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Le prospettive del femminismo: c'è posto per tutti

Ma il cammino della consapevolezza per i maschi è difficile. E tra le donne la lotta per il potere divide vecchie e nuove generazioni.

di Annamaria Vicini

A cinquant’anni di distanza da quella che qualcuno definì l’unica vera rivoluzione nata dal Sessantotto, ha ancora senso parlare di “femminismo”? O non sarebbe invece più corretto parlarne al plurale, perché diversi sono i “femminismi”, a volte anche in conflitto tra loro? Il tema, dibattuto nell’ambito dell’International Journalism Festival di recente svoltosi a Perugia, è di quelli capaci di suscitare passioni nonostante sia ignorato dall’informazione mainstream omologatasi ormai nell’affrontare un unico argomento e preferibilmente di tipo emergenziale (prima era il Covid, oggi la guerra di Putin). Come se le nostre vite non fossero anche altro: amicizie, amori, figli, separazioni e divorzi, crisi d’identità, senso di appartenenza, discriminazioni, senso di frustrazione e insomma tutto ciò che attraversa quotidianamente il nostro spazio e il nostro tempo e su cui abbiamo forse più possibilità di incidere rispetto a eventi come una pandemia o un conflitto bellico.

“I femminismi fanno fatica a farsi ascoltare non tanto a livello sociale, quanto a livello politico”, ha detto la scrittrice Giulia Blasi a cui spettava il compito di moderatrice del panel.

“Da trent’anni ci dicono che ci sono cose più importanti e così le nostre istanze non vengono ascoltate”, le ha fatto eco Laetitia Ingrid Leunkeu Madjougan esponente di Art3, un collettivo che promuove le istanze della seconda generazione di stranieri immigrati. Lei, in quanto donna, nera e appartenente a una classe sociale medio-bassa, si sente oggetto di un sessismo diverso da quello che può colpire una donna bianca e benestante.

Ed è proprio dalla riflessione sulla possibile coesistenza di diversi fattori oggetto di discriminazione che è nato il femminismo “intersezionale”, il quale su un immaginario asse cartesiano identifica i punti di intersezione tra differenti caratteristiche (uomo/donna, bianco/nero, cisgender/transgender, eterosessuale/omosessuale, abile/disabile,…) con le gerarchie che ne derivano.

Il punto più alto della gerarchia è occupato dall’uomo, bianco, adulto, benestante, con un corpo abile: perché dunque questo soggetto privilegiato dovrebbe essere “femminista”?

“Perché è un sistema di potere che a me in quanto maschio ha assegnato un ruolo oppressivo e in base al quale la mia vita dovrebbe essere contraddistinta da due attività prevalenti: il lavoro e la conquista femminile a scopo sessuale”, ha risposto il filosofo Lorenzo Gasparrini. “La non accettazione del sistema però non è facile perché mette in crisi la tua identità di genere, così come è complicato dover imparare che non sei tu il protagonista assoluto”.

Anche perché, ha sottolineato Giulia Blasi, “gli uomini non si percepiscono come genere, ma come individui”.

Tutto quindi ruota intorno al potere.

Ma attenzione, perché anche all’interno dei “femminismi” esistono a loro volta élites gelose della posizione raggiunta a livello accademico o nei media, “che decidono chi è dentro e chi è fuori”.

La denuncia è della sociolinguista Vera Gheno, nota per le sue battaglie a favore di un uso della lingua più inclusivo e in particolare dello schwa, un simbolo fonetico utilizzato al posto della desinenza maschile per indicare un gruppo di persone a cui appartengano elementi di entrambi i generi. Nel mirino della docente le femministe appartenenti a generazioni più anziane, che avrebbero creato a loro volta un sistema di potere escludente le generazioni più giovani, molto attive sui social network e sostenitrici della pluralità dei “femminismi”.

“Il femminismo è per tutti”, era il titolo del panel.

Sicuramente lo è, in teoria. In pratica occorrerebbe innanzitutto una informazione che riuscisse a far comprendere la complessità di questo mondo, oggi attraversato da cambiamenti sotterranei che stentano a venire alla luce e che lo fanno apparire spesso come un monolite rivolto più alla conservazione del passato che alla transizione verso il futuro. E forse è anche questa immagine un po’ appannata e polverosa che rende il femminismo “un falso bersaglio” per i maschi (la definizione è di Gasparrini).

“Viviamo in una società in cui ciascuno si preoccupa del suo specifico e basta, perché è più conveniente coltivare il proprio orticello”, ha commentato la drag queen Priscilla, invitata a rappresentare il mondo Lgbt+ che spesso si è scontrato proprio con il femminismo vecchio stampo.

Insomma molta conflittualità sotto il cielo, ma per Priscilla “può essere stimolante”.

Vero. Se è troppa, però, rischia di essere distruttiva.

 

di Annamaria Vicini