Entro il 2100 la riduzione degli stock ittici rischia di generare nuovi conflitti
Secondo recenti studi, la metà dei pesci lascerà i propri habitat. Gli effetti di cambiamenti climatici, pesca eccessiva e inquinamento da mercurio influiscono sul settore, mettendo a rischio gli equilibri tra Paesi confinanti.
di Tommaso Tautonico
Il 22 luglio scorso la temperatura della superficie del mare ha mostrato un’anomalia fino a +5° lungo le coste della Francia e dell’Italia: l’effetto è stato documentato dal servizio di monitoraggio dell’ambiente marino del sistema satellitare Copernicus (Cmems). L’anno scorso, nonostante fosse in corso La Niña, un evento ricorrente che raffredda le acque del Pacifico, si è registrato un record di calore nei primi duemila metri della colonna d’acqua di tutti gli oceani del mondo. Il cambiamento climatico sta influenzando la pesca, compromettendo il futuro di milioni di persone che dipendono da questa preziosa risorsa. Studi recenti hanno osservato cambiamenti fondamentali nella biogeochimica degli oceani, tra cui l'aumento delle temperature della superficie e del fondale del mare, mutamenti nella produzione primaria, ossia la quantità totale di materia organica prodotta attraverso la fotosintesi, riduzione del pH, diminuzione dei livelli di ossigeno nel sottosuolo delle acque costiere. La maggior parte di questi disturbi causati dall’azione umana sull’ambiente marino è legata alle emissioni di combustibili fossili e all'uso di fertilizzanti, che si prevede aumenterà negli anni a venire, ponendo ulteriori pressioni all'ecosistema marino.
In guerra per il pesce. Già nel 2050 queste pressioni porterebbero a una riduzione degli stock ittici del 40% nelle aree tropicali e a una variazione nella loro distribuzione: è quanto evidenziato dalla ricerca “Timing and magnitude of climate-driven range shifts in transboundary fish stocks challenge their management” pubblicata sulla rivista Global Change Biology, secondo cui entro il 2100, i cambiamenti climatici sposteranno la distribuzione degli stock ittici condivisi tra le Zone economiche esclusive (Zee) dei Paesi vicini, ossia quelle vaste aree in cui ciascuno Stato costiero esercita la giurisdizione in materia di impianti e strutture, ricerca scientifica marina, protezione e preservazione dell’ambiente marino. Lo studio dimostra che, entro il 2030, il 23% delle risorse ittiche non vivrà più nel proprio habitat storico, e il 78% delle Zee sarà interessato dallo spostamento di almeno una risorsa ittica. Entro la fine di questo secolo, le proiezioni mostrano che il 45% delle risorse migrerà, coinvolgendo l'81% delle Zee.
A farne le spese, prevede lo studio, saranno la maggior parte delle Zee tropicali, con America Latina, Caraibi, Melanesia e Polinesia destinate a subire cambiamenti in anticipo rispetto alle altre regioni. Regioni come i Caraibi, caratterizzate da alti livelli di riscaldamento delle acque, sono interessate da un gran numero di Zee relativamente piccole che confinano con più Paesi. Questo significa che in futuro, pur di garantire la sopravvivenza della popolazione e garantire gli attuali stock ittici, i cittadini di questi Paesi saranno costretti a valicare i loro confini per continuare a pescare, mettendo a rischio gli equilibri di pace tra stati confinanti. “L'instabilità sociale incombe perché la generosità che gli oceani possono fornire sta diventando sempre più instabile”, ha constatato il Wwf in un recente articolo, ricordando come “Tra la seconda guerra mondiale e il crollo dell'Unione Sovietica, un quarto di tutte le controversie militarizzate interstatali sono state combattute sulla pesca e i dati degli ultimi quattro decenni mostrano che invece di placarsi, le controversie sono aumentate di 20 volte”.
Ci sono già indicazioni che la scarsità di risorse rischia di alimentare livelli elevati di fame in alcune regioni del mondo. Secondo lo studio “Impact of ocean warming, overfishing and mercury on European fisheries: a risk assessment and policy solution framework”, pubblicato su Frontiers in Marine Science dai ricercatori dell’Università della Columbia britannica, in mancanza di un cambio di rotta, entro il 2100 la quantità di pesce che si trovano negli oceani sarà molto inferiore rispetto a quella attuale.
Pesca eccessiva e inquinamento da mercurio. Lo studio analizza gli impatti combinati del riscaldamento degli oceani, della pesca eccessiva e dell'inquinamento da mercurio nelle acque europee, evidenziando come l'interazione di questi fattori di stress danneggi la salute della fauna marina, riducendo qualità e quantità della pesca. Stime recenti indicano che tra il 40 e il 70% degli stock ittici nelle acque europee sono attualmente sovrasfruttati. La pesca eccessiva rende la produzione totale più vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici, provocando cambiamenti nelle dimensioni dei pesci, nella composizione delle specie e nella modifica degli habitat. Il tonno pescato illegalmente nell’Africa occidentale e immesso sui mercati dell’Unione europea rappresenta uno degli esempi più diffusi. Inoltre, continua la ricerca, il riscaldamento continuo ostacola gli sforzi per ricostruire le popolazioni sovrasfruttate.
La proliferazione di inquinanti chimici come il mercurio è diventata una questione ambientale di primo piano: queste componenti, ricorda lo studio, si accumulano nei tessuti degli organismi marini e passano nella catena alimentare, rappresentando una seria minaccia per la salute umana. Una maggiore concentrazione di mercurio è stata individuata su diverse specie ittiche commerciali come la rana pescatrice, la sogliola, il cefalo, il pesce spada, lo sgombro e il merluzzo.
Nonostante siano noti gli effetti benefici del consumo di pesce sulla salute umana, alti livelli di mercurio nelle specie più commerciali, rischiano di avere effetti sulle future generazioni. Una notevole quantità di metilmercurio da consumo di pesce può avere effetti sul sistema nervoso, cardiovascolare, immunitario e riproduttivo. Alcuni studi hanno scoperto che i bambini esposti al mercurio nel periodo prenatale presentavano difetti nell'attenzione, nel linguaggio, nella memoria e nella funzione motoria.
Una governance dal basso. Entrambi gli studi concordano che per raggiungere gli obiettivi fissati dal Goal 14 “Vita sott’acqua” sarà essenziale che le parti interessate, compresi i governi, i pescatori, i gestori delle risorse e i cittadini, collaborino per una governance della pesca che coinvolga tutti, che parta dal basso, che monitori i parametri ambientali, e preveda la realizzazione di un piano di gestione del rischio capace di affrontare e combattere in modo proattivo i molteplici fattori di stress antropico. Sarà necessario implementare azioni mirate per mitigare ed eliminare l'inquinamento da mercurio, che neutralizzino le emissioni di carbonio e promuovano attività di pesca sostenibili, eliminando i sussidi alla pesca dannosi. Lo sviluppo di politiche previsionali per affrontare lo spostamento degli stock transfrontalieri sarà fondamentale per raggiungere gli SDGs, garantire un'efficace governance della pesca mondiale, evitando possibili conflitti per l’approvvigionamento degli stock ittici.