Il futuro incerto degli sport invernali in un mondo con sempre meno neve
Secondo il Cio nel 2040 solo dieci Paesi potrebbero ospitare le Olimpiadi invernali. Per affrontare la carenza di neve si ricorre sempre più spesso a quella artificiale, con alti costi ambientali. Ma si fanno strada anche soluzioni alternative.
Il Comitato olimpico internazionale (Cio) si prepara a festeggiare il centesimo anniversario dei Giochi olimpici invernali, che si sono svolti per la prima volta a Chamonix, in Francia, tra il 25 gennaio e il 5 febbraio 1924. Nei prossimi cento anni gli sport invernali potrebbero essere a rischio a causa del cambiamento climatico. “L’aumento delle temperature globali, la risalita del limite delle nevi perenni e la riduzione della durata dell’inverno nei climi temperati del Nord e del Sud sono tutte sfide che gli sport invernali dovranno affrontare”, ha scritto Thomas Bach, presidente del Cio, nell’introduzione alla rivista Olympic review.
Il 2023 sarà probabilmente l’anno più caldo di sempre, con una temperatura media globale dei primi dieci mesi superiore di 1,4°C rispetto ai livelli preindustriali. Secondo le stime dell’Emission gap report 2023 del Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep), se venissero rispettati i contributi determinati a livello nazionale (National determined contribution) entro la fine del secolo la temperatura potrebbe aumentare di 2,9°C.
Con l’incremento della temperatura e l’aggravarsi delle conseguenze della crisi climatica diminuiranno anche le sedi disponibili per i Giochi olimpici invernali: dagli studi commissionati dal Coi è emerso che nel 2040 solo dieci Paesi rispetteranno i requisiti per ospitare le Olimpiadi invernali. A dicembre del 2022 il Comitato ha individuato due criteri per la scelta del Paese ospitante: l’utilizzo di strutture già esistenti o temporanee e l’affidabilità climatica fino a metà del secolo dei luoghi proposti. Si sta valutando anche la possibilità di individuare la sede tra un gruppo ristretto di Paesi o tra gli Stati in cui la temperatura media prevista durante lo svolgimento sia inferiore a zero.
Sempre meno neve
Il problema principale riguarda la carenza di neve: come dimostrano i dati sintetizzati da Copernicus, l’osservatorio della Terra dell’Agenzia europea per l’ambiente, le nevicate diventano meno frequenti e vengono sostituite dalla pioggia. Nel Sud della Svezia, ad esempio, oggi il 22% delle precipitazioni tra dicembre e gennaio è costituito da neve. In uno scenario di aumento della temperatura di 3°C, questa percentuale potrebbe scendere al 9% entro la fine del secolo.
Percentuale di nevicate sul totale delle precipitazioni nel 2020 (a sinistra) e nel 2094 (a destra) in uno scenario di aumento della temperatura di 3°C entro la fine del secolo – Fonte: Copernicus
La neve resta sempre meno sulle montagne: tra il 1971 e il 2021 i giorni in cui le Alpi sono state coperte dalla neve sono diminuiti del 5,6% ogni decennio. Nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese (36 giorni) rispetto alla media sul lungo periodo degli ultimi 600 anni. Il manto nevoso è fondamentale per l’alimentazione e la nidificazione degli animali, per la tutela del suolo durante i mesi invernali e per la creazione di scorte idriche necessarie per il periodo primaverile ed estivo. La superficie chiara della neve riflette l’energia solare, trattenendo meno calore e contribuendo a raffreddare il clima.
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La neve naturale sulle Alpi potrebbe scomparire entro pochi decenni, e quella artificiale solleva preoccupazioni ambientali. Molte stazioni sciistiche potrebbero non sopravvivere.
Adattarsi alle nuove condizioni climatiche
Per affrontare la carenza di neve le strutture sciistiche fanno affidamento sulla neve artificiale, cercando di rendersi indipendenti dalle condizioni ambientali e climatiche. Anche per i Giochi olimpici invernali è stata utilizzata questa soluzione già a partire dall’edizione del 1980 a Lake Placid, negli Stati Uniti. Quarantadue anni dopo, alle Olimpiadi di Pechino del 2022, le gare si sono svolte interamente su neve artificiale.
La neve artificiale si fonde più lentamente ed è più compatta di quella naturale, ma la sua produzione è costosa e poco efficiente. Consuma enormi quantità di energia, prodotte principalmente da fonti fossili e necessita di molta acqua, con conseguenze sociali e ambientali nei territori maggiormente a rischio di siccità. Il consumo di acqua continuerà ad aumentare: uno studio dell’Università di Basilea ha calcolato che la domanda di risorse idriche dei resort che si trovano sotto i 1.800-2mila metri di altezza potrebbe aumentare dell’80% entro il 2100, passando da 300 milioni a 540 milioni di litri necessari ogni inverno. La maggior parte dei cannoni da neve, inoltre, richiede condizioni meteo specifiche, in particolare per la temperatura e i tassi di umidità nell’aria.
Nonostante gli elevati costi ambientali ed economici, sempre più strutture fanno affidamento sulla neve artificiale. L’Italia, con le sue località sciistiche a bassa quota, è tra i Paesi più dipendenti: secondo il dossier di Legambiente “Nevediversa 2023. Il turismo invernale nell’era della crisi climatica”, il 90% delle piste italiane viene innevato artificialmente. La percentuale scende al 70% in Austria, al 50% in Svizzera, al 39% in Francia e al 25% in Germania.
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Un rapporto di Legambiente si muove alla ricerca di una possibile soluzione per il futuro della montagna, tra buone pratiche, tecnologie innovative e tools digitali: per uno sviluppo efficace nel rispetto delle risorse naturali.
Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature climate change ha preso in esame oltre 2mila stazioni sciistiche in 28 Paesi europei per studiare gli effetti del riscaldamento globale sulle loro attività. Senza l’utilizzo della neve artificiale e in uno scenario di aumento della temperatura di 2°C entro la fine del secolo, il 53% delle stazioni sciistiche potrebbe trovarsi in una situazione molto a rischio per l’approvvigionamento di neve. In uno scenario di aumento della temperatura di 4°C sarebbero il 98%. Con l’utilizzo della neve artificiale, invece, le percentuali scenderebbero rispettivamente al 27% e al 71%.
Un’altra soluzione adottata in alcuni territori è lo snowfarming: a fine inverno la neve artificiale viene accumulata e ricoperta di segatura o cippato di legno, o in alcuni casi con uno telo isolante, per essere conservata fino all’autunno successivo, anticipando l’inizio della stagione sciistica. È quanto successo alle Olimpiadi di Sochi, in Russia, nel 2014. In altri casi i resort e le strutture turistiche hanno deciso invece di diversificare le attività offerte, curando ad esempio percorsi per il trekking o per le mountainbike e cercando nuovi modi di attrarre turismo. Come fanno diverse associazioni con progetti che puntano a mantenere viva l’attrattività della montagna durante tutto l’anno, al di là della stagione sciistica.
Immagine di copertina: bakulov/123rf