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Il ruolo dei Bitcoin nel sistema monetario mondiale

Sono solo una bolla speculativa o hanno un futuro? Elon Musk ha deciso di accettare la criptovaluta come metodo di pagamento per le sue auto. In questa intervista, il matematico Pietro Speroni di Fenizio ne spiega le motivazioni.  

di Flavio Natale

“Qui ha iniziato a piovere proprio ora. Da te?”

“Sì, anche da me”.

Così è cominciata la mia intervista a Pietro Speroni di Fenizio, matematico esperto di eDemocracy, Bitcoin e criptomonete, che mi ha concesso parte del suo sabato prepasquale per approfondire alcune questioni sulla natura delle criptovalute, e sulle traiettorie che queste potranno prendere nel prossimo futuro. La suggestione per la chiacchierata è nata principalmente da due dichiarazioni, entrambe di Elon Musk: la prima, quando il Ceo di Tesla ha affermato di aver investito 1,5 miliardi di dollari in Bitcoin; la seconda, quando ha scelto di accettare (negli Stati Uniti) pagamenti in Bitcoin per le automobili Tesla.

Il mio personale bagaglio di informazioni sul tema era composto di articoli letti su Futurism, Wired, Il Sole 24 Ore, qualche capitolo di The Bitcoin standard: the decentralized alternative to central banking di Saifedean Ammous (consigliatomi prima dell’intervista da Speroni di Fenizio stesso), saltuarie chiacchierate con amici e conoscenti che avevano investito nella criptovaluta. Il fatto è che, nonostante le informazioni acquisite sull’argomento, non riuscivo a togliermi una sensazione di dosso: quella di trovarmi davanti a qualcosa che non comprendevo. Questo stato d’animo, esperito più volte nel corso della mia vita, è sempre stato legato alla decriptazione di codici interpretativi nuovi. Per “novità” intendo non solo l’incontro con un modello insolito, ma lo scontro con un sistema complesso di cui è difficile isolare le parti, un termine per cui non si possiede un vocabolario adeguato, un confine quasi-semantico che si solidifica fino a diventare un muro. In alcuni casi, con enorme fatica e una discreta dose di fortuna, sono riuscito a trovare il cifrario per interpretarlo. In altri, come per i Bitcoin, ho sentito la necessità di entrare in contatto con qualcuno che possedesse già un itinerario, che avesse valicato da tempo quel muro, spesso come la pioggia che stava battendo imperterrita sulla finestra in quel momento.

Questo è il risultato di quello che ci siamo detti.

Cominciamo dalle basi. Se dovessi definire i Bitcoin, come li spiegheresti? 

I Bitcoin sono l’esempio dell’invenzione della scarsità online. È un aspetto a cui, nella nostra quotidianità, non facciamo caso, anche se la scarsità è ovunque: se io ho questo tavolo non lo hai tu. Il mondo online invece non funziona così: tu possiedi un file, ma di quel file se ne possono produrre copie a un costo trascurabile, e quelle copie possono essere possedute da tutti. Ma questo discorso non è sempre proficuo. Prendi ad esempio i giochi, Risiko o Monopoli, ma anche le piattaforme online tipo Fortnite: queste realtà funzionano solo se hanno delle limitazioni (un territorio solo, una proprietà sola, un’arma sola), in caso contrario non sono divertenti. Creare delle limitazioni online non è facile, proprio per la semplicità con cui si possono replicare i dati. Satoshi Nakamoto (l’inventore della criptovaluta Bitcoin, ndr) però ci è riuscito, e l’ha fatto inventando la scarsità.

Come si fa a inventarla, la scarsità?

La ottieni generando un registro che tiene traccia di chi possiede cosa (tornando ai giochi, Giovanni ha quella spada, Marco quel territorio) e questo registro, finora, è sempre stato centralizzato. Questa soluzione funziona molto bene, e non per niente è la stessa utilizzata dalle banche, che devono tenere conto dei passaggi di moneta tra i clienti. Il fatto è che questo sistema pone anche dei problemi.

Quali?

Chi possiede il registro detiene un potere enorme, perché può modificarne i valori, o è comunque soggetto a un rischio elevato di attacchi che possono danneggiare, cancellare o sottrarre dati. È stato lo stesso pericolo a cui è andato incontro Napster (programma di file sharing creato da Shawn Fanning e Sean Parker e attivo dal giugno 1999 fino al luglio 2001, ndr) che, nonostante la distribuzione delle informazioni tra gli utenti, possedeva un registro unico che teneva traccia di ogni percorso. Alla fine, è stato attaccato, ha ricevuto una grossa multa e si è sgonfiato come il fenomeno che è stato. Negli anni siamo arrivati a BitTorrent, un sistema di file sharing veramente decentralizzato. Questo ci può già insegnare una cosa: che i sistemi centralizzati, quando attaccati, crollano, mentre quelli decentralizzati sopravvivono.

Quindi più aumenta la decentralizzazione e più aumenta la sicurezza.

Esatto, c’è una specie di dialettica tra decentralizzazione e sicurezza. La decentralizzazione protegge l’informazione grazie al fatto che può essere copiata, e dunque non è scarsa.

In che modo questo sistema è legato alla produzione di Bitcoin?

Per spiegarlo dobbiamo fare un passo indietro: tra il 1990 e il 2008 proliferarono una serie di esperimenti riguardanti la creazione di una moneta su internet. Gli utenti sentivano la necessità di rendere più immediati e veloci i pagamenti online, e le banche (prima di meno, oggi di più) non riuscivano a soddisfare questa richiesta, dati i lunghi tempi impiegati anche solo per un bonifico. Molti di questi esperimenti sono falliti, altri invece sono stati chiusi per l’intervento dei governi centrali, dal momento che creare moneta è vietato.

E com’è stato possibile produrre una moneta che non poteva essere prodotta?

Perché Satoshi Nakamoto ha inventato e spiegato (nel suo White Paper) come farlo e molte persone hanno contribuito a costruire questo sistema. Pensa che attorno al 2009, Gavin Andreesen, programmatore capo dei Bitcoin, venne invitato a farsi una chiacchierata negli uffici della Cia. Gli agenti si fecero spiegare il funzionamento delle criptovalute, domandandogli poi cosa sarebbe accaduto se l’avessero arrestato. E la risposta era che fondamentalmente non sarebbe accaduto nulla. Andresen sarebbe rimasto in carcere, ma i Bitcoin, che sono un software open source (non protetto da copyright e liberamente modificabile dagli utenti, ndr) sarebbero andati avanti comunque.

Provo a mettere qualche punto. I Bitcoin si distinguono per due requisiti: la decentralizzazione e la scarsità. Quest’ultimo aspetto mi sembra li differenzi molto dalla moneta fiat, ovvero la valuta non ancorata al prezzo di una materia prima come oro o argento, e il cui valore è legato in larga parte alla fiducia nei confronti dell’autorità che la emette (uno Stato o una banca centrale). Il fatto è che, mentre la moneta fiat può essere emessa senza un’autentica limitazione (se non per le sue conseguenze inflazionistiche), i Bitcoin, essendo scarsi, sembrano soffrire di un rischio di inflazione pressoché nullo.

Precisamente. Tieni conto che nella storia economica esiste una lotta tra due fazioni: la Scuola keynesiana e la Scuola austriaca. È la Scuola keynesiana, però, ad aver vinto nel ventesimo secolo, al punto che Richard Nixon, in un’intervista rilasciata alla Abc nel 1971, aveva affermato che “Siamo tutti keynesiani”. La scuola austriaca era diventata sempre più silente, o meglio aveva perso gran parte del suo potere. Ecco, i Bitcoin sono il frutto del tentativo di uno sparuto gruppo di persone di creare un’alternativa, sottoforma di hard money (moneta solida e poco soggetta a variazioni inflazionistiche, ndr), rispetto alla moneta emessa dallo Stato. Il passaggio da una moneta emessa dallo Stato a una moneta indipendente dallo Stato è un po’ come il passaggio da un periodo in cui il potere temporale e quello religioso erano un tutt’uno alla divisione moderna tra Stato e Chiesa

Però la produzione di moneta storicamente è sempre appartenuta allo Stato.

Vero, ma i governi molto spesso si sono dimostrati incapaci di limitarsi: questo è successo a ridosso di processi democratici significativi come le elezioni, o in occasioni di emergenza, come per l’attuale pandemia. E da quest’ultimo punto di vista ha ragione il governo: la gente non può morire di fame. La sovraproduzione di moneta si è verificata anche nelle dittature, quando il potere centrale si è ritrovato a dover controllare le proprie truppe (vedi l’incredibile inflazione che aveva colpito l’Impero romano). Lo Stato ha spesso stampato superando alcuni limiti, e questo ha causato inflazione.

I Bitcoin, quindi, vogliono essere un nuovo sistema di pagamento?

Originariamente sì. Infatti, il paper di Satoshi Nakamoto ha come titolo: “A peer to peer Electronic Cash System”. Adesso non più, anche grazie al libro di Ammous Nel 2011-2015 venivano considerati la nuova moneta, e si pensava che sarebbero stati usati per pagare i caffè al bar, mandare donazioni in Africa e altro. Ora questi discorsi sono spariti.

Mappa degli argomenti di discussione nelle comunità Bitcoin con il passare del tempo.

Perché?

Perché i costi di transazione sono alti. Un bonifico che costa 10-15 euro di transazione non potrà essere il metodo di pagamento del pianeta Terra (anche se altre criptovalute hanno tariffe più basse). Come sottolineato anche in The Bitcoin Standard, il saggio di Saifedean Ammous, il passaggio è stato dunque dire: forse i Bitcoin non funzionano per pagare il caffè al bar, ma probabilmente non ce n’è alcun bisogno. Forse quello che serve è che i Bitcoin siano l’equivalente dell’oro. Il metallo prezioso è infatti un asset che si tiene da parte: lo compri poche volte, magari prima di una crisi, poi dopo lo vendi. Le criptovalute potrebbero essere questo.

Come viene prodotto, questo nuovo oro?

I Bitcoin vengono costruiti attraverso un algoritmo distribuito, che gira su moltissimi computer sparsi nel mondo. Lo puoi scaricare anche tu (anche se senza computer speciali ormai è quasi impossibile guadagnare). Le macchine ricevono le transazioni degli utenti, e ciascuna possiede un libro mastro, un database dove sono contenuti i percorsi dei Bitcoin. Questo libro è scritto in fogli, ovvero blocchi. Ogni foglio contiene le transazioni di tutti gli utenti e un problema matematico da risolvere. Questo problema è regolato per essere molto difficile, in modo tale che tra tutti i computer che lavorano nello stesso momento in media soltanto uno sarà capace di risolverlo ogni dieci minuti.

E non può capitare che due computer ci riescano contemporaneamente?

Può capitare e capita. La media di risoluzione è dieci minuti, ma alcune volte è passato più di un giorno prima che qualcuno sia riuscito a venirne a capo. Altre volte è stato indovinato immediatamente. Ogni quindici giorni viene aggiornata la difficoltà del problema matematico in modo che il tempo di risoluzione sia sempre di dieci minuti. Coloro che si occupano di risolvere questi blocchi si chiamano miners.

E cosa ottengono i miners in cambio di questo lavoro?

Quando si risolve un blocco, viene generata nuova moneta, immessa nel sistema e a disposizione degli utenti. I miners si auto-assegnano una piccola percentuale di quel flusso. Ogni quattro anni il quantitativo di Bitcoin immessi a ogni risoluzione di blocco si dimezza. Un tempo erano 50, poi 25, poi 12,5 e adesso sono 6,25. Il dimezzamento di produzione si chiama halving.

E come influisce l’halving sull’andamento della criptovaluta?

Ti ricordi il momento in cui i Bitcoin hanno raggiunto la parità col dollaro nel 2011? Quando l’hanno superato si è creata la prima bolla. Poi, quando hanno raggiunto quota 420 dollari c’è stata la seconda. Poi una terza, quando hanno superato i mille nel 2013. Poi una quarta, quando hanno raggiunto il valore di 20mila dollari. Adesso siamo a 50mila e sta ancora salendo. Questo trend si verifica ciclicamente ogni quattro anni.

Grafo del rischio rendimento dei Bitcoin rispetto agli altri investimenti.

In corrispondenza dell’halving.

Esatto: in poche parole, ogni volta che la produzione di Bitcoin viene dimezzata (e si crea una scarsità) dopo pochi mesi il prezzo comincia a salire finché tutti ne parlano e lo comprano. Poi diventa una bolla. A quel punto crolla, ma non al prezzo precedente, a un livello minimo più alto. Nel 2018-2019, quando la bolla è scoppiata, hanno iniziato a uscire grafi che confermavano questo percorso. In particolare, un articolo pubblicato su Medium ha lasciato molti Bitcoiners senza fiato. Si sono detti: “Questo è quello che avevamo intuito, anche se non ci era del tutto chiaro”.

Andamento del prezzo dei Bitcoin nel tempo su scala logaritmica. Il colore rappresenta la distanza dall'halving, mentre la linea in grigio le previsioni del modello stock to flow.

Ovvero?

L’articolo è stato scritto da PlanB, un individuo che ha voluto mantenere anonima la sua identità. Questo approfondimento riprendeva il concetto, elaborato da Saifedean Ammous nel suo saggio, di stock to flow, un metodo per valutare la “durezza” di una moneta, dipendente dal rapporto tra il flusso di creazione e la quantità di valuta prodotta fino a quel momento. PlanB ha usato lo stock to flow per prevedere l’andamento dei Bitcoin: la vera sorpresa è che funzionava. Il modello riusciva non solo a descrivere l’andamento della criptovaluta nel passato con un margine di errore estremamente basso, ma era in grado di prevederne il trend nel futuro. Un altro aspetto sorprendente è che, mentre lo stock to flow non funzionava per le altre criptomonete, si combinava perfettamente con l’andamento dei metalli preziosi (oro, argento, platino). È venuto fuori che gli investitori di questo settore già conoscevano questo rapporto, solo che nessuno l’aveva mai collegato ai Bitcoin.

Quali sono le conseguenze di questa scoperta?

Più che scoperta, ipotesi. La prima è che, se fosse vero, potremmo prevedere dove andrà il prezzo dei Bitcoin nei prossimi anni. La seconda è che, tramite queste previsioni, possiamo monitorare il funzionamento del modello stock to flow nel tempo. In quest’ultimo periodo, inoltre, sono stati elaborati da PlanB altri due modelli (qui il primo, qui il secondo), che non si sono soffermati solo sull’andamento storico, ma che hanno analizzato, ad esempio, i differenti usi che sono stati fatti della criptovaluta.

All’inizio i Bitcoin sono stati utilizzati per acquistare sostanze stupefacenti nel dark web (pessima idea, perché i Bitcoin sono pseudoanonimi e non totalmente anonimi, come si pensa). Durante la seconda ondata, la criptovaluta è stata uno strumento di investimento per i retailers (gli utenti comuni). Il prossimo passo, secondo questo modello e anche secondo il saggio di Saifdean, sarà l’investimento delle banche centrali, mentre il rapporto stock to flow tenderà ad avvicinarsi sempre di più all’oro, fino a che non ne prenderà la funzione, quando il valore raggiungerà i 250mila dollari. Molti Bitcoiners si aspettano anche che superi questo livello.  Per ora l’andamento sta crescendo come previsto da tutti questi modelli. Ma non tanto perchè ci stanno investendo le banche centrali, ma per altri motivi che nessuno aveva immaginato. Nei prossimi anni sarà possibile distinguere quale di questi modelli è più corretto.

E com’è collegato questo all’annuncio di Elon Musk?

Il percorso inizia da Michael J. Saylor, il Ceo di MicroStrategy (azienda che produce software di intelligenza artificiale), che nel 2020 ha spostato tutto il capitale dell’azienda in Bitcoin. Lui è diventato istantaneamente una superstar nel settore. Saylor sosteneva questo: noi siamo un’azienda, e come azienda produciamo software che ci fanno guadagnare mezzo miliardo all’anno. Il fatto è che ora c’è un’inflazione terribile. E uno avrebbe potuto dire: quale inflazione, scusa? Perché l’inflazione dichiarata nel 2020 dagli Stati Uniti era praticamente irrisoria. Ma Saylor proponeva una lettura più interessante. L’inflazione viene normalmente calcolata con il valore dei beni nel tempo. In realtà, sostiene Saylor, questa definizione è sbagliata: i beni che compro sono diversi da quelli che acquista qualcun altro, e io ho la mia personale inflazione, che dipenda dal momento, luogo, e tipo di acquisto che compio.

E lui di quale inflazione parlava, allora?

Di quella della sua azienda, i cui profitti erano mantenuti in dollari o veniva investiti in azioni S&P 500 (Standard & Poor 500, indice azionario statunitense, ndr). Ma l’indice S&P 500 è aumentato di valore enormemente. E dunque se lui, dopo qualche mese, avesse voluto acquistare, avrebbe scoperto che il capitale della sua azienda si era inflazionato.  Lui era seduto su un blocco di ghiaccio che si stava sciogliendo. Per questo ha deciso di investire tutto il capitale della sua azienda, mezzo miliardo, in Bitcoin.

È lo stesso percorso che ha portato Musk a investire?

Esattamente. Le altre aziende hanno ascoltato i discorsi di Saylor, e si sono trovate nella scomoda situazione in cui nessuno vuole essere il primo, ma nemmeno l’ultimo. Così Saylor intanto ha agito. Poi, dopo aver investito il capitale, ha preso in prestito centinaia di milioni di dollari dalle banche, a tassi d’interesse irrisori, data la bassa inflazione.

E questo cosa significa?

Che ha attaccato le banche centrali, colpendo la produzione di moneta. Più le banche producevano moneta più lui la richiedeva, più lui la otteneva più la investiva in Bitcoin, più i Bitcoin salivano di valore più le altre monete ne perdevano. Questo vuol dire mettere le banche centrali davanti all’evidenza che stampare tutti quei soldi è economicamente insostenibile.

E allora perché c’è tutta questa sfiducia nei Bitcoin?

Perché le persone sovrastimano i rischi. I Bitcoin sono crollati addirittura del 90%, è vero, ma sono volatili solo nel breve periodo, mentre nel lungo periodo sono stabili: ogni volta che si registra una bolla, come detto in precedenza, i Bitcoin cadono sempre, ma a un punto più alto del precedente. Il fatto è che, naturalmente, mentre aspetti che il valore risalga ti è venuta una sincope. È per questo che nei Bitcoin è utile investire solo una percentuale dei propri risparmi, e lasciarli lì. In finanza c’è un rapporto tra rischio e beneficio: se tu guadagni vuol dire che hai rischiato. Nei Bitcoin il rapporto è totalmente sbilanciato rispetto agli altri asset: il profitto è molto più alto rispetto al rischio corso.

Come sono entrati in contatto Saylor e Musk?

Saylor ha iniziato a twittare, rivolto a Musk e ad altri, descrivendo i passi che ha compiuto per investire il suo capitale. Quindi ha iniziato a tenere conferenze, aperte (inizialmente) solo alle aziende, in cui illustrava le operazioni di investimento compiute da MicroStrategy. Poco dopo Musk ha parlato con Saylor. Non si sa cosa si siano detti: fatto sta che la Tesla ha investito in Bitcoin.

Però investire in Bitcoin è un’operazione diversa da quella aprire all’acquisto di Tesla in criptovaluta, giusto?

Sì, una cosa è investire, una cosa è accettare di vendere in Bitcoin e un’altra ancora è dichiarare che i Bitcoin posseduti non saranno riconvertiti in dollari. Musk è entrato nel mondo delle criptovalute come una specie di elefante in un negozio di cristalli, essendo il Ceo di un’azienda molto grossa, ma che ne sapeva poco. Faceva casini: allo stesso tempo però era utile alla comunità, perché accendeva i riflettori. Dopo aver investito e aperto all’acquisto delle Tesla, ha affermato che non avrebbe riconvertito più i Bitcoin in dollari: il che vuol dire, io confido più che i Bitcoin mantengano il loro valore rispetto alla moneta comune

Perché allora Bill Gates si è fatto promotore di una battaglia contro le criptovalute? Oltre al colossale dispendio energetico, lui ha affermato che è un sistema da regolare e centralizzare. Ma è possibile centralizzare ciò che nasce come decentralizzato?

Bill Gates vede l’altro lato della medaglia, evidenzia le falle del ragionamento dei Bitcoiners, a cominciare dal fatto che stampare moneta non generi per forza inflazione. Secondo Ray Dalio, imprenditore (ha fondato il più grande hedge fund al mondo) ed economista, anche se nei cicli economici a breve termine si stampa più moneta, se a lungo termine la moneta viene stampata in maniera bilanciata si riescono a cancellare alcuni importanti debiti senza generare inflazione. Inoltre, ti immagini se gli Stati non avessero potuto stampare moneta durante la pandemia? Il risultato sarebbe stato che le persone in difficoltà economica avrebbero dovuto chiudere subito le attività. Il mondo che piace tanto ai Bitcoiners è quello del 1800: grandi innovazioni, ma anche divisioni sociali enormi.

Quindi non è possibile immaginare un mondo dominato dalle criptovalute e allo stesso tempo dotato di uno stato sociale adeguato?

Se tu parli con i Bitcoiners ti diranno che bisogna aspettare. Gli investitori per ora sono retailers e aziende. Infatti, il passaggio che nessuno si aspettava era l’entrata in campo delle aziende. Ma col senno di poi era inevitabile. Dopo verranno le banche centrali, perché verranno (anzi, alcune banche centrali hanno già iniziato a investire in Bitcoin. Specie le banche senza debito pubblico come la Norvegia e Singapore). Infine, tutto verrà misurato in Bitcoin, e il satoshi (un cento milionesimo di Bitcoin) sarà la valuta universale, una moneta fissa per tutti, senza inflazione. I Bitcoiners dicono che questo cambierà tutto portando a una prosperità, una nuova età dell’oro, solo non basata sull’oro. Forse sì, forse no. Si tratta della fazione più utopistica del settore.

Cosa rimane (se rimane qualcosa) da fare agli Stati?

Per evitare che questo accada perdendo definitivamente il controllo sulla produzione di moneta? Vietare alle persone di usare i Bitcoin vorrebbe dire semplicemente indebolire le aziende a livello nazionale. A meno che non si mettano d’accordo tutti i governi per rendere le criptovalute illegali, ma questo funzionerebbe solo se si trattasse di un atto comune. Pensa che nel 1934 l’America ha reso illegale il possesso dell’oro: così, tutti quelli che lo detenevano, hanno dovuto restituirlo. Questo è accaduto in un week-end. L’oro però non ha smesso di essere usato a livello mondiale.

E poi?

Gli americani l’hanno ricomprato, trenta o quarant’anni dopo. Una cosa del genere, però, non basterebbe per fermare i Bitcoin. Ci sono state molte nazioni che hanno reso illegali la detenzione o l’utilizzo dei Bitcoin. E se all’inizio (nel 2013, in Cina) la cosa ha fatto scendere il prezzo, negli anni successivi i divieti delle altre nazioni (Russia, Venezuela) hanno avuto un effetto sempre minore. E recentemente hanno generato addirittura un esito inverso, con il valore dei Bitcoin che è cresciuto quando in India è diventato illegale. Dunque non servirebbe. Ma se tutte le nazioni insieme bandissero i Bitcoin, allora si potrebbe fermarne la corsa, se non altro perché le aziende dovrebbero vendere, tornando alla condizione antecedente l’11 agosto del 2020, quando MicroStrategy ha comprato.                        

Alla fine dell’intervista, ho ringraziato Pietro Speroni di Fenizio per la intensa conversazione. Quindi, una volta attaccato il telefono, mi sono reso conto che la sensazione di ottundimento che avevo addosso era scivolata via. Non perché fossi riuscito a comprendere il fenomeno nella sua complessità, ma perché adesso avevo un vocabolario per interpretarlo.

Che ci crediate o no, aveva anche smesso di piovere.

di Flavio Natale

mercoledì 7 aprile 2021