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La speculazione edilizia ai tempi del metaverso

Dopo l’annuncio di Zuckerberg, il mercato immobiliare del metaverso ha raggiunto cifre da record. Ma il desiderio di costruire una vita virtuale è (anche) sintomatico di un’insofferenza collettiva.

di Flavio Natale

C’è questo romanzo di Italo Calvino, pubblicato nel 1963 nella collana Coralli di Einaudi, che si chiama La speculazione edilizia. L’opera ruota attorno alle vicende di Quinto, un giovane intellettuale residente in una grande città del nord che, disilluso da “un’epoca di bassa marea morale”, investe denaro nel settore edilizio per sentirsi al passo coi tempi. Sulla sua strada, però, incontra Caisotti, un montanaro, iracondo e sudato imprenditore, con cui si mette in affari, infilandosi in un circolo vizioso di rinvii di pagamento e promesse non mantenute. Lo sfondo della vicenda è la riviera ligure, che ingrigisce a forza di palazzoni, hotel e stabilimenti balneari, tirati su uno dopo l’altro.

Quest’opera riesce a dire alcune cose, mancandone delle altre. La deturpazione del litorale è riportata con alcune sintesi efficaci: in pochi anni, si è passati dai “campi di garofani scintillanti” a “un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri, spigoli e lati di case, di qua e di là, tetti, finestre, muri ciechi per servitù contigue con solo i finestrini smerigliati”; un luogo della memoria che, parafrasando Calvino stesso, se ne va sotto il cemento. Anche il villain del romanzo, Caisotti – uomo tarchiato, dai pugni stretti dentro le tasche e il “volto camuso e informe” – veste bene i panni di una nuova classe di arricchiti che, di lì a poco, sbaraglierà le geometrie mentali della borghesia locale e nazionale, “conservatrice, onesta, parsimoniosa, paga del poco, senza slanci, senza fantasia, un po’ gretta, che da mezzo secolo vedeva intorno cambiamenti a cui non riusciva a tenere testa”.

Quello che il romanzo non riesce a dire, però, è la ragione per cui Quinto, in questi speculativi anni Cinquanta, scelga di lanciarsi in un’impresa edilizia. Le motivazioni chiamate in causa da Calvino – l’abbandono dei valori che avevano animato la resistenza, un nuovo dovere “prosaico” ma sempre borghese – sono troppo universali per risultare personali e, dunque, completamente autentiche.

I temi del romanzo – il territorio, le speculazioni, le ragioni che ci muovono – sono però tre costanti che, mutatis mutandis, abitano tanto quel boom immobiliare quanto il mondo virtuale che si sta costruendo, mattone dopo mattone, dentro i nostri computer: il metaverso.

Metaterreni per metaversi

Il metaverso è uno spazio virtuale capace, in potenza, di replicare quello reale. In questo metamondo, gli avatar possono camminare, socializzare, guardare film, ascoltare concerti, fare sport, mentre noi siamo seduti comodamente sul divano di casa.

Il termine “metaverso” è stato coniato da Neal Stephenson, l’autore del romanzo cyberpunk Snow Crash (1992): in quest’opera, lo scrittore immaginava un’America preda di franchise e corporation, dove lo Stato ha ceduto il passo al potere economico delle big corps, gettando il mondo in una situazione di anarco-capitalismo. Il territorio statunitense è diventato un susseguirsi di enclave in franchising: c’è la “Super HongKong” di Mr. Lee o “Le Porte del Paradiso” del Reverendo Wayne, “Narcolombia” oppure la "Nuova Sicilia" di proprietà della Mafia – diventata una corporation multinazionale come tutte le altre.

Il termine metaverso – di cui, va ricordato, esistono piattaforme già parecchio affermate come The Sandbox o Decentraland – è cominciato a diventare di dominio pubblico quando Mark Zuckerberg, a ottobre 2021, ha annunciato che Facebook avrebbe cambiato il suo nome in Meta. “Nel tempo spero che saremo visti come una società del metaverso”, ha detto Zuckerberg. “Voglio ancorare il nostro lavoro e la nostra identità a ciò che stiamo costruendo. La nostra missione rimane la stessa; si tratta ancora di riunire le persone”. Questo annuncio, però, non sarebbe bastato a far salire le quotazioni del metamondo, i cui esperimenti si sono rivelati in passato bolle scoppiate in fretta. La tecnologia blockchain e i non-fungible token (Nft) hanno fornito un sistema per effettuare transazioni tra parti senza intermediari, mentre la pandemia Covid-19 ha abituato il mondo intero a vivere online.

Se molti sono convinti che il metaverso potrebbe “cambiare radicalmente il mezzo attraverso cui socializziamo con gli altri” – parola di Edward Stanley di Morgan Stanley –, ci sono anche diverse voci scettiche. Ethan Zuckermann, direttore della Initiative for Digital Infrastructure all’University of Massachusetts di Amherst, ha detto che numerosi tentativi sono già stati effettuati in questo campo, e sono tutti finiti male. Secondo il giornalista Ryan Broderick, questa nuova costruzione virtuale può finire in due modi: “Il primo è che forse siamo a pochi secondi da un crollo economico globale alimentato dalle criptovalute”. Oppure, “cose come Decentraland potrebbero crescere come ha fatto Amazon, sostituendo silenziosamente e metodicamente le alternative. Una piattaforma del metaverso basata sulla blockchain potrebbe raccogliere abbastanza soldi per iniziare a ottenere contratti esclusivi per prodotti di consumo o, come Netflix, iniziare a comprare intrattenimento che non può essere visto da nessun’altra parte. Oppure potrebbe crescere come Facebook, usando l’effetto rete per fare pressione su tutti gli altri affinché lo utilizzino. Oppure potrebbe semplicemente finire come Twitter, un luogo in cui giornalisti e adolescenti origliano persone ricche e artisti famosi”.

Per replicare pedissequamente il mondo reale, però, quello virtuale ha bisogno di strade, piazze, case, riproducibili all’infinito in uno spazio teoricamente illimitato, come internet. E qui sta il primo cortocircuito: perché se i palazzi possono essere replicati, se i quartieri possono moltiplicarsi, i centri non sono più centri, le periferie non più periferie, e il mercato immobiliare non genera introiti, perché gli spazi non sono monetizzabili.

Per ovviare al problema, allora, possiamo disegnare una mappa, tracciare bordi, definire coordinate spaziali e temporali, generando scarsità. Questo concetto, ereditato dal mondo delle criptovalute, vuol dire indurre una mancanza (di moneta o di immobili) dove c’è abbondanza (il mondo replicabile di internet). Decentraland, The Sandbox o Somnium Space funzionano così. In questi territori virtuali esistono dei lotti, parcelle in cui sono suddivisi i quadranti del reticolo digitale, come in una mappa del catasto. Questi lotti sono limitati e, dunque, hanno un valore specifico, schizzato così in alto negli ultimi mesi che, quando ho chiesto a un amico investitore di criptovalute per quale ragione non avesse ancora comprato immobili nel metaverso, mi ha risposto: “Ormai è tardi”.

Le speculazioni  

Per far capire il giro d’affari dietro il mercato immobiliare del metaverso, partiamo dalle sue due versioni più famose: Decentraland e The Sandbox.

Decentraland è un mondo digitale di proprietà della società immobiliare virtuale Metaverse Group. Il Metaverse Group ha due sedi: una nel mondo offline, a Toronto, e una in quello online, nella Crypto Valley di Decentraland – un nome, Crypto Valley, non di certo casuale. A Decentraland, sorgono interi distretti dedicati allo shopping e al gioco d’azzardo, e si contano 90mila lotti di terra virtuale attualmente disponibili. A ottobre 2021, Tokens.com, la società di tecnologia blockchain, ha acquistato metà del Metaverse Group per circa 1,7 milioni di dollari. Andrew Kiguel, amministratore delegato di Tokens.com, ha commentato al New York Times: “Piuttosto che provare a creare un universo come sta facendo Facebook, mi sono chiesto: ‘Perché non entriamo e compriamo i lotti di terra in questi metaversi, così possiamo diventare proprietari terrieri?’” Sulla scia di queste dichiarazioni, anche Michael Gord, co-fondatore di Metaverse Group, ha detto: “Immaginate di poter arrivare a New York quando c’erano soltanto terreni agricoli e avere la possibilità di ottenere un lotto di terra a SoHo. Oggi, un blocco di immobili a SoHo non ha prezzo, non è sul mercato. Lo stesso accadrà per il metaverso”. Inoltre, dice sempre Gord, le terre digitali hanno una crescita decisamente superiore a quella della moderna Manhattan. “New York ha tra dieci e 15 milioni di persone in città in qualsiasi momento. E anche se ai newyorkesi piace dire che New York non dorme, in realtà i newyorkesi dormono a volte”. Gord ritiene invece che sia “ragionevolmente probabile” che fino a cento milioni di persone possano trovarsi all'interno di Decentraland a tutte le ore del giorno e della notte, il che “la renderebbe la città più popolosa della Terra, e forse anche la più desiderabile”.

Le società immobiliari virtuali, quindi, si stanno attrezzando per rendere questo mondo più confortevole e divertente possibile, costruendo metapalazzi, metacentri commerciali, metapalchi per metafestival musicali. Con introiti vertiginosi. Il Gruppo Metaverse ha acquistato 116 lotti nel cuore del distretto Fashion Street di Decentraland per 2,4 milioni di dollari. Republic Realm ha superato questa cifra, acquistando 4,3 milioni di dollari di terreno su The Sandbox. Sempre su The Sandbox, è stato acquistato il Metaflower Super Mega Yacht per 650mila dollari.

Secondo DappRadar, a novembre 2021 – poco dopo l’annuncio di Zukerberg – le persone hanno acquistato cento milioni di dollari di terra nel metaverso, mentre durante l'ultimo trimestre dello scorso anno il volume degli scambi è stato “del 155% superiore rispetto ai tre trimestri precedenti messi insieme”, raggiungendo i 330 milioni di dollari. A dicembre 2021, gli immobili di Decentraland hanno raggiunto una media di scambio di 28.600 dollari per transazione, in aumento del 154% rispetto a ottobre, e i terreni su The Sandbox hanno incrementato il loro valore, sempre rispetto a ottobre, del 500%.

Sam Hamilton, direttore creativo della Decentraland Foundation, ha specificato a Motherboard che la fondazione no-profit che sovrintende il mondo di Decentraland non sta guadagnano un soldo da questo boom immobiliare, avendo venduto tutti i terreni all’asta nel 2017. Di conseguenza, tutte le speculazioni sono opera di persone che “hanno acquistato la terra e la stanno rivendendo sul mercato secondario”.

Ma anche The Sandobox si è adoperata, negli ultimi anni, per far crescere il valore del proprio nome, collaborando con marchi come The Walking Dead a Care Bears. A settembre 2021, The Sandbox ha annunciato una partnership con il rapper Snoop Dogg, per ricreare la sua villa nel metaverso (online dal 22 febbraio), vendendo mille Snoop Dogg Private Party Pass, che daranno accesso all’abitazione e a una serie di gadget per avere “lo stile di vita di Snoop Dogg”. Vicino alla villa del rapper statunitense, si è già creata una gara per l’acquisto di proprietà, alcune delle quali sono state vendute rispettivamente a 450mila dollari, 410mila dollari e 338mila dollari.

Republic Realm, piattaforma di investimento nel metaverso, sta costruendo su The Sandbox la “Fantasy Islands collection”, una serie di cento ville residenziali extralusso ispirate a case vacanza francesi, videogiochi di fantascienza, ecolodge americane personalizzabili con componenti aggiuntivi, come piscine e vasche idromassaggio. Una di queste abitazioni è stata acquistata dal giocatore del Paris Saint-German Marco Verratti.

Nonostante il boom immobiliare, il punto di forza del metaverso rimane ancora lo shopping. Una delle creazioni più celebri di Republic Realm è Metajuku, un centro commerciale digitale di cinquemila metri quadrati – ispirato all'Harajuku, zona di Tokyo celebre per gli acquisti – situato nel mezzo di Decentraland, dove gli utenti possono acquistare dispositivi indossabili digitali. “È un'esperienza di social shopping in cui non devi lasciare il divano”, ha detto Janine Yorio, amministratore delegato di Republic Realm. Molti marchi tradizionali si stanno affacciando a questa nuova forma di marketing. Walmart ha recentemente suggerito di voler vendere beni virtuali nel metaverso, e Patrice Louvet, Ceo di Ralph Lauren, ha dichiarato che la società sta valutando se acquistare terreni virtuali. “Ci sono molti parallelismi tra il metaverso e la visione che Ralph ha della moda; siamo entrambi nel business dei sogni”.

Ma ci sono anche piattaforme che stanno tentando di sfruttare le possibilità della realtà aumentata, rispetto a quella virtuale. In un’intervista a Vanity Fair del 2017, lo scrittore cyberpunk Neal Stephenson delineava già la differenza tra realtà aumentata (Ar) e virtuale (Vr): “Se ti trovi in ​​un'applicazione Ar, sei dove sei. Rimani nel tuo ambiente fisico, e ci sono solo cose che vengono aggiunte. La realtà virtuale ha invece la capacità di portarti in un luogo immaginario completamente diverso, il genere di cose descritte nel metaverso in Snow Crash. Lo scopo della Vr è portarti in un luogo inventato, lo scopo dell'Ar è cambiare l’esperienza del luogo in cui ti trovi”. Tra queste esperienze Ar, la più celebre è SuperWorld, una piattaforma che utilizza la realtà aumentata per creare una sovrapposizione digitale nel mondo fisico, utilizzata dagli utenti per produrre principalmente arte o pubblicità.

"Abbiamo preso la superficie della terra e l'abbiamo divisa in 64 miliardi di appezzamenti di terreno virtuali che coprono approssimativamente un isolato, ciascuno strutturato come un Nft", ha detto Hrish Lotlikar, Ceo di SupeWorld, aggiungendo che spera che il suo prodotto consentirà agli utenti di "creare, scoprire e monetizzare qualsiasi cosa, ovunque”.

Perché vogliamo vivere in un metaverso

In una scena abbastanza iconica della serie televisiva The Office, Dwight Schrute, colletto bianco alt-rightiano ante litteram e miglior venditore della società Dunder Mifflin, sta giocando a “Second Life”, il mondo virtuale creato da Philip Rosedale. Lanciata agli inizi degli anni duemila, la piattaforma di realtà virtuale ebbe un grande successo di pubblico, per poi declinare dopo gli anni ‘10. Questo gioco era un tentativo di intraprendere quello che oggi, con mezzi e disponibilità economiche superiori, i signori del Metaverso stanno cercando di compiere: replicare – edulcorandolo – il mondo offline. Parafrasando la descrizione che dà del gioco, Dwight dice che “è tutto come nella realtà”, solo che lì dentro si può volare.

Ma perché Dwight vuole vivere in un protometaverso?

Il venditore della Dunder Mifflin sprofonda nelle trame di Second Life nel momento in cui la sua “prima vita” non lo soddisfa più: Angela Martin, la contabile con cui ha una relazione segreta da anni, lo ha infatti lasciato. Incapace di esprimere i propri sentimenti con i colleghi di lavoro – che considera inetti – si tuffa dentro Second Life così a fondo che il suo avatar produrrà, e la gag diventa una metagag, un’altra versione di Second Life, all’interno del gioco stesso: “Per le persone che vogliono evadere ancora di più dalla realtà”.  

Questa considerazione ci dice in maniera divertente una cosa vera: il desiderio di costruire una vita virtuale è sintomatico di un’insofferenza nascosta, ma persistente, che proviamo nel vivere la nostra vita quotidiana. Attraverso il gioco, questo rumore di fondo viene silenziato nel breve periodo – possiamo fingere di essere chi non siamo – ma amplificato sul lungo: la sofferenza di essere noi stessi ritorna con una forza, e delusione, cento volte maggiori. Una sorta di effetto Facebook o Instagram – tutti profili sorridenti, tutte persone di successo, tutte vite che non sono la tua – decuplicato.

Le ragioni che abitano al fondo di questa sofferenza sono personali, ma spesso condividono radici comuni. 

Un esempio.

Qualche giorno fa sono andato in farmacia e, come capita due volte su tre, ho dovuto fare la fila. Mentre ingannavo il tempo posando lo sguardo sugli scaffali ripieni di creme per le mani e mascherine, avvicinandomi al bancone ho notato una scatola di integratori per la memoria e la concentrazione, che promettevano di “lucidare la mente”. Quindi mi sono avvicinato per dare un’occhiata, indeciso se prenderli o meno, e mentre leggevo le controindicazioni, a fianco di quella bella scatola blu, ho visto altre pasticche, richiuse in una bella scatola viola, da utilizzare per conciliare il sonno. Attratto da quello cambio di colore, nemmeno venti centimetri dopo, sono incappato in altre pillole, utili per lenire l’ansia e lo stress. Accanto a quelle, rimedi chimici per la gastrite, e così via. Morale della favola: tutte le medicine o integratori esposti sul bancone andavano ad arginare le conseguenze – cali di attenzione, mancanza di sonno, attacchi d’ansia, gastriti – della vita a cui ci sottoponiamo. Una volta uscito dalla farmacia, l’idea di avere una seconda vita virtuale non sembrava poi più così insensata.  

Una seconda, e ultima, considerazione sulla battuta di Dwight Scrhute. Quando il personaggio dice che, su Second Life, “è tutto come nella realtà” solo che lì si può volare, la camera rimane fissa sul gioco un secondo in più del necessario. Questa stasi apparentemente ingiustificata ci permette di percepire, mentre Dwight volteggia tra i cornicioni dei palazzi, la solitudine del suo gesto. La seconda vita del gioco non riproduce infatti quella reale – la rottura con Angela, la sua difficoltà nei rapporti personali – ma la trasfigura, dolcificandola: le strade in cui si muove l’avatar di Dwight sono pulite, il traffico scorrevole, i clochard o i tossicodipendenti non esistono, e lui può volare. Generare una versione così corrotta della realtà può avere effetti devastanti, specialmente quando amplificata dall’alta immersività della simulazione – così simile alla vita reale, eppure così diversa.

E quindi uno si chiede: questo è il massimo che possiamo ottenere da internet?

Nel 2003, l’imprenditore informatico Barrett Lyon generò una rappresentazione accurata della geografia di internet, chiamata Opte Project, utilizzando la grafica visiva. Lyon ritenne che la sua mappatura della rete potesse aiutare gli studenti a comprendere la conformazione e la crescita futura del web. La verità è che quest’immagine è anche molto bella: sembra un gigantesco cervello pulsante, con il suo sistema nervoso, le sinapsi, i neuroni, i dendriti e potenzialità di crescita pressoché infinite.

E questa forse è la cosa più triste di tutta la faccenda: il metaverso potrebbe cambiare, graficamente ma ontologicamente, la faccia di internet. Perché ciò che non è finito non è vendibile – la replicazione nemica della scarsità e del guadagno – e ciò che non è vendibile non ha valore. Allora bisogna forzare la mano, creare appezzamenti, lotti, palazzi, strade, vie che razionalizzino – e assegnino un prezzo – all’entropia, riproducendo un modello di società il cui fallimento è nascosto nel profondo dei nostri occhi. Illudendoci, in tutto questo, di aver imparato a volare.

di Flavio Natale

*Fonte dell'immagine di copertina: beniculturalionline.it

martedì 22 febbraio 2022