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Prostituzione sì o no, l'importante è parlarne

In Senato giace una proposta di legge che mira a introdurre anche in Italia il modello “nordico”.

di Annamaria Vicini

L’efferato omicidio di tre donne che si prostituivano nella città di Roma ha riportato alla ribalta un tema, quello della prostituzione femminile, da tempo scomparso dal dibattito pubblico.

Non se ne parla forse perché tra gli uomini molti sono i clienti più o meno abituali, come ha reso evidente – e bisogna dargli atto di aver avuto un certo coraggio – l’articolo di Patrizio Bati su La Stampa, ma anche perché c’è una parte del mondo femminile e femminista che ha verso questo fenomeno un atteggiamento condiscendente.

Intendiamoci la prostituzione in Italia è legale, salvo che per atti compiuti con minorenni. Illegale è lo sfruttamento della prostituzione e l’induzione a prostituirsi, ma non il libero esercizio della stessa.

Il fenomeno infatti è molto diffuso: secondo un’analisi del Codacons nel nostro Paese sarebbero tre milioni i clienti e oltre 90mila le prestatrici d’opera, per un giro di affari che si attesta sui quattro miliardi di euro. Eppure, e lo dico sapendo che potrei attirarmi numerose critiche, come persona e come donna non riesco ad accettare che la prostituzione femminile sia “un lavoro come un altro”. Alle vittime degli efferati omicidi, due sembra di nazionalità cinese e una colombiana, va ovviamente tutta la nostra pietà, così come dobbiamo sentirci profondamente solidali con le vittime della tratta.

Secondo Save The Children in Italia le vittime accertate di tratta sarebbero 1.660, con un aumento costante di ragazze minorenni coinvolte. Sempre secondo l’organizzazione umanitaria i Paesi di maggior provenienza sono la Nigeria (64%), Romania, Bulgaria e Albania (34%). Sono donne e ragazze che provenendo dalla Nigeria spesso vengono fatte transitare in Libia, dove subiscono abusi e violenze. Quando arrivano in Italia devono vendersi per estinguere il debito di viaggio, che si aggira sui 30mila euro: un debito che difficilmente riescono a saldare, perché i soldi guadagnati servono per vitto, alloggio e vestiario.

Per quanto riguarda i Paesi dell’Est è stato scoperto in Romania un sistema vero e proprio di reclutamento di ragazze ospiti negli orfanatrofi, che vengono contattate prima del compimento dei 18 anni, età in cui devono lasciare le strutture, e che vengono allettate con promesse di una vita di agi e benessere.

Tutto ciò per spiegare che non sono contro le donne che si prostituiscono, soprattutto se e quando sono vittime di inganni o di situazioni di indigenza, ma non sono neppure tra coloro che ritengono la prostituzione esclusivamente un atto di libertà individuale e in quanto tale socialmente accettabile e giustificato.

Nell’immaginario, soprattutto in quello maschile, il fatto di poter comprare il corpo di una donna lo reifica e la reifica. La donna si trasforma così in un oggetto, una merce che si può acquistare, al pari di un qualunque sex toy. Dunque, se è un oggetto, posso disporne a mio piacimento.

Anche esercitando violenza su e contro di lei?

Tra pochi giorni si celebrerà la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che come ogni anno ci ricorda che ancora troppe donne vengono uccise “in quanto donne” secondo la definizione di femminicidio che ne ha dato la Convenzione di Istanbul. E in molti casi sono donne che prima di essere uccise sono state sottoposte nel tempo a violenze, fisiche e/o morali.

Sicuramente sono diversi i fattori che concorrono a far sì che un uomo eserciti violenza contro una donna: psicologici, sociali, culturali. Ed è tra questi ultimi che rientra quel concetto di reificazione del corpo femminile che non è causato solo dalla prostituzione ma in parte anche sì.

Lo scorso aprile è stata presentata in Senato una proposta di legge che mira a introdurre in Italia il cosiddetto “modello nordico” già sperimentato in Svezia. La proposta prevede sanzioni amministrative e penali per i clienti delle prostitute, la sospensione della condizionale per gli autori di violenza di genere che accettino di fare percorsi formativi, l’attuazione di campagne di informazione e sensibilizzazione sulla prostituzione intesa come forma di violenza, l’attuazione di programmi di reinserimento sociale e lavorativo per le donne che accettino di abbandonare l’attività di vendita del proprio corpo. Questa legge mira a superare la legge Merlin del 1958 che, abolendo le “case chiuse”, di fatto eliminava la regolamentazione dell’attività di prostituzione.

Attualmente la situazione nei Paesi europei è molto variegata: il modello “abolizionista”, che mira a punire le attività di contorno e che è attualmente vigente in Italia, viene adottato anche in Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania e Spagna.

Il modello “regolamentarista”, che considera la prostituzione alla stregua di una qualsiasi attività lavorativa e in quanto tale la assoggetta al rispetto di leggi e normative, è adottato nei Paesi Bassi, Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria e Lettonia. 

Il modello “nordico” o “neo-abolizionista”, a cui si conforma la proposta depositata in Senato già citata, è stato introdotto per la prima volta in Svezia nel 1999, dopo un lungo dibattito che ha coinvolto anche l’opinione pubblica.

Ed è proprio quest’ultimo aspetto che, qualunque sia l’idea al riguardo, sarebbe auspicabile affinché anche in Italia l’argomento cessi di essere un tabù salvo poi esplodere puntualmente e periodicamente sulle pagine di cronaca nera.

Parlarne in modo aperto e civile sarebbe già un primo passo per uscire dal silenzio e non ridursi il 25 novembre di ogni anno a fare solo la triste conta delle vittime della violenza maschile.

di Annamaria Vicini

mercoledì 23 novembre 2022