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Nella società bulimica la qualità non trova spazio

Siamo nell'era della sovrapproduzione in ogni settore: alimentare, tecnologico, informativo, artistico. Fare meno e meglio potrebbe aiutarci a recuperare una qualità della vita che da anni si sta riducendo sempre più. Ma non è così semplice come si pensa.

mercoledì 5 novembre 2025
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Non ho amato l’auspicio di una “decrescita felice”, mi sembrava una prospettiva deprimente e soprattutto fumosa. Decrescere: come? perché? e con quali conseguenze? Nessuno lo spiegava, perché gli slogan sono così, prendere o lasciare senza farsi troppe domande. Lo premetto per sgombrare il campo da equivoci, visto quello che dirò adesso: la società bulimica in cui viviamo oggi non mi piace e credo sia dannosa da vari punti di vista.

C’è troppo di tutto: i supermercati traboccano di cibo che probabilmente in buona parte verrà buttato, anche perché abbiamo imparato che, soprattutto da una certa età in poi, è meglio non esagerare con gli alimenti e anche con certe bevande alcoliche o zuccherate che siano. Dell’overtourism inutile parlare, già se ne parla troppo e basta spostarsi in una località anche a pochi chilometri da casa per toccarlo con mano.

Le automobili, tranne l’usato (79,61% contro il 20,39% nello scorso mese di settembre) restano invendute: molti un’auto nuova non se la possono permettere; poi c’è sempre l’incognita che, causa inquinamento, entrino in vigore i divieti; il carburante può sempre aumentare e difatti aumenta; anche l’età – sempre quella, siamo una società “anziana” – avanza e la patente chissà se verrà rinnovata.

A ogni istante, grazie alle notifiche sullo smartphone, siamo bombardati da informazioni: sempre più difficile distinguere il vero dal falso, vista la facilità con cui si possono creare e diffondere fake news. Non parliamo poi dei libri. Secondo i dati dell’Associazione Italiana Editori, nel 2023 ne sono stati pubblicati oltre 85mila e di questi circa 80mila hanno venduto meno di 2mila copie. Facile immaginare che fine faranno gli invenduti…

Le nuove frontiere della lettura, dal “remix” dei romanzi alla biblioterapia

Leggere un libro per intero sta diventando sempre più anacronistico. Tra riassunti delle AI, podcast, contenuti social, i modi con cui ci approcciamo ai testi stanno cambiando. Così come le ragioni per cui leggiamo.

 

E non è solo un problema di spreco, che comunque ha la sua importanza. C’è anche un discorso di qualità, perché “più” non sempre fa rima con “meglio”.

Vale per il cibo, per gli oggetti come per i libri, in generale se l’obiettivo è il “tanto”, anzi il “troppo”, questo probabilmente non vorrà dire che sarà di maggior qualità. Temo che l’intelligenza artificiale aumenterà il problema, anche se spero di essere smentita.

C’è un aspetto che tuttavia vale la pena sottolineare. Nel caso dei libri, ma forse anche di altre realizzazioni artistiche (leggevo che nella recente Festa del Cinema di Roma c’è stata una programmazione da qualcuno segnalata come esorbitante) la super produzione è stata in parte causata da una reazione alla gestione un po’ lobbistica del sistema che restringe il campo ai soliti noti. Insomma si tratterebbe di una richiesta di maggior democraticità nella selezione, che lasci spazio anche a chi famoso non lo è ancora ma potrebbe portare idee nuove in ambiti rigidamente chiusi. E così proliferano le case editrici a pagamento e si diffonde in modo sempre più massiccio l’autopubblicazione.

Da questo si può dedurre che “meno è meglio” non è qualcosa che si può realizzare facilmente, come forse lo slogan della “decrescita felice” avrebbe potuto far credere. Tuttavia, se non vogliamo implodere come razza umana e con noi il pianeta che abitiamo, qualcosa è urgente fare.

Ma non è solo questione di sopravvivenza, perché ormai sappiamo che quando qualcosa si proietta nel futuro non attrae la nostra attenzione, sempre più focalizzata sul presente: c’è il tema urgente di recuperare una qualità della vita che da anni si sta riducendo sempre più.

La pandemia ci aveva offerto un’ottima opportunità per un cambiamento di paradigma, ma l’occasione è stata sprecata e la reazione emotiva non governata ha dato la stura a comportamenti peggiori del periodo antecedente quanto a bulimia.

In questi giorni si celebra il cinquantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, scomparso il 2 novembre 1975. Vale ricordare che fu lui a denunciare molti decenni fa i guasti del consumismo che stava avanzando a grandi passi.

Ha fatto una brutta fine, un destino che purtroppo tocca ai profeti e, a volte, agli intellettuali scomodi. Giusto almeno tributargli riconoscenza, ma meglio sarebbe raccogliere la sua eredità intellettuale per dare inizio a un vero e giusto cambiamento.

Copertina: Sung Jin Cho/unsplash