Educazione sessuale a scuola: Italia fanalino di coda
La prima proposta di legge risale al 1975, ma in cinquant’anni poco è stato fatto.
I terribili recenti episodi di violenza sessuale di gruppo a Palermo e Caivano, che vedono coinvolte come vittime adolescenti a volte poco più che bambine, pongono un interrogativo inquietante: chi si occupa dell’educazione sessuale dei ragazzi? E in che modo?
La risposta che sta emergendo tra le righe è ancora più inquietante: i siti del porno. Indagando in modo più approfondito si scopre che, secondo un rapporto molto dettagliato realizzato da pornhub, l’Italia figura al quinto posto nella classifica dei Paesi con il maggior consumo di porno online, dopo Stati Uniti, UK, Giappone, Francia. Un bel primato, verrebbe da dire.
Ma se per gli adulti la scelta di frequentarli o meno rientra nell’ambito della propria libertà personale, diverso è quando si parla di minorenni. Esistono, è vero, filtri di protezione per tablet e smartphone che possono essere applicati sia tramite la voce “Impostazioni” sia con app specifiche, ma quanti genitori ne sono a conoscenza o semplicemente si preoccupano del problema?
E l’aspetto paradossale è che proprio molti tra i genitori si oppongono al fatto che venga fatta nelle scuole un’educazione sessuale, intesa anche più in generale come educazione all’affettività, perché si illudono che i propri figli non pensino a certi argomenti oppure perché temono che possa interferire con l’educazione erogata in famiglia, anche se questa spesso si rivela del tutto inadeguata. Secondo un sondaggio realizzato da Tecnica della scuola nel maggio 2022, il 71,6% delle risposte date dai genitori alla domanda “Educazione sessuale fin dalla scuola primaria: favorevole o contrario?” erano negative.
Anche tra gli insegnanti, pur con percentuali meno bulgare (57,6%), serpeggia la contrarietà: paura di non essere all’altezza? O di aumentare il proprio carico di lavoro? La legge sulla Buona Scuola del 2015, approvata durante l’esecutivo di Matteo Renzi, prevedeva all’articolo 16: “Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori”.
Ma come forse si ricorderà proprio quella legge, che per la sua applicazione lasciava ampia autonomia agli istituti scolastici, non venne accolta favorevolmente e in primis proprio dal corpo docente. Allo stesso governo risale il “Piano esecutivo contro la violenza sessuale e di genere” che tra i suoi obiettivi prevede la promozione “nell’ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alle relazioni non discriminatorie nei confronti delle donne, sensibilizzando e formando gli studenti a prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso la valorizzazione di questi temi nei libri di testo”.
Digitando sul sito del ministero dell’Istruzione e del merito la parola-chiave “educazione sessuale” si trovano, oltre al già citato Piano, alcune dichiarazioni dell’allora ministra Valeria Fedeli, che garantiva l’impegno del suo ministero a dargli attuazione. Poi più nulla. Così, nonostante la prima proposta di legge in materia risalga addirittura al 1975, l’Italia resta al palo, in compagnia di Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Questo nonostante l’Agenda 2030 dell’Onu, all’Obiettivo 4, parli di “istruzione di qualità, equa e inclusiva” proponendosi di garantire “che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta a uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali”.
Sulla piattaforma senatoragazzi, creata dal Senato per favorire il dialogo con i cittadini e in particolare con i più giovani, una classe dell’istituto Sciascia-Fermi di sant’Agata di Militello (Messina) ha presentato una proposta di legge per l’introduzione dell’educazione sessuale nella scuola secondaria che prende spunto dalla normativa europea vigente. La proposta prevede l’inserimento dell’educazione sessuale all’interno delle materie curricolari, con la compresenza di una figura professionale esterna. Nella premessa gli studenti fanno notare che Scuola Futura, una piattaforma della pubblica istruzione che si occupa della formazione nell’ambito del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), prevede un programma formativo di rafforzamento delle scuole per potenziare le competenze di base di studentesse e studenti e promuovere successo educativo e inclusione sociale, grazie alla capacità di intervenire in modo mirato nelle specifiche realtà territoriali e personalizzato sui bisogni di ragazze e ragazzi. E se non bastasse fanno anche appello alla Costituzione, che tra i suoi principi cardine annovera l’inviolabilità dei diritti dell’uomo, la pari dignità e l’uguaglianza di tutti i cittadini, il riconoscimento e la tutela del diritto alla salute e del diritto all’istruzione.
Peccato che di questi ragazzi e delle loro proposte non parli nessuno. Più facile (e più redditizio) parlare di chi delinque, di nuove norme repressive e divieti che tanto poi nessuno farà rispettare.