Congedi parentali solo per le mamme, è polemica
La partecipazione dei padri, in lieve aumento, può essere favorita con le politiche pubbliche.
di Annamaria Vicini
La manovra economica del governo è ancora in corso e niente quindi è definitivo. Ma l’aver previsto l’aumento dal 30 all’80% di retribuzione di una mensilità di congedo riservando il beneficio alle sole madri ha scatenato reazioni polemiche piuttosto accese: perché restringere un vantaggio alle madri escludendo i padri, quasi a voler ribadire che la cura dei figli è un affare solo o prevalentemente per donne?
Che lo sia nei fatti non lo si può negare e la pandemia ha addirittura peggiorato la situazione. Secondo i dati forniti dall’osservatorio indipendente Openpolis, a causa della crisi sanitaria il tempo che le madri dedicano alla cura dei figli e alle faccende domestiche è aumentato da 26 ore settimanali a 31 mentre quelle dei padri sono passate da 20 a 24.
Ma, proprio perché la tendenza generale è quella di lasciare sulle spalle delle madri il peso maggiore della cura con conseguenze negative sulla loro carriera lavorativa, servirebbero caso mai degli incentivi per promuovere un maggior coinvolgimento dei padri e non il contrario.
Attualmente i congedi parentali (con questo termine si intende l’astensione facoltativa di lavoratori e lavoratrici dipendenti, diversa da quella obbligatoria) sono regolati dal decreto legislativo 151/2001 con successive estensioni.
Tralasciando i congedi specifici previsti durante la pandemia per far fronte all’emergenza, consistono nel diritto a 10 mesi di astensione dal lavoro da suddividere tra i due genitori e possono essere utilizzati nei primi 12 anni di vita del bambino. Spettano sia al padre che alla madre che lavorano, che ne possono usufruire per periodi continuativi o frazionati, anche contemporaneamente. Sono retribuiti al 30% dello stipendio per i primi sei anni di vita del bambino.
Il disegno di legge della ministra Elena Bonetti noto come Family act prevedeva “uno o più decreti legislativi per l’estensione, il riordino e l’armonizzazione della disciplina relativa ai congedi parentali e di paternità”.
Nello specifico si prefigurava la possibilità di estendere l’età entro cui beneficiare dei congedi fino ai 14 anni, permessi retribuiti aggiuntivi per recarsi ai colloqui con gli insegnanti, forme di premialità in caso di equa suddivisione dei congedi tra i genitori, l’estensione dei congedi parentali anche ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti.
Che ne sarà ora di queste buone intenzioni?
Ma volendo restare ai fatti, vediamo quanto l’istituto dei congedi parentali viene usufruito dai padri.
Sempre secondo i dati di Openpolis le domande sarebbero in aumento, anche se il numero risulta sempre molto contenuto: nel 2017 i fruitori sono stati il 18,8% sul totale dei beneficiari, ma negli anni successivi la percentuale è andata crescendo fino a superare quota 20%.
Secondo il giornalista Antonio Polito, che al drastico calo di natalità nel nostro Paese ha dedicato un interessante contributo sull’ultimo numero di 7-Corriere della Sera, “Il movimento femminista si è battuto per liberare le donne dalla schiavitù della maternità, da un destino che le destinava a procreare e accudire i figli e basta, in una posizione subalterna al maschio. Ma nonostante tanti successi, non è ancora riuscito a garantire alle donne la libertà di essere madri. Una mole di ostacoli sociali, culturali ed economici, e profondi pregiudizi sessisti, non consentono oggi in Italia di compiere in autonomia e serenità la scelta della maternità. Il desiderio, quello c’è, ed è forte, come registrano le rilevazioni demoscopiche. Ma è ostacolato, conculcato, non riconosciuto come un diritto”.
E, per rafforzare la propria posizione, Polito cita una dichiarazione della regista Cristina Comencini secondo la quale “Le giovani donne di oggi dovrebbero imporre a gran voce, come un tempo la generazione precedente ha imposto la libertà sessuale, la loro libertà di essere madri…”.
Ma non è questo ancora e sempre un delegare alle donne e solo a loro la responsabilità della decisione di diventare madri e la gestione della maternità?
Non sarebbe meglio rivolgersi anche ai padri, di fatto o potenziali, per sapere che cosa ne pensano loro?
Qualche sondaggista in ascolto dedicherebbe una ricerca a questo tema interpellando il mondo maschile?
In attesa di informazioni dal campo, sarebbe opportuno cercare di facilitare la partecipazione paterna anche attraverso le politiche pubbliche.
Una “spinta gentile” può essere d’aiuto.