Donne e guerra: invocare solo la pace non serve
La marginalità della componente femminile nell’esercito e nei negoziati pesa sulla possibilità di trovare soluzioni ai conflitti. Un'analisi delle risposte del movimento femminista all'escalation bellica, dopo l’attacco israeliano all’Iran.
È di queste ore la notizia dell’attacco di Israele all’Iran, una notizia che spaventa perché l’attacco riguarda siti nucleari ma anche perché indica che, anziché gettare acqua sul fuoco dell’incendio che già divampa in diverse parti del globo terrestre, si vuole ampliare il conflitto.
Con l’incognita di quale possano esserne i confini e il timore che si punti a innescare una Terza guerra mondiale.
È banale, e tuttavia giusto sottolineare come tutti gli attori di questa devastante escalation siano esponenti del genere maschile: Netanyahu e i suoi fedelissimi, i terroristi di Hamas, Putin e Trump, sono simboli di quella violenza patriarcale che non esita a passare dalla cultura della sopraffazione alla messa in atto violenta della stessa.
È meno banale e altrettanto giusto evidenziare come di fronte a questa devastazione l’altra metà del cielo non abbia saputo esprimere un pensiero incisivo limitandosi a invocare genericamente la pace, come se invocando qualcosa questa magicamente si avverasse.
Un atteggiamento che non riguarda solo le donne, beninteso, ma che ha visto esporsi in modo particolare alcune correnti del femminismo. Per non parlare poi di femministe note (ometto i nomi, ma una di loro era proprio in questi giorni in televisione a L’aria che tira su La7) che si sono apertamente schierate a fianco del guerrafondaio Putin.
Dove è finito il pensiero femminile/femminista? È pur vero che di Hannah Arendt ne nasce forse una ogni secolo, ma è altrettanto vero che le donne sono ormai entrate in massa nell’istruzione, dove sembra eccellano. Per non parlare delle università, in gran parte governate da donne.
Silenzio. Un silenzio assordante, mentre le bombe uccidono. O forse non è il pensiero che manca ma il coraggio da parte di chi tace, lasciando campo libero a chi urla più forte? Circa due mesi fa avevo stilato un documento che avrei voluto far sottoscrivere a donne conosciute in modo da attribuire maggior peso e garanzia di pubblicazione sulla stampa mainstream. Tentativo fallito, perché le adesioni erano meno delle dita di una mano. Questo il testo proposto:
Un pericoloso equivoco sta attraversando il multiforme mondo femminista, una parte del quale è scesa in campo chiedendo a gran voce la pace senza dire che cosa questa parola significhi nella situazione attuale.
Di fatto, non distinguendo tra aggressori e aggrediti, tra carnefici e vittime, questa parte del femminismo – che appare maggioritaria anche per un uso sapiente e massiccio dei social network, ma forse non lo è – si fa complice degli aggressori e dei loro sodali.
Ma femminismo non dovrebbe significare svelare e combattere la violenza e la sopraffazione laddove queste si manifestano?
E violenza e sopraffazione non sono esattamente la cifra di quel patriarcato che il femminismo vuole combattere?
Putin che ha aggredito un Paese libero, volendo sottrargli la libertà e parte dei suoi territori, non ne è forse l’esempio lampante?
E il suo sodale Trump, che all’Ucraina vorrebbe rapinare le terre rare mascherando questa sottrazione violenta con intenzioni pacifiste, non è anch’egli simbolo e attore del patriarcato più becero?
Siamo femministe e non vogliamo una finta pace che rafforzi coloro che perseguono logiche di sopraffazione di popoli e spartizione di terre.
Siamo femministe e crediamo sia fondamentale in questo momento di grave pericolo dire parole di verità, senza trincerarsi dietro a slogan accattivanti e funzionali solo a creare paura nei più deboli e a rafforzare i violenti.
Ci sono momenti della storia in cui è necessario prendere posizioni chiare rinunciando a collocazioni comode che tuttavia favoriscono chi gioca sugli equivoci.
Riteniamo sia questo uno di quei momenti e per questo abbiamo deciso di metterci la faccia.
Informarsi, cercare di capire, dire la verità. Oppure tacere, se la verità fatica a venire a galla. Questo credo sia importante nella difficile fase storica che stiamo vivendo. Ma altre cose si potrebbero fare.
Dare spazio alle donne che nei Paesi in conflitto si battono contro la guerra, come bene aveva fatto la Casa delle Donne di Milano ma non mi sembra che nessun organo di stampa ne abbia parlato o ne parli.

Femministe russe contro la guerra di Putin
In un incontro presso la Casa delle Donne di Milano, attiviste russe si schierano con il popolo ucraino e raccontano la difficile realtà delle donne nel loro Paese.
di Annamaria Vicini
E poi rivendicare che nelle trattative di pace siano presenti le donne con incarichi di rilievo.
In un articolo del 12 luglio 2022 Loredana Teodorescu, Responsabile affari europei e internazionali dell’Istituto Luigi Sturzo e presidente di Women in international security (Wiis) Italy diceva che “solo il 6% sono le donne firmatarie di accordi di pace e il 6% quelle che hanno svolto un ruolo ufficiale di mediatrici, mentre il 13% hanno svolto un ruolo ufficiale di negoziatrici. E ciò nonostante che, quando vengono incluse, i risultati siano positivi soprattutto per quanto riguarda la durata degli accordi di pace, con un 35% di probabilità in più che questi resistano almeno una quindicina di anni”.
Concetto ribadito anche dal medico e consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità Maurizio Bonati che in un articolo del 26 giugno 2024 affermava che “la componente femminile risulta marginale sia a livello di comando negli eserciti sia nei luoghi dove si contratta la pace”.
Bonati citava come raro esempio positivo quello di Gloria Arias Nieto, pediatra e direttrice dell’ospedale pediatrico di Bogotà, che ha svolto e svolge un ruolo importante nelle trattative di pace con le Farc in Colombia. Coinvolgendo altre donne, tra cui alcune giuriste, è riuscita a incidere anche sugli aspetti legislativi, promuovendo nei villaggi il lavoro femminile e ritardando l’inserimento lavorativo dei minori.
Se il ruolo delle donne nella risoluzione dei conflitti è tuttora marginale è anche perché “il femminismo a livello globale non si occupa a sufficienza di questi problemi”, era l’amara constatazione del medico.
C’è molto lavoro da fare. Limitarsi a invocare la pace può essere comodo perché ci fa sentire in pace con la nostra coscienza ma, come dimostrano i fatti, serve a ben poco.
Copertina: Ansa