Certificazione della parità, Italia prima in Europa
Il nostro Paese è l’unico ad averla inserita nel proprio Piano nazionale ed è tra quelli con il maggior numero di misure dedicate.
Italia prima sul podio europeo per la certificazione aziendale della parità di genere: lo si evince da un rapporto (a cura di Margherita Farinella) del Gruppo dell’Alleanza dei socialisti e democratici al Parlamento europeo. E del resto i dati parlano chiaro: le certificazioni rilasciate sono al momento attuale 1632, un numero decisamente importante e che supera le più rosee aspettative.
Ciò non significa che tutto vada bene. Secondo il più recente report dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Gender equality index report) l’Italia infatti si attesta al di sotto della media europea con un punteggio di 65/100 (i Paesi più virtuosi, Svezia, Olanda e Danimarca si attestano rispettivamente all’83,9/100, 77,8/100 e 77,3/100) e con una marcata differenza in negativo sull’indicatore relativo al lavoro rispetto al quale siamo addirittura all’ultimo posto.
Ciò detto la certificazione aziendale introdotta dalla legge 162/2021, a cui hanno fatto seguito la legge 234/2021 con il dettaglio delle norme per l’adozione del Piano strategico nazionale e il Decreto del 29 aprile 2022 con i parametri per il conseguimento della certificazione, vede l’Italia per una volta in posizione di leader.
Precisiamo che, a livello internazionale, non esiste per ora uno standard ufficiale per la certificazione di genere nelle aziende.
L’International organization for standardization (Iso), inserisce l’uguaglianza di genere nell’ambito della Iso 26000 Guidance on social responsibility, una linea guida contenente usa serie di raccomandazioni dirette alle aziende su come migliorare l’equilibrio di genere, per esempio garantendo la presenza di donne nelle posizioni manageriali e di vertice, parità di trattamento nei processi di assunzione, di avanzamento di carriera e parità salariale. Come linea guida non può essere certificata al pari di altri standard ISO, ma si pone l’obiettivo di segnalare buone pratiche e aiutare le aziende a identificare azioni concrete da mettere in campo per migliorare l’uguaglianza di genere nella propria organizzazione interna.
Certificazione e parità di genere, un difficile percorso
Meno di 400 imprese l’hanno ottenuta, più della metà sono in Lombardia. Criticità soprattutto per le medio-piccole.
Negli ultimi anni sono state però sviluppate nei singoli Stati certificazioni ormai riconosciute volte a misurare lo sforzo delle aziende per la parità di genere come quella del Winning women institute in Italia. Simili a quella nostrana sono per esempio la maltese Equality mark, valida sia per il settore privato che per quello pubblico e finora concessa a 120 aziende; il Distintivo igualdad en la empresa (Die) spagnolo conferito dal Ministero per l’Uguaglianza a entità sia pubbliche che private (170 nel 2020); l’Equality employer cipriota, valida per quattro anni al termine dei quali il processo deve essere ripetuto integralmente; la certificazione islandese, obbligatoria e da rinnovare ogni anno per le imprese con più di 25 dipendenti.
In Francia, nel 2018 con la legge 771 Pour la liberté de choisir son avenir professionel è stato introdotto l’obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di pubblicare su base annuale il Gender equality index,
un sistema di valutazione su scala da 0-100 basato su cinque criteri di uguaglianza salariale, equilibrio nelle posizioni di vertice e negli avanzamenti di carriera e trattamento salariale delle donne al rientro da periodi di maternità. Alle aziende con punteggi minori di 75/100, viene dato un periodo di tre anni per uniformare i processi interni con gli standard previsti dalla legge attraverso modifiche correttive, con il rischio di sanzioni pecuniarie per le imprese non conformi. Il decreto 243, approvato a febbraio 2022, introduce poi specifiche obbligazioni anche per le imprese con punteggi minori di 85/100, le quali devono fissare obiettivi di miglioramento per ogni criterio di parità di genere che non è stato sufficientemente rispettato.
L’Italia però è l’unico membro dell’Ue ad aver introdotto questo sistema come parte del proprio Piano nazionale, oltre a essere tra i Paesi con il maggior numero di misure dedicate, insieme a Belgio, Estonia, Spagna e Austria.
Lo afferma la Commissione Europea che, nel suo report sull’implementazione dei Pnrr pubblicato a luglio 2022, identifica un totale di 129 misure volte a migliorare la parità di genere, con differenze significative tra gli Stati (si va dall’11.1% in Svezia allo 0% in Danimarca e Lussemburgo).
In conclusione, secondo il rapporto del Gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti & democratici, “ancora molti problemi in questo campo vanno risolti, ma il sistema nazionale di certificazione della parità di genere introdotto dalla normativa italiana e inserito tra gli investimenti del Pnrr potrebbe rappresentare, se ben implementato, una svolta nel risolvere alcuni dei problemi di parità di genere in ambito lavorativo che ancora persistono, come il divario salariale, il bilanciamento tra vita e lavoro, le discriminazioni dirette e indirette sul luogo di lavoro, e l’accesso alle carriere e alle posizioni apicali”.
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