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Algoritmi e pregiudizi di genere: un fortino ancora troppo maschile

Per questo, oltre che per la ricerca di un’occupazione, è importante che le ragazze scelgano le materie Stem, E dal Pnrr si attendono incentivi in tal senso.

di Annamaria Vicini

Per una volta vogliamo cominciare con una buona notizia: aumentano le ragazze che si iscrivono alla facoltà di Informatica (+16,36 % per l’anno in corso). E anche se non è certo il caso di esultare – le iscritte restano comunque un sesto dei colleghi maschi – si tratta di un segnale incoraggiante.

“Nell’immaginario femminile l’informatica è vista come una materia arida” – commenta Darya Majidi, imprenditrice esperta in Intelligenza Artificiale e presidente dell’associazione Donne 4.0. “In realtà è un’idea sbagliata, perché si tratta di una materia molto creativa e che serve per spaziare in numerosi campi: dall’analisi alla progettazione, dalla sicurezza alla medicina”.

Ma perché è importante che le ragazze scelgano di entrare in questa specie di fortino quasi esclusivamente maschile?

La risposta più immediata, che però riguarda più in generale le facoltà cosiddette Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), è che troveranno più facilmente un lavoro considerato che è proprio in questi settori che si rileva il mancato incontro tra domanda e offerta.

Ma riguardo all’informatica, nello specifico, c’è un motivo in più e non di poco conto. Proveremo a spiegarlo anche se non è facile, perché occorre addentrarsi nei meandri della computer science, non proprio qualcosa che la maggior parte delle persone mastica facilmente. E tuttavia è necessario farlo, perché le nostre vite sono e saranno sempre più in balia degli algoritmi ed è bene quindi imparare a fraternizzarci.

Ebbene sembra che questi algoritmi, che potremmo definire come dei procedimenti utilizzati per risolvere un problema attraverso un numero finito di passi elementari in un tempo considerato ragionevole, siano soggetti a pregiudizi tali e quali gli esseri umani senza però che noi ce ne rendiamo conto. “Gli algoritmi apprendono dai dati e dalle esperienze e siccome i dati sono ricchi di bias, e non solo di genere, c’è un’elevata probabilità che nel prendere decisioni siano ‘ingannati’ proprio da quello da cui si cibano”, spiega Sonia Montegiove, analista programmatrice e giornalista. 

Un esempio che Montegiove porta è quello relativo all’algoritmo di Amazon che assumeva prioritariamente uomini in quanto i dati ‘storici’ avevano favorito le assunzioni maschili. Un altro esempio è quello relativo a Facebook, il cui algoritmo preposto alla segnalazione di annunci di lavoro evidenzierebbe per le utenti di sesso femminile solo annunci pubblicati da aziende che presentano già una buona percentuale di lavoratrici al proprio interno.

Ma non è tutto. Perché, spiega l’analista programmatrice, “i gruppi di progettazione It formati in prevalenza da uomini potrebbero essere portati a considerare solo una parte dei problemi, quelli che loro percepiscono”. Insomma i dati, su cui gli algoritmi si basano, sono tutt’altro che neutri.

Al “maschilismo” dei dati è stato dedicato anche un libro, Per soli uomini (Codice edizioni) scritto dai giornalisti Emanuela Griglié e Guido Romeo. I due autori partono dal presupposto che l’informazione, da cui gli algoritmi traggono nutrimento, sia ancora fortemente sbilanciata a svantaggio delle donne nonostante queste ultime siano presenti in gran numero nei media. E questo sia perché non tutte le donne sono consapevoli della discriminazione di genere, sia perché la presenza femminile è prevalente nei ranghi inferiori mentre è quasi del tutto assente nelle posizioni apicali.

“Occorrerebbe aprire dati di genere, ovvero nella loro produzione bisognerebbe avere un’attenzione particolare alla definizione del genere in modo che poi l’analisi dei dati, così come la data governance, possa tenere conto e valorizzare le differenze di abitudini, comportamenti e modi di pensare uomo/donna”, suggerisce Montegiove.

Ma che fare per invogliare bambine e ragazze ad appassionarsi all’informatica?

Qua e là fioriscono iniziative messe in atto da associazioni come Rosadigitale e la già citata Donne 4.0, oppure da Università come Ragazze Digitali che organizza dei summer camp rivolti a ragazze di terza e quarta superiore.

Ci si chiede però se dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza possa arrivare un impegno più strutturato, più ampio e maggiormente duraturo nel tempo. Per monitorare gli eventuali provvedimenti specificamente rivolti a questo settore è nato l’Osservatorio proposto dall’associazione di cui Darya Majidi è presidente, che ha stilato una serie di indicatori in base a cui valutare l’impatto del Pnrr.

Tra questi citiamo il Ruolo attivo nelle tecnologie innovative (35% di donne nei team di creazione e sviluppo), Bambine & Stem dalle primarie (formazione obbligatoria, a tutti i livelli di istruzione, sulle tecnologie digitali e sugli stereotipi di genere), Giovani Donne & Stem (50% di ragazze iscritte agli Its, 30% ai corsi di laurea Ict), rappresentanza femminile negli organi decisionali (40% di donne in posizione di leadership nei Cda di istituzioni, aziende pubbliche, associazioni e task force).

L’iniziativa riveste importanza anche perché in un periodo non facile a causa della pandemia queste tematiche rischiano di passare in secondo piano.  Riteniamo sia quindi importante tenere alta la guardia per non perdere un’opportunità storica di provare a colmare il gender gap digitale.

di Annamaria Vicini

lunedì 7 febbraio 2022