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L’Europa e quell’unione fiscale mancante

Gli ostacoli al coordinamento della fiscalità impediscono un effettivo progresso verso l’integrazione tra i Paesi.

di Andrea De Tommasi

Qualche giorno fa il Tribunale dell’Unione europea ha annullato la decisione di Bruxelles che nel 2016 aveva costretto Apple a versare 13 miliardi di euro di imposte arretrate all’Irlanda. Il braccio di ferro riguardava i presunti aiuti illegali, sotto forma di sconti fiscali concessi da Dublino, che faceva pagare all’azienda di Cupertino solo lo 0,005 per cento degli utili registrati nel 2014. L’Antitrust guidato da Margrethe Vestager aveva classificato quell’intesa come un aiuto di Stato e per questo ne aveva imposto la restituzione. Negli ultimi anni molti tax ruling sono finiti sotto indagine da parte della Commissione europea, come nei casi di Starbucks (2007) per l’Olanda, di FCA (2012) e Amazon (2003) per il Lussemburgo e il caso più noto di Apple per l’Irlanda.

È chiaro che se lo sconto fiscale è un aiuto di Stato distorce la competizione tra le aziende e viene vietato dalla normativa europea. L’impresa che dispone di un aiuto di Stato compete meglio rispetto alle altre e ricava un indebito vantaggio nei confronti dei concorrenti degli altri Paesi Ue. Fa riflettere però un aspetto nella sentenza del Tribunale europeo su Apple. La Corte non sostiene che l’azione dell’Antitrust nei confronti dell’intesa fiscale sia infondata, ma che “la Commissione non è riuscita a dimostrare in modo giuridicamente adeguato l'esistenza di un vantaggio anticoncorrenziale”. In questo modo sembra lasciare aperto lo spazio per un ulteriore livello di ricerche e analisi. E ancora, la sentenza non manca di rilevare “il carattere incoerente degli accordi fiscali contestati”. Il riferimento è alle due società di diritto irlandese, Apple Sales International e Apple Operations Europe, create dall’azienda di Cupertino. Come si vede, la vicenda è piuttosto complessa, se è vero che sulla possibilità di un nuovo ricorso Margrethe Vestager ha mostrato prudenza: “Studieremo attentamente la sentenza e rifletteremo sui possibili passi successivi”.

 

I paradisi fiscali

La decisione che riguarda Apple, quale sarà l’esito finale, si innesta nella battaglia europea contro i paradisi fiscali. Mentre dal Tribunale arrivava la doccia fredda sui tax ruling irlandesi, il 17 luglio la Commissione ha lanciato una nuova offensiva contro l’evasione fiscale e la politica fiscale aggressiva, in Europa e nel mondo. La Commissione ha lanciato un piano d’azione “per una tassazione equa e semplice che sostenga la ripresa”, che contiene 25 iniziative da attuare entro il 2024. Tra queste, ridurre gli ostacoli amministrativi per le imprese, attraverso una semplificazione fiscale che vada anche verso un sistema europeo dell'Iva; aiutare le autorità a condividere dati in modo efficiente per combattere frode ed evasione; rivedere la direttiva sulla cooperazione amministrativa per estendere le regole sulla trasparenza anche alle piattaforme digitali. C'è poi la riforma del Codice di condotta per la tassazione delle imprese, per assicurare che possa effettivamente individuare e contrastare tutte le forme di concorrenza fiscale sleale e dannosa.

Secondo i dati della Commissione europea, l’evasione fiscale internazionale degli individui in Ue ammonta a 46 miliardi di euro all'anno, quella delle imprese a 35 e le frodi sull'Iva transfrontaliera a 50 miliardi. “Uno scandalo che non può più essere tollerato”, l’ha definito il commissario all'economia e alla fiscalità, Paolo Gentiloni, presentando il nuovo piano della Commissione.

L’Osservatorio dell’università Cattolica diretto da Carlo Cottarelli ha elaborato uno studio, evidenziando le differenti aliquote praticate nei Paesi e i conseguenti differenti gettiti per l’erario a seconda degli accordi con le grandi multinazionali che ottengono un trattamento di favore da piccoli Paesi la cui perdita erariale è minima perché compensata dall’enorme afflusso di investimenti diretti dall’estero. La Commissione li classifica come “Paesi fiscalmente aggressivi”, ma secondo lo studio questo non ha nessuna conseguenza pratica, se non attraverso un generico processo di “name and shame”. È il caso di Cipro, Malta, Ungheria, Lussemburgo, Irlanda e dell’Olanda del premier Rutte che è stato fortemente critico sulle capacità di rimborso dell’Italia nella trattativa sugli aiuti per uscire dalla crisi causata dal Covid-19.

Nell’analisi dell’Osservatorio, i benefici concessi alle società da questi Paesi prendono diverse forme: “L’aliquota di tassazione societaria può essere molto bassa. Cipro e Irlanda hanno un’aliquota del 13 per cento e l’Ungheria del 9 per cento. Si consideri che Italia, Francia e Germania hanno aliquote rispettivamente del 28, 34 e 30 per cento”. Esistono trattamenti specifici (tax ruling) che possono essere accordati alle multinazionali. Si tratta di lettere di patronage tramite le quali una multinazionale concorda con un Paese il trattamento fiscale da ricevere per un certo periodo. Sussistono deduzioni che possono ridurre la base imponibile e detrazioni che possono ridurre le tasse effettivamente dovute. Secondo lo studio “Corporate Tax Haven Index 2019” del Tax Justice Network, le aliquote statutarie che ogni Paese dichiara in alcuni casi differiscono fortemente dall’aliquota realmente applicata per effetti di deduzioni, detrazioni, e applicazione dei tax ruling. L’Osservatorio conclude che “in presenza di forti differenze nelle aliquote effettive di tassazione, è forte l’incentivo a spostare artificialmente i profitti nei Paesi a bassa tassazione attraverso pianificazioni fiscali aggressive (vere e proprie pratiche di elusione) da parte delle multinazionali, per esempio usando pratiche di “transfer pricing” (transazioni all’interno di un gruppo multinazionali a prezzi fittizi)”.

Uno studio condotto da Tax Justice Network sulla base dell’ultimo rapporto Ocse sulla Corporate tax ha rilevato che le società multinazionali hanno trasferito 467 dollari di profitti in 15 centri offshore, causando mancati introiti pari a 117 miliardi di dollari. I dati provengono da 15 Paesi e evidenziano anche che il Regno Unito, la Svizzera, il Lussemburgo e i Paesi Bassi - ovvero l’”asse dell’elusione fiscale” - sono responsabili da soli del 72% delle perdite fiscali subite dai governi di tutto il mondo a causa dei mancati introiti delle tasse delle grandi società.

Una questione, questa del dumping fiscale, sulla quale è intervenuto il 2 luglio il presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Roberto Rustichelli, in audizione in commissione alla Camera: “L’esperienza, unica nella storia del nostro continente, di un’unione monetaria accompagnata da una crescente integrazione dei mercati reali e finanziari è sempre più incrinata dall’assenza di stringenti regole comuni fiscali e contributive”, ha osservato il presidente dell’Autority, precisando che questo sistema toglie all’Italia ricavi tra i 5 e gli 8 miliardi di euro all’anno. Rustichelli è poi intervenuto su un altro tema che da anni tiene banco a Bruxelles, ossia quello di una web tax. La tassazione delle attività dei giganti digitali (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) è una delle principali tematiche che devono certamente essere affrontate dall’Europa”, ha affermato Rustichelli.

 

L’unanimità

Dalla fondazione della Comunità europea a oggi i numerosi tentativi volti a raggiungere un sistema comune consolidato di imposizione non hanno quasi mai avuto successo, rinviando il traguardo di una piena armonizzazione fiscale dell’Ue. D’altra parte molti osservatori sostengono che se l’Unione europea vuole dotarsi di politiche economiche, fiscali e del lavoro comuni è indispensabile modificare la regola dell’unanimità. Ai sensi del diritto dell'Ue, la fiscalità rimane di competenza nazionale. Gli Stati membri possono decidere di rimuovere il veto sulle questioni fiscali, ma ciò può avvenire solo all'unanimità. Tuttavia, la Commissione ha recentemente proposto di utilizzare l'articolo 116 del Trattato di Lisbona per aggirare il veto nazionale sulle questioni fiscali: "Per realizzare pienamente l'agenda fiscale equa dell'Ue, tutte le leve politiche esistenti devono essere attivate”, afferma la nota. “È in questo contesto che la Commissione esplorerà come sfruttare appieno le disposizioni del trattato sul funzionamento dell'Ue, che consentono di adottare proposte in materia di tassazione mediante procedura legislativa ordinaria, compreso l'articolo 116”. L’articolo 116 stabilisce che se la Commissione ritiene che le differenze nelle modalità di attuazione delle norme Ue negli Stati membri finiscano per distorcere la concorrenza all’interno del mercato unico, può “emanare le direttive necessarie” attraverso la “procedura legislativa ordinaria”. Ciò significherebbe passare al voto a maggioranza qualificata anziché all’unanimità.

 

di Andrea De Tommasi

mercoledì 29 luglio 2020