Economia: il sorpasso Cina/Usa ci sarà, ma avverrà molto più in là
Il Dragone rallenta: colpa dell’aumentato indebitamento, della riduzione dei consumi, del mismatch nel mercato del lavoro. E anche del declino demografico che induce ad auspicare un ritorno delle donne al ruolo prevalente di madri.
Fin dagli inizi di questo secolo, gli esperti e gli studiosi hanno provato a ipotizzare la data in cui la Cina sarebbe diventata la prima economia del mondo, con un Prodotto interno lordo (Pil) complessivamente superiore a quello degli Stati Uniti, pur continuando ad avere un reddito pro capite molto minore, se si considera la diversa dimensione demografica. Tuttavia, il rallentamento della crescita economica, la crisi del mercato immobiliare, la riduzione dei consumi e il declino demografico verificatisi negli ultimi anni sembrano allontanare la Cina da questo obiettivo.
La banca d’affari Goldman Sachs, ad esempio, nel 2011 aveva previsto che il sorpasso sarebbe avvenuto nel 2026. Nel 2022 ha rivisto le proprie stime: la Cina dovrebbe superare gli Usa nel 2035, mentre nel 2075 l’India diventerebbe la seconda potenza economica. Il Centre for economics and business research, una società di consulenza economica del Regno Unito, nel 2014 aveva individuato il 2025 come l’anno del sorpasso, ma nel 2023 aveva cambiato la previsione al 2037. Anche il settimanale inglese The Economist si è occupato frequentemente di questa “gara”: nel 2010 aveva ipotizzato che il sorpasso sarebbe avvenuto nel 2019.
Il tasso di crescita annuo del Pil cinese è calato negli anni, passando dall’oltre il 10% all’inizio degli anni Duemila al 6% nel 2019. La politica “zero Covid” e le rigide restrizioni imposte dal governo per quasi tre anni hanno avuto profonde conseguenze sull’economia del Paese, rallentando la ripresa economica dopo la pandemia. Nel 2023 l’economia cinese è cresciuta del 5,2% rispetto all’anno precedente, un tasso di crescita in linea con l’obiettivo stabilito a marzo dal Partito comunista durante il Congresso. Tuttavia, il Pil cinese è ancora lontano da quello statunitense: nel 2022 aveva superato i 17mila miliardi di dollari, in confronto agli oltre 25mila miliardi del Pil statunitense. Se si considera invece il Pil a parità di potere d’acquisto (purchasing power parity), un indicatore che consente di confrontare i prezzi tra Paesi diversi, la Cina ha superato gli Stati Uniti nel 2016.
Tabella 1: Pil di Cina e Stati Uniti a prezzi correnti espresso in dollari statunitensi (Fonte: Banca mondiale)
Tabella 2: Pil di Cina e Stati Uniti a parità di potere d’acquisto espresso in dollari internazionali (Fonte: Banca mondiale)
In questo contesto si è ridotto l’impegno della Cina nella Nuova via della seta (Belt and road initiative), il gigantesco piano infrastrutturale lanciato dal presidente Xi Jinping nel 2013 per rafforzare le relazioni tra Asia ed Europa, rilanciare il ruolo del Paese a livello internazionale e destinare all’estero il surplus commerciale, ovvero l’eccesso di produzione nazionale. Durante il terzo forum sulla Belt and road initiative, che si è svolta a Pechino a ottobre del 2023, la Cina ha però annunciato di voler diminuire il volume dei propri investimenti nella Belt and road initiative, concentrandoli in progetti “sostenibili”. Il ridimensionamento dell’impegno cinese è in parte dovuto all’indebitamento di alcuni Paesi nei confronti della Cina. Paesi come lo Sri Lanka, il Pakistan e la Zambia faticano a restituire i prestiti cinesi. La mancata restituzione porta in alcuni casi a passaggi di proprietà a favore di società cinesi, e infatti Pechino è contraria a una sanatoria complessiva del debito sovrano dei Paese più esposti perché preferisce trattare la questione caso per caso in modo bilaterale. Ma si tratta comunque di realtà, come per esempio infrastrutture portuali, che richiedono investimenti e che talvolta sono di non facile gestione.
Il modello cinese è ancora vincente?
La straordinaria crescita dell’economia cinese si è inizialmente basata sullo sviluppo dell’industria manufatturiera, sulla disponibilità di manodopera a basso costo e sulle esportazioni, concentrandosi successivamente sul settore immobiliare e sugli investimenti infrastrutturali. La crescita del settore immobiliare, in particolare, è stata favorita dagli incentivi statali ed è andata di pari passo con l’espansione delle città: il tasso di urbanizzazione nel Paese è infatti passato dal 16% nel 1960 al 64% nel 2022.
Con il fallimento della società immobiliare Evergrande nel 2021, sono diventati però evidenti i limiti di questo modello: le società immobiliari si sono indebitate per costruire strutture residenziali, rimaste poi invendute, con conseguenze sul sistema bancario, già inefficiente, sull’occupazione e sui risparmi della popolazione. Gli investimenti con cui la Cina ha cercato di stimolare l’economia, ma che si sono rivelati improduttivi, hanno indebitato il Paese: secondo le stime del Fondo monetario internazionale, il rapporto tra debito e Pil è cresciuto dal 71,3% negli anni ’80 al 272,1% nel 2022. Ci si riferisce, anche nella tabella seguente, al “global debt”, concetto più ampio del debito sovrano perché include l’importo totale di denaro dovuto da tutti i settori, compresi governi, imprese e famiglie.
Fonte: 2023 Global debt monitor, Fondo monetario internazionale
In questo contesto si è ridotto l’impegno della Cina nella Nuova via della seta (Belt and road initiative), il gigantesco piano infrastrutturale lanciato dal presidente Xi Jinping nel 2013 per rafforzare le relazioni tra Asia ed Europa, rilanciare il ruolo del Paese a livello internazionale e destinare all’estero il surplus commerciale, ovvero l’eccesso di produzione nazionale. Durante il terzo forum sulla Belt and road initiative, che si è svolta a Pechino a ottobre del 2023, la Cina ha però annunciato di voler diminuire il volume dei propri investimenti nella Belt and road initiative, concentrandoli in progetti “sostenibili”. Il ridimensionamento dell’impegno cinese è in parte dovuto all’indebitamento di alcuni Paesi nei confronti della Cina. Paesi come lo Sri Lanka, il Pakistan e la Zambia faticano a restituire i prestiti cinesi. La mancata restituzione porta in alcuni casi a passaggi di proprietà a favore di società cinesi, e infatti Pechino è contraria a una sanatoria complessiva del debito sovrano dei Paese più esposti perché preferisce trattare la questione caso per caso in modo bilaterale. Ma si tratta comunque di realtà, come per esempio infrastrutture portuali, che richiedono investimenti e che talvolta sono di non facile gestione.
Una Belt and road di progetti “piccoli ma belli” per adeguarsi alla nuova Cina
Il gigantesco piano di investimenti infrastrutturali internazionali entra in nuova fase, tra digitalizzazione, progetti green e Paesi in debito. Unione europea, Stati Uniti e India propongono alternative. Il disimpegno dell’Italia.
Crisi multiple
La politica “zero Covid” e il rallentamento della crescita economica hanno avuto un impatto enorme anche sulla fiducia dei consumatori, con una conseguente riduzione dei consumi e un aumento dei tassi di risparmio della popolazione cinese. Il Paese è entrato in deflazione, una situazione per cui i prezzi dei beni e dei servizi diminuiscono a causa della scarsa domanda.
Preoccupa anche la disoccupazione giovanile e il conseguente senso di sfiducia tra i giovani: nell’estate del 2023 aveva superato il 20%, mentre a dicembre è sceso al 14,9%. Molti giovani non riescono a trovare lavoro a causa del mismatch, perché le competenze acquisite durante il percorso di studio non sono quelle richieste dal mercato.
Il calo demografico
Le difficoltà di occupazione si verificano nonostante il declino demografico. Nel 2023, per il secondo anno di fila, la popolazione cinese è diminuita: secondo le stime diffuse dal Dipartimento nazionale di statistica cinese, alla fine del 2023 la popolazione era di un miliardo e 409 milioni di persone, oltre due milioni in meno rispetto all’anno precedente. Nel 2022, quando per la prima volta in 60 anni si era registrato un calo demografico, la popolazione cinese era diminuita di 850mila persone. Il calo demografico è in parte il risultato della politica del figlio unico, in vigore dal 1979 al 2015. Nonostante il limite sia stato portato a due figli nel 2016 e a tre nel 2021, le nascite non sono aumentate. Come riporta il Guardian, il tasso di fecondità cinese nel 2022 è sceso a 1,09 figli per donna, il dato più basso tra i Paesi con più di cento milioni di abitanti. Negli ultimi anni sono diventati numerosi i riferimenti, nei discorsi politici, al ruolo della donna come moglie e madre.
Il calo demografico e il progressivo invecchiamento della popolazione avranno profonde conseguenze sul mercato del lavoro e sul sistema pensionistico del Paese. Nel 2023 la popolazione in età lavorativa tra i 16 e i 59 anni costituiva il 61% della popolazione. Il 21% ha più di 60 anni, in aumento rispetto al 19,8% del 2022.
La Cina alle prese con scarsa crescita, calo demografico e disoccupazione giovanile
L’accordo tra Iran e Arabia saudita mediato da Pechino e le relazioni con la Russia sono esempi dell’aspirazione a un nuovo ordine mondiale. Ma il patto sociale sul quale si regge la società cinese rischia di indebolirsi.
Una questione politica
Quando si parla di crescita economica in Cina è importante ricordare lo stretto legame con la politica. Da un lato il rallentamento dell’economia rischia di indebolire il “patto sociale” tra la cittadinanza e il Partito comunista cinese che dovrebbe garantire un continuo miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Dall’altro una costante crescita economica è la base per diventare entro il 2049, centenario della fondazione della Repubblica popolare cinese,. “una potenza pienamente sviluppata e prosperosa”, secondo uno slogan ribedito di frequente dal partito al potere.
Nel frattempo, negli Stati Uniti…
Nel 2022 gli esperti avevano previsto che gli Stati Uniti sarebbero entrati in recessione, ma non è successo. Il Pil statunitense è cresciuto del 2,8% nel 2023 rispetto all’anno precedente. Positivi anche i dati sull’occupazione: secondo le stime dell’Agenzia di statistica del lavoro Usa, nel 2023 il tasso di disoccupazione è stato pari al 3,7% e nel solo mese di dicembre sono state assunte 216mila persone.
Per contenere la crescita e la competizione della Cina l’amministrazione Biden ha approvato alcune misure restrittive, soprattutto in ambito tecnologico, e rafforzato le relazioni degli Stati Uniti con alcuni partner asiatici strategici. Ha contemporaneamente portato avanti alcune aperture nei confronti della Cina: a novembre del 2023 i presidenti Joe Biden e Xi Jinping si sono incontrati, dopo oltre un anno, a San Francisco. Tra i principali risultati dell’incontro bilaterale c’è l’impegno da parte di entrambi i Paesi di ristabilire le comunicazioni militari. Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, e un’eventuale vittoria dell’ex presidente Donald Trump, potrebbero aumentare le tensioni tra i due Paesi, con significative ricadute anche sulle loro economie.
Insomma chi vincerà?
Premesso che la potenza economica espressa dal Pil è sempre meno rappresentativa del benessere collettivo di una nazione, la gara comunque resta significativa dal punto di vista mediatico. In generale, la maggior parte degli esperti crede che l’economia cinese supererà quella statunitense, ma che il momento in cui il sorpasso avverrà dipenderà dalla capacità della Cina di risolvere i suoi problemi interni senza drammatiche crisi sociali.
Immagine di copertina: ansa