Esiste davvero una tendenza globale verso l’abolizione della pena di morte?
Cresce il numero di Paesi che l’abbandonano nelle norme o nella prassi, ma un nucleo di “irriducibili” continua ad applicarla. La prossima risoluzione Onu a dicembre potrebbe ricevere però nuove adesioni.
Dalla fine degli anni Settanta il numero degli Stati che praticano la pena di morte è diminuito drasticamente in tutto il mondo. Oggi 112 Stati sono completamente abolizionisti, su un totale di 144 Paesi che hanno abbandonato la pena capitale nelle leggi o nella prassi. Esistono 55 nazioni che la mantengono in vigore, ma quelle che eseguono condanne a morte sono un terzo. Il numero delle esecuzioni è però in aumento a livello globale. Secondo gli ultimi dati di Amnesty international, nel 2023 c’è stato il più alto numero di esecuzioni (1.153) da quasi un decennio, con un netto aumento registrato nel Medio Oriente.
I dati di Amnesty International sono ricavati da statistiche ufficiali, resoconti dei media e informazioni trasmesse da individui condannati a morte o dalle loro famiglie. Per questo l’organizzazione ha specificato che la cifra non include migliaia di condanne a morte che si ritiene siano state eseguite in Cina, dove i dati non sono disponibili a causa del segreto di Stato. Ma il significativo incremento degli ultimi 12 mesi è stato dovuto soprattutto all’Iran, dove le uccisioni sono quasi raddoppiate rispetto all’anno precedente, principalmente a causa dei picchi per reati legati alla droga. Le autorità iraniane sono state anche accusate di aver torturato e ucciso i manifestanti durante le repressioni delle proteste per la morte di Masha Amini, la giovane iraniana morta il 16 settembre 2022 perché non indossava correttamente il velo. Un rapporto commissionato dalle Nazioni unite ha accusato le forze di sicurezza iraniane di “crimini contro l’umanità”. Sul fronte della pena di morte, passi indietro sono stati registrati anche negli Stati Uniti d’America e nell’Africa subsahariana.
Nonostante i segnali negativi, la linea di tendenza a livello globale resta però confortante. Nel 2023 ci sono state esecuzioni in 16 Stati, il più basso numero mai registrato da Amnesty international. A differenza del 2022, non sono state effettuate esecuzioni in Giappone, Myanmar, Sud Sudan e Bielorussia, l'unico Paese in Europa che continua ad ammettere la pena capitale (in Russia c’è una moratoria).
Le prospettive dell’abolizione
Diversi Paesi, dunque, stanno facendo passi incoraggianti, ma per arrivare all’abolizione globale bisognerà aspettare. “La pena di morte è una punizione crudele, inumana e degradante, che la maggior parte dei Paesi ha fortunatamente consegnato alla storia”, ci dice Alba Bonetti, presidente di Amnesty international Italia. “La vera questione ormai non è ‘se’ sarà abolita ovunque nel mondo, ma ‘quando’. Anche se il traguardo è visibile, probabilmente ci vorranno ancora decenni prima che solo una manciata di Stati irriducibili continuerà ad applicarla. Grazie ai nostri sforzi, Paesi come Andorra, Irlanda, Mozambico, Nigeria, Ungheria e molti altri l'hanno abolita. Ma il lavoro da fare è ancora tanto”.
Secondo Elisabetta Zamparutti, tesoriere dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, “il trend abolizionista è indiscutibile. È un processo storico in corso che la nostra associazione ha contribuito ad accelerare politicamente attraverso la battaglia che ha portato all’approvazione della Risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali da parte della Assemblea generale dell'Onu. Ora vediamo una progressiva concentrazione in un nucleo di Paesi resistenti all’abolizione, prevalentemente illiberali, quasi a marcare una volontà di chiamarsi fuori dalla comunità internazionale. La Cina, che era primatista mondiale per numero di esecuzioni, ha introdotto riforme che hanno contribuito a ridurre l’uso della pena capitale. L’Iran, che oggi detiene il primato di esecuzioni in rapporto alla popolazione, continua invece a usarla in maniera massiccia, così come l’Arabia Saudita e altri Paesi fondamentalisti”. Per Zamparutti la battaglia per l’abolizione deve essere condotta però con diversi strumenti: “Il trend cresce e accelera quanto più c’è conoscenza, altrimenti il rischio è quello di appiattirsi su un’idea di giustizia vendicativa. Servono trasparenza, dibattiti pubblici, confronti delle diverse posizioni. Dobbiamo anche liberarci del paradigma ‘patibolare’ di una pena che oggi ha una predominante funzione afflittiva”. Sul sito nessunotocchicaino.it sono disponibili, oltre alle notizie sulla pena di morte da tutto il mondo, le schede dei singoli Paesi e i testi dei documenti Onu.
Tra errori giudiziari e discriminazioni
“La pena capitale è il più premeditato degli omicidi”, scriveva Albert Camus nel saggio Réflections sur la guillotine (1957). Oggi, sebbene il diritto internazionale consenta la pena di morte in circostanze molto limitate, alcuni Stati continuano a utilizzarla anche per crimini che non comportano direttamente e intenzionalmente la morte, come la blasfemia, l’adulterio e i reati legati alla droga. Eppure le prove suggeriscono che la pena di morte ha poco o nessun effetto nello scoraggiare o ridurre la criminalità. Esistono anche prove che le condanne a morte sono state applicate in modo discriminatorio nei confronti di minoranze sulla base dell’origine etnica, la religione, l’orientamento sessuale o l’identità di genere. La pena di morte non è stata inoltre esente da gravi errori giudiziari. Per questi motivi, in molti Paesi le opinioni pubbliche stanno diventando sempre più contrarie a tale soluzione, spingendo i governi a rivedere le loro posizioni.
Pochi giorni fa, all’indomani della pubblicazione del Rapporto annuale di Amnesty, monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha dichiarato: “La speranza è che l’esempio si allarghi, e che quei Paesi che hanno abbandonato la pena di morte, o per abolizione o per moratoria, possano ispirare chi ancora la mette in pratica”. Il 9 maggio era stato Papa Francesco, nella Bolla di indizione dell’anno Santo per il 2025, a definire la pena di morte un “provvedimento contrario alla fede cristiana, che annienta ogni speranza di perdono e di rinnovamento”, invitando Pastori e credenti a chiederne “con coraggio” l’abolizione.
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Cosa si muove nel mondo
Gli Stati Uniti e il Giappone sono gli unici due Paesi del G7 a mantenere la pena di morte. Ma nel 2023 il Giappone non ha effettuato alcuna esecuzione e ha imposto “solo” tre nuove condanne a morte. Invece negli Usa il totale annuale delle condanne e delle esecuzioni è stato il più alto rispettivamente dal 2019 e dal 2018, anche se riflette tendenze storicamente basse. Molti osservatori ritengono che la pena di morte stia gradualmente scomparendo negli Stati Uniti. D’altronde, il sostegno dei cittadini americani è ai livelli più bassi di sempre. Dal 2000 la Gallup crime survey si interroga sull’equità dell’applicazione della pena di morte negli Usa. Per la prima volta, l’indagine dell’ottobre 2023 riporta che più americani ritengono che la pena di morte sia applicata ingiustamente (50%) che in modo equo (47%).
Nel frattempo, la pena di morte è entrata a più riprese nelle presidenziali americane. Donald Trump ha sostenuto che le condanne a morte per gli spacciatori risolveranno il problema della droga negli Stati Uniti. I repubblicani del Texas, durante una recente convention, hanno votato una piattaforma in cui si chiede, tra l’altro, di equiparare l’aborto all’omicidio, che nello Stato è punito con pene fino a 99 anni di carcere ma può anche portare alla sentenza capitale. Intanto in Pennsylvania la Corte Suprema dello Stato ha ripristinato la pena di morte per Kevin Dowling, condannato per l’omicidio di una donna avvenuto nel 1995.
Qualche giorno fa il Parlamento di Tonga, Paese abolizionista de facto, ha respinto la proposta di utilizzare la pena capitale come deterrente per i reati di droga, ha riportato Rnz. I voti contrari alla proposta sono stati 38 e 8 i favorevoli. Nel Paese la pena di morte rimane nei codici, ma non viene applicata da più di 40 anni. A maggio nello Zimbabwe si sono svolte udienze pubbliche per la proposta di legge sull'abolizione della pena di morte. In Nigeria, invece, il disegno di legge che rende l'importazione e la distribuzione di droghe pesanti (ad esempio cocaina ed eroina) reati punibili con la morte è stato approvato dal Senato e ora attende l'approvazione della Camera dei Rappresentanti.
Il supporto crescente alla risoluzione Onu
Nel 2007, l’Assemblea Generale delle Nazioni unite ha adottato una risoluzione che chiede una moratoria mondiale sulla pena di morte in vista dell’abolizione totale. In ciascuna delle otto sessioni dell’Assemblea Generale – la risoluzione è biennale – l’Onu ha approvato nuove versioni del testo, con il voto del 15 dicembre 2022 che ha ricevuto 125 sì, 37 contrari e 22 astensioni. Per la prima volta, tre Paesi africani che si erano astenuti nelle votazioni precedenti (Ghana, Liberia e Uganda) hanno espresso parere favorevole. Gli Stati Uniti, insieme a Iran, Arabia Saudita, Corea del Nord, Cina e Vietnam hanno votato no. La prossima risoluzione sulla moratoria, la decima, sarà adottata il prossimo dicembre e, secondo molti osservatori, l’obiettivo sarà quello di raggiungere l’ok dei 2/3 degli Stati membri dell’Onu. “Sarà un passaggio importante”, ha scritto Marco Impagliazzo in un editoriale sul sito della Comunità di Sant’Egidio, “perché non si tratta solo di ribadire un principio: da quando è stato fissato quello standard etico e politico all'Onu ogni esecuzione è percepita come più pesante andando contro il sentire di una grande parte del mondo”.
Copertina: Matthew Ansley/unsplash