Reazione a catena: il percorso tortuoso verso la legislazione europea sulla supply chain
Dopo lunghi e difficili negoziati, il 15 marzo gli Stati Ue hanno votato a maggioranza qualificata a favore di una legge comune europea sulla due diligence di sostenibilità delle imprese, nonostante le resistenze del governo tedesco.
Il voto sulla Corporate sustainability due diligence directive (Csddd) era originariamente previsto per l'inizio di febbraio 2024, dopo mesi di negoziati e la riunione finale nel dicembre 2023 (il processo risale al 2022, quando il Green Deal europeo e la Strategia per la finanza sostenibile si sono concentrati anche sugli obblighi di due diligence aziendale nelle filiere produttive nell'ambito della revisione della Corporate sustainability reporting directive (Csrd). L'approvazione del compromesso negoziato per mesi nel processo di trilogo era considerata una mera formalità. Tuttavia, sorprendentemente per tutte le parti coinvolte, non si è concretizzata a causa del veto improvviso dell'Fdp, il partner di coalizione più piccolo del governo federale. Il governo tedesco si è allora astenuto dal voto nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio dell'Unione europea (Coreper), il che equivale a un no. Altri membri, tra cui l'Italia, hanno seguito l'esempio e si è delineato che non sarebbe stata raggiunta una maggioranza a favore della proposta. Sono seguiti 45 giorni di negoziati a porte chiuse. La Presidenza belga del Consiglio è ora riuscita a riunire una maggioranza qualificata dietro la proposta.
In Germania, la questione ha suscitato molto scalpore e dibattito. C'è stato un acceso confronto nella coalizione di governo, che nel suo accordo di coalizione del 2021 aveva dichiarato di voler sostenere una legge dell'Ue in linea con i Principi guida dell'Onu su imprese e diritti umani. Ora che è stato trovato un compromesso accettabile con i partner europei, il "German vote" ha colpito come uno schiaffo. I liberali hanno giustificato il loro operato sottolineando che la nuova legge avrebbe imposto un aggravio eccessivo a troppe aziende, in particolare alle Pmi tedesche, che costituiscono la maggioranza dell'elettorato dell'Fdp, mettendole così in una posizione di svantaggio competitivo.
In realtà, le aziende e le Pmi tedesche sono già preparate per la legge nazionale sulla supply chain, in vigore in Germania dal 1° gennaio 2023, e quindi si trovano già in una situazione di probabile svantaggio rispetto ad altri Paesi dell'Ue. Infatti, solo la Francia e i Paesi Bassi hanno leggi simili. Il regolamento Ue dovrebbe garantire pari opportunità, diritti e obblighi per tutti gli Stati membri. E posizionare l'Ue di conseguenza sul mercato globale come pioniere dell'Agenda 2030, inviando un chiaro segnale a favore della protezione delle persone e dell'ambiente nelle catene globali del valore.
Naturalmente si tratta di decidere quale modello economico vogliamo coltivare e promuovere in Europa, ma allinearsi al Green Deal europeo e impegnarsi per gli obiettivi dell'Agenda 2030 significa e richiede impegno. E il fatto è che, prima o poi, sempre più aziende dovranno riconoscere la propria responsabilità d'impresa. Nell'ambito dell'attuazione della citata Csrd, il numero di aziende soggette all'obbligo di rendicontazione aumenterà gradualmente in modo considerevole fino a raggiungere circa 50mila in tutta l'Ue, di cui circa 15mila in Germania e 4mila in Italia. Per riprendere una frase del policy brief dell'ASviS: “La rendicontazione di sostenibilità nel contesto europeo e italiano: una rivoluzione in atto” – inarrestabile.
Le aziende interessate dalla Csrd oggi o in futuro dovrebbero essere o diventare consapevoli del fatto che la Csddd si inserisce in questo contesto e che gli obblighi in essa previsti coincideranno con gli European sustainability reporting standards (Esrs) ancora in fase di definizione e armonizzazione a seguito della Csrd. Perché allora non adottare un approccio pragmatico alla sfida? Se un'azienda è o diventa soggetta agli obblighi di rendicontazione, può cogliere i classici “due piccioni con una fava” e sfruttare i vantaggi che ne derivano per l'azienda. In effetti, molte aziende con sede e operanti in Germania hanno riconosciuto questo aspetto, vedono un vantaggio in termini di competitività e sono favorevoli al Csddd, tra cui la catena di supermercati Aldi Süd, il gruppo chimico e farmaceutico Bayer, l'azienda alimentare Mars, il discount tessile KiK e la catena di caffè Tchibo.
La Camera di Commercio e dell'Industria tedesca contraddice questa visione favorevole facendo riferimento a un sondaggio condotto tra le aziende tedesche che operano all'estero, le quali lamentano un aumento degli oneri dovuti a requisiti normativi sempre più complessi e poco pratici. "Il rispetto dei diritti umani e la tutela dell'ambiente sono preoccupazioni che accomunano politica ed economia. Tuttavia, le conseguenze per l'Europa come piazza economica non sono ancora state prese sufficientemente in considerazione", ha ribadito Achim Dercks, vicedirettore generale del DIHK.
Le voci e le opinioni si sono susseguite. L'Spd, i Verdi e numerose Ong, come la Supply Chain Act Initiative, hanno chiesto infine al Cancelliere di intervenire, ma lui si è trattenuto. Gli esperti e gli analisti di Bruxelles dovranno valutare in che misura le azioni del governo tedesco avranno conseguenze a livello europeo e se la reputazione della Germania come partner affidabile sia stata compromessa. L'eurodeputata dei Verdi Anna Cavazzini, ad esempio, una delle più decise promotrici del progetto, ha dichiarato: "L'Fdp ha lasciato una scia di caos a Bruxelles e ha offuscato l'immagine del governo tedesco come partner negoziale affidabile (...) Più "German vote" ci sono, più le decisioni saranno semplicemente prese senza il governo tedesco".
Tuttavia, la bozza di Csdd è stata adottata. La legge ha ancora un ostacolo da superare: il Parlamento europeo deve approvare il progetto, ma la maggioranza è considerata sicura. Certo, verrà attuata solo una versione attenuata della bozza originale. Inizialmente, la legge doveva essere applicata alle aziende con almeno 500 dipendenti e un fatturato globale di oltre 150 milioni di euro all'anno. La nuova bozza si applica ora alle aziende con almeno mille dipendenti. La soglia di fatturato annuo è di 450 milioni di euro. Secondo Lutz Weischer, responsabile dell'ufficio berlinese di Germanwatch, ciò significa che la legge si applicherà solo a circa lo 0,01% delle aziende europee. Ma un primo passo è stato fatto e in definitiva ogni azienda è libera di fare di più di quanto stabilito dalla legge.
Ed è proprio da qui che vorrei partire per invitare le aziende ad ampliare il loro impegno verso la responsabilità d'impresa e la due diligence su base volontaria. La Global reporting initiative (Gri), che dal 1997 sviluppa standard di rendicontazione della sostenibilità, e il Deutscher Nachhaltigkeitskodex (Codice di sostenibilità tedesco), anch'esso compatibile a livello internazionale, che supporta le aziende nella definizione di una strategia di sostenibilità in modo molto pragmatico e chiaramente strutturato e offre un'introduzione alla rendicontazione della sostenibilità, possono essere citati come modelli e orientamento. Se vogliamo rimodellare la nostra economia globale in modo sostenibile, dobbiamo guardare oltre i nostri confini nazionali e considerare e rispettare le esigenze e il benessere dei nostri partner internazionali nelle catene del valore. Le imprese tedesche e italiane possono e dovrebbero collaborare in questo senso, soprattutto in considerazione delle loro relazioni economiche e filiere di produzione e valore così strettamente interconnesse.
Immagine di copertina: Karoline Rörig