verso il fenomeno dell’immigrazione”. Mentre uno dei leader dell’opposizione venezuelana, Leopoldo Lopez, in una intervista concessa a Francesco Olivo de La Stampa, spiega come la situazione con l’elezione di Biden cambi poco, visto che l’approccio verso il regime di Caracas è rimasto uguale nonostante l’alternarsi dei presidenti. Mentre, come ha affermato Ian Lesser, vice presidente del think tank indipendente americano German Marshall Fund, interpellato dal giornale online, “è improbabile che la politica degli Stati Uniti in Medio Oriente cambi radicalmente, fatta eccezione per i legami più freddi con il presidente israeliano Benjamin Netanyahu, grande alleato di Trump”.
Parità di genere e Black Lives Matter
“Sarò la prima donna in questa carica, ma non l'ultima” la vicepresidente eletta Kamala Harris, ha salutato così la vittoria democratica nel suo discorso. Per tutta la campagna elettorale, infatti, l'interesse su come la californiana influenzerà la politica del suo Paese è stato superiore a quello che di solito si manifesta nei confronti del numero due della Casa Bianca, ha spiegato Viviana Mazza del Corriere della Sera, in un focus dedicato alla nova vicepresidente. “Quale sarà la sostanza dietro al simbolo? In che modo l'identità multietnica della prima donna nera e indiana-americana si rifletterà nell'amministrazione Biden? Infine, c'è chi spera che dalla sua posizione, a un soffio dalla presidenza, Kamala Harris aiuti a cambiare la percezione che le donne siano meno eleggibili degli uomini, in modo che come ha detto lei stessa, sarà “la prima, ma non l'ultima”, si chiede Mazza citando un articolo uscito sul New Yorker.
Durante la presidenza di Biden, la figura della vicepresidente sarà centrale in diversi ambiti della politica statunitense. Come Obama prima di lui, il neopresidente delegherà diversi dossier alla sua vice che quindi non sarà relegata ad un ruolo di semplice rappresentanza. “Da candidata alla vicepresidenza, spiega ancora Mazza, ha avviato il dialogo tra politici e attivisti del Black Lives Matter per un “Breathe Act”, così chiamato in memoria di George Floyd, l'afroamericano morto soffocato sotto il ginocchio di un poliziotto bianco, che reindirizza i fondi federali destinati alla polizia, alle prigioni e ad altre parti del sistema di giustizia penale, verso comunità di colore poco servite da servizi. “Con la sua ascesa alla vicepresidenza, la signora Harris diventerà la prima donna e la prima donna di colore a ricoprire quella carica, una pietra miliare per una nazione in rivolta, alle prese con una storia dannosa di ingiustizia razziale esposta, ancora una volta, in una divisione sulle elezioni. Harris, 56 anni, incarna il futuro di un paese che sta diventando sempre più diversificato dal punto di vista razziale, anche se per la presidenza la persona scelta dagli elettori è un uomo bianco di 77 anni”, scrive il New York Times a proposito della vicepresidente. Mentre proprio l’età avanzata del presidente Biden e il protagonismo di Harris, potrebbero portarla alla candidatura nel 2024.
di William Valentini