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In America Latina clima, violenze e social spingono sempre più persone a partire

Mentre Trump promette di rimpatriare i migranti irregolari, le piattaforme stanno trasformando la narrazione della migrazione, tra racconti dei viaggi nella giungla e disinformazione dell’estrema destra.

martedì 14 gennaio 2025
Tempo di lettura: min

Il 10 gennaio si è svolta la cerimonia di insediamento del presidente venezuelano Nicolás Maduro, al potere dal 2013 e in carica per altri sei anni. A luglio del 2024 il Consiglio elettorale nazionale, un’autorità controllata dal governo, lo aveva dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali, nonostante i brogli documentati; nel Paese sono scoppiate estese proteste, represse con la violenza, e la sua vittoria non è stata riconosciuta dai governi di molti Paesi, tra cui gli Stati Uniti e l’Unione europea. Il terzo mandato di Maduro e l’inasprimento del suo regime potrebbero peggiorare la crisi dei rifugiati venezuelani, già una delle più gravi al mondo.

Nonostante possieda una delle riserve di petrolio più grandi al mondo, da ormai più di dieci anni il Venezuela vive una profonda crisi economica, aggravata dall’isolamento e dalle sanzioni internazionali. L’82% dei venezuelani vive in povertà e il 53% si trova in condizioni di povertà estrema con un reddito insufficiente per acquistare bene alimentari di base. Secondo l’Unhcr, l’Altro commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, a causa della povertà, delle disuguaglianze e della repressione politica 7,7 milioni di venezuelani hanno lasciato il Paese (su una popolazione complessiva di 28 milioni di persone) nella seconda metà dello scorso decennio. Per la vicinanza geografica, linguistica e culturale, la maggior parte dei venezuelani (6,5 milioni) è sfollata in Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, anche se per molti l’obiettivo è arrivare negli Stati Uniti.

Chi attraversa l’America Latina e perché

Non sono solo i venezuelani a voler lasciare il proprio Paese. Secondo le ultime stime disponibili, aggiornate al 2020, oltre 25 milioni di persone residenti nei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno intrapreso il viaggio verso il Nord America, dove ora vivono. A questi si aggiungono altri 11 milioni di persone che si sono spostati in altri Paesi della regione.

Come sottolinea il World migration report 2024 pubblicato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’instabilità e l’insicurezza sono una delle cause principali delle migrazioni nella regione. È il caso della Colombia, dove continuano gli scontri e le violenze da parte dei gruppi armati, nonostante i tentativi del governo di portare avanti un processo di pace, e di Haiti, da anni sotto il controllo delle bande criminali. Anche in Ecuador negli ultimi anni sono aumentati gli episodi di violenza, legati in particolare al controllo del traffico di droga. A El Salvador le campagne contro il crimine organizzato sono state portate avanti dal presidente Nayib Bukele in maniera indiscriminata e con scarsa attenzione per il rispetto dei diritti umani. Anche in Nicaragua, tradizionalmente meno interessato da fenomeni di emigrazione di massa, centinaia di migliaia di persone stanno lasciando il Paese a causa dell’inflazione, della riduzione dei salari e delle misure sempre più autoritarie del governo.

I disastri ambientali e le conseguenze del cambiamento climatico aggravano la situazione. In Cile gli incendi del 2023 hanno distrutto migliaia di case e costretto oltre 7mila persone a evacuare. Nel 2022 le alluvioni in Brasile hanno causato 700mila sfollati, in Colombia 281mila. Con l’aumento degli eventi estremi sempre più persone dovranno emigrare: qualche anno fa la Banca mondiale ha stimato che entro il 2050 ci saranno fino a 17 milioni di migranti climatici nella regione; il Mayors migration council, una coalizione internazionali di sindaci, nel 2022 ha stimato che le città del Messico e degli altri Paesi del Centro America potrebbero dover accogliere 10,5 milioni di migranti climatici alla metà del secolo.

Il mondo non è pronto per la migrazione di massa causata dai cambiamenti climatici

Centinaia di milioni di persone dovranno lasciare le proprie case entro il 2050. Ma le strategie sono fragili e a livello internazionale non c’è accordo sulla definizione di rifugiato climatico.

di Andrea De Tommasi

Molti Paesi della regione stanno diventando il punto di partenza anche per i migranti provenienti dalla Cina, dall’India, dalla Turchia e dalla Russia che cercano di arrivare negli Stati Uniti. I cinesi, ad esempio, arrivano in volo fino all’Ecuador, che non richiede loro un visto per entrare nel Paese, e poi percorrono a piedi il lungo viaggio fino al confine statunitense; a El Salvador arrivano soprattutto viaggiatori indiani e africani. Come riporta l’Economist, nel 2023 43mila russi, 42mila indiani e 24mila cinesi hanno sorpassato il confine tra Messico e Stati Uniti, un aumento significativo rispetto ai 4.100 russi, 2.600 indiani e 450 cinesi del 2021. “Questa crescente migrazione globale verso i confini statunitensi dice qualcosa rispetto al potere duraturo dell’idea che gli Stati Uniti siano una terra di opportunità” scrive il settimanale inglese. Ed è probabile che questa idea continui anche nei prossimi anni.

Con l’aumento del numero di persone che provano a raggiungere gli Stati Uniti, il traffico di migranti è diventato sempre più redditizio, trasformandosi in un business da miliardi di dollari controllato dal crimine organizzato, in particolare dai cartelli della droga messicani. Per anni i “coyotes”, come vengono chiamati i trafficanti, pagavano una “tassa” ai gruppi armati per passare nelle aree sotto il loro controllo. Ora i cartelli sono direttamente coinvolti: utilizzano flotte di camion per trasportare i migranti e possiedono magazzini e hotel dove tenerli in ostaggio fino a che non vengono pagati.

Il ruolo dei social

Per raggiungere via terra il confine con gli Stati Uniti le persone che migrano dall’America Latina devono attraversare il Tapón del Darién (letteralmente il “tappo del Darién), una distesa di foreste pluviali, paludi e montagne di 25mila chilometri quadrati al confine tra Panamá e Colombia. È considerato uno dei percorsi più pericolosi del mondo, anche a causa della presenza di animali, bande criminali e trafficanti di droga. Fino a una decina di anni fa solo poche centinaia di persone osavano attraversarlo ogni anno, ma il numero è aumentato considerevolmente, fino a raggiungere nel 2023 il record di 520mila persone, provenienti da oltre cento Paesi.

Sui social network come Instagram, TikTok e YouTube sono sempre di più i contenuti che documentano il viaggio e danno consigli per affrontare i rischi. L’hashtag #selvadarien su TikTok ha milioni di visualizzazioni, #migracion oltre due miliardi. Nei gruppi Facebook le persone cercano compagni con cui affrontare il viaggio o informazioni dei propri cari scomparsi. I post sono scritti soprattutto in spagnolo e inglese, ma spesso anche in cinese, in hindi e in altre lingue parlate dalle persone che, da varie parti del mondo, arrivano in America centrale per cercare di entrare negli Stati Uniti. “Mentre i migranti raccontano online le loro fatiche i loro successi a milioni di persone rimaste a casa, alcuni stanno diventando delle piccole celebrità e influencer a pieno titolo, ispirando altri a intraprendere il viaggio” scrive il New York Times in un articolo che analizza come i social media stiano cambiando le migrazioni. Alcuni di questi video, tuttavia, possono contribuire ad alimentare una percezione distorta dei rischi e a sottovalutare la pericolosità del viaggio.

Anche i trafficanti, che in molti casi si fanno chiamare “guide” o “consulenti”, utilizzano i social per promuovere i propri servizi e condividere i propri contatti. C’entrano ancora i gruppi Facebook, dove vengono offerti veri e propri pacchetti di viaggio, compresi di pasti, traporto in barca, commissione per le guide e una “tassa locale” da pagare ai gruppi armati. Le piattaforme social fanno fatica a controllare e rimuovere questo genere di contenuti.

Il racconto social non finisce quando termina il viaggio. “Una volta che i migranti arrivano negli Stati Uniti, i loro account tendono a seguire modelli simili. I migranti iniziano a mostrare, in tempo reale, come vivono il sueño americano per cui hanno rischiato tutto” scrive il New Yorker. Nei video appaiono vestiti e accessori alla moda, skyline delle città e automobili lussuose, tutte immagini che trasmettono una sensazione di vittoria e trionfo. Le difficoltà da affrontare, come il costo degli affitti e il lavoro precario, non vengono invece raccontati e le conseguenze sulle persone che restano a casa sono significative. “Non hanno intenzione di ingannare nessuno”, spiega il periodico, “la maggior parte di loro sono semplicemente giovani adulti tra i venti e i trent’anni che trovano gratificazione dai like e dai follower e si sentono continuamente sotto pressione per mostrare la loro vita perfetta”.

Anche attivisti e influencer dell’estrema destra statunitense hanno iniziato a fare propaganda anti-immigrazione registrando video e interviste direttamente a Panamá: mostrano quasi solo giovani uomini, spesso definiti come “invasori” o “in età da militare”, mentre le donne e i bambini, che potrebbero generare maggiore empatia, sono assenti. Questo genere di contenuti alimenta una percezione distorta della realtà e diffonde notizie false sul rischio di una invasione di terroristi musulmani o sulle attività delle associazioni e delle organizzazioni non governative che offrono assistenza ai migranti, accusandole di favorire l’immigrazione e trarne profitto.

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Cosa succederà con l’amministrazione Trump?

Durante la campagna elettorale Donald Trump ha detto spesso di voler realizzare la “più grande operazioni di massa della storia americana”, rimpatriando milioni di migranti irregolari che vivono negli Stati Uniti. Questa misura, di cui si è parlato in termini molto vaghi, avrebbe enormi ripercussioni per la popolazione latino-americana: si stima che degli 11 milioni di persone residenti negli Usa illegalmente, oltre quattro milioni siano messicani, due milioni vengano dall’America Centrale, 800mila dal Sud America e 400mila dalla regione caraibica.

Non è chiaro come risponderanno questi Paesi a un eventuale piano di rimpatri. La presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, aveva inizialmente detto che il Paese non avrebbe accettato persone straniere rimpatriate, ma a inizio gennaio del 2025 ha cambiato idea, offrendosi di collaborare nel caso non ci fossero alternative. La presidente dell’Honduras, Xiaomara Castro, ha minacciato di chiudere le basi militari statunitensi presenti nel Paese in caso l’operazione venga messa in atto. Il Venezuela e Cuba probabilmente si opporranno. Il Guatemala, durante la prima amministrazione Trump, aveva stretto un accordo con cui si richiedeva alle persone migranti di rifugiarsi nel Paese prima di fare domanda di asilo negli Stati Uniti; recentemente il governo si espresso sul piano di Trump definendo falsi alcuni documenti che affermavano la disponibilità del Paese ad accogliere stranieri rimpatriati.

Oltre a stringere accordi con altri Paesi sull’accoglienza dei migranti, come appunto con il Guatemala, Trump probabilmente adotterà misure ancora più repressive per impedire l’ingresso al confine con il Messico. Negare l’accesso negli Stati Uniti o inasprire i controlli non fermerà l’arrivo dei migranti, ma creerà solo maggiori situazioni di clandestinità. Eppure, come sottolinea il New Yorker, gli Usa hanno bisogno dell’immigrazione per contrastare il calo e l’invecchiamento della popolazione: anche considerando l’arrivo di nuove persone migranti, la forza lavoro statunitense tra i 25 e i 54 anni crescerà solo dell’0,2% all’anno tra il 2023 e il 2052, un quinto rispetto ai tassi di crescita del periodo 1980-2021.

Intanto, in uno degli ultimi atti dell’amministrazione Biden, l’11 gennaio il dipartimento per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti ha esteso per 18 mesi il programma di Temporary protected status per circa 900mila persone provenienti da Venezuela, El Salvador, Ucraina e Suda, proteggendoli dall’espulsione e permettendo loro di lavorare legalmente nel Paese.

Copertina: L'Odyssée Belle/unsplash