Imprese femminili, il Sud fa da volano
Ma è al Nord che crescono le startup innovative guidate da donne. Le difficoltà maggiori: accesso al credito, leadership e conciliazione famiglia-lavoro.
di Annamaria Vicini
Scende il numero delle imprese femminili nei settori in cui tradizionalmente sono più presenti, ovvero commercio (-6.300), agricoltura (- 3.500) e manifatturiero (- 1.500), ma crescono in parallelo quelle nei comparti a maggior contenuto di conoscenza come le attività professionali, scientifiche e tecniche (+ 3.751), i servizi di informazione e comunicazione (+ 1.014), l’istruzione (+524) e la sanità (+ 468). In positivo anche il bilancio per i comparti immobiliare e finanziario (+ 1.929) e per noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (+ 2.195).
Questa la fotografia in chiaroscuro tracciata dal rapporto reso noto ai primi di marzo da Unioncamere, secondo il quale a trainare l’incremento delle imprese guidate da donne è il Mezzogiorno (+ 7.646 rispetto al dicembre 2019), con il centro che nello stesso periodo ha perso 7.207 unità e il Nord che evidenzia un lieve rialzo soprattutto nel Nord-Ovest (+ 0,54% contro lo 0,14% del Nord-Est). Molise, Basilicata, Abruzzo e Umbria risultano a fine 2021 le regioni a maggior incidenza di imprese femminili. Nove le provincie in cui superano il 27% all’interno del tessuto produttivo locale: Benevento, Avellino, Chieti, Grosseto, Enna, Campobasso, Frosinone, Viterbo e Isernia.
Positivo il contributo delle imprenditrici con origini migratorie: allo stato attuale in Italia le aziende a conduzione femminile straniera sono 136.312, pari all’11,6% del totale. A guidare la classifica in base alla nazionalità, secondo i dati della Fondazione Leone Moressa, sono in termini assoluti le cinesi (34.719), seguite dalle immigrate provenienti dalla Germania (10.566) e dall’Albania (8.730).
Una realtà, quella dell’imprenditoria femminile, che seppur minoritaria (un milione 342 mila le imprese registrate a fine 2021, pari al 22,13% del totale), si è dimostrata tuttavia abbastanza resiliente nei confronti della pandemia.
Interessante, come già accennato, anche il tasso di innovatività di queste aziende, il cui ingresso in settori meno tradizionali è una tendenza da qualche anno ormai consolidata.
Secondo un’indagine realizzata da Cariplo factory e che riguarda un campione di oltre cento unità, il 64% delle startup innovative a conduzione femminile sono collocate nel Nord Italia e lavorano sia nell’ambito del mercato nazionale (60%) che estero (32%). Solo l’8% ha una dimensione locale, mentre ben il 77% aspira a consolidare o ampliare il proprio business in Europa, il 13% in Nord America e il 6% in Asia.
I maggiori problemi riguardano l’accesso al credito: il 40% dichiara infatti di incontrare difficoltà a ottenere finanziamenti.
A mettere in guardia dai facili entusiasmi è però Darya Majidi, fondatrice e Ceo di Daxo Group, impresa che vanta il traguardo di aver conseguito, prima in Italia, la certificazione Iso 30415 in materia Diversity e Inclusion per il sostegno all’empowerment femminile e il contrasto alle discriminazioni di genere.
“Le startup innovative a guida femminile sono ancora troppo poche – sottolinea Majidi, che è anche presidente dell’associazione Donne 4.0 – e la causa principale sta nel fatto che un numero insufficiente di ragazze sceglie di studiare le materie a contenuto scientifico e tecnologico”.
Ma secondo la fondatrice di Daxo Group le donne mostrano resistenza a fare impresa anche perché sono influenzate da “una vecchia concezione del potere che non appartiene al Dna femminile e dà l’immagine di una conduzione in totale solitudine, mentre bisognerebbe appropriarsi di un’idea di leadership innovativa, gentile, scarsamente gerarchica e basata sulla collaborazione”.
Un freno ulteriore viene dal fatto che la maternità è vista ancora come un ostacolo alla carriera imprenditoriale. Ma “io sono mamma e ce l’ho fatta, con tanti sacrifici e imparando a delegare”, afferma Majidi.
Riguardo ai finanziamenti un impulso alla creazione di imprese femminili potrà derivare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha costituito un apposito fondo (articolo 1, comma 97, della legge 30 dicembre 2020, n. 178) incrementato di recente con una dotazione aggiuntiva per un totale di 400 milioni di euro.
Occorre però che le procedure per l’accesso siano rese il più possibile facilitanti, o diversamente i fondi corrono il rischio di rimanere inutilizzati.
Dall’indagine di Cariplo factory emerge infatti che solo il 2% delle aziende interpellate è riuscito a ottenere un finanziamento dedicato all’imprenditorialità femminile.