By Disaster or by Design? Soluzioni per una sostenibilità sistemica
Davide Brocchi spiega perché la necessaria trasformazione della società verso la sostenibilità deve essere preparata da un cambiamento culturale.
a cura di Karoline Rörig
Nell’introduzione al suo nuovo libro dal titolo, molto suggestivo, By Disaster or by Design il sociologo Davide Brocchi ci racconta la sua strada verso la Germania. A partire dal nonno, che, segnato dalle amare esperienze della Seconda guerra mondiale e dell'occupazione tedesca in Italia, ebbe grandi riserve quando il nipote si avviò a studiare sociologia, politica e psicologia in Germania dopo una laurea in scienze politiche all'Università di Bologna. Ma da giovane è partito e ha scoperto la cultura, la storia e la filosofia tedesca, ha ceduto al suo fascino ed è rimasto: Brocchi vive e lavora in Germania ormai da ben 20 anni come sociologo, pubblicista e docente, con particolare focus e attenzione sul tema della trasformazione della società verso una nuova cultura e un nuovo ordine politico-sociale sostenibile. Ora ha pubblicato un nuovo libro che, dopo tutta una serie di altre opere in tedesco, è il primo ad essere presentato anche in italiano: By Disaster or by Design? Dalla crisi multipla alla grande trasformazione sostenibile.
Buongiorno Davide, sono lieta di avere l'opportunità di parlare oggi, in occasione della Fiera del Libro di Lipsia, del tuo nuovo libro. Qui esamini lo stato di un mondo sull'orlo del baratro: cambiamenti climatici, catastrofi ambientali, ingiustizie economiche e sociali, disintegrazione delle strutture sociali, perdita di fiducia nella democrazia e nelle istituzioni politiche. I risultati sono cupi e ben noti, ma metti insieme i fatti in modo elegante e strutturato per formare un quadro d'insieme, li sottolinei con molte fonti e cifre e mostri così in modo convincente la complessità della catena causale di cause ed effetti.
Attraverso la continua ripetizione di meccanismi disastrosi nella politica, nell'economia e nella società - alcuni dei quali sono sorti nel corso dei secoli – gli uomini perpetuano lo status quo, alimentando e aggravando la crisi multipla. Così, lo sviluppo "by disaster" sembra pressoché inevitabile, ma il titolo del tuo libro apre a una certa speranza che la grande trasformazione sostenibile sia possibile - "by design", attraverso un cambiamento profondo e sistemico delle strutture e dei processi sociali e politici, a partire da un cambiamento mentale e dalla consapevolezza che ogni individuo può attivamente costruire e dare forma a questa trasformazione, specialmente e soprattutto a livello locale.
Come può funzionare? Visto che in tutto il mondo, in tutte le società e culture, ci sono tanti interessi contrastanti, valori e tradizioni diverse. Il desiderio di una grande trasformazione sociale e politica non è nuovo, le rivoluzioni nascono da questo. Oggi, grazie al progresso sociale e tecnologico, a un mondo connesso attraverso la rete e a una comunicazione che facilita la diffusione della conoscenza e dell'istruzione, siamo forse, finalmente, più attrezzati e pronti al cambiamento?
È molto difficile rispondere a domande di questo tipo, almeno per quattro motivi. Il primo: negli scenari degli scienziati il clima è più calcolabile dell'uomo, ma è più dall'uomo che non dal clima che dipendono gli sviluppi nell'era dell'antropocene. L'uomo non è una macchina programmabile e pianificabile, ma un essere vivente. Proprio la vitalità che ci unisce alla natura è una speranza. Anche l'aumento di diagnosi come depressione e burn-out è espressione di una rivolta interiore verso un modo di vivere non-sostenibile.
Il secondo motivo: ogni risposta può cambiare l'oggetto che descrive. Non si può essere molto ottimisti quando si parla di sostenibilità da oltre 50 anni e gli sviluppi continuano ad andare nella direzione sbagliata. Ma se io qui ti do una risposta pessimista, questa diventa una profezia che si autoavvera, visto che il catastrofismo paralizza le persone invece di motivarle ad impegnarsi ancora di più per evitare il peggio. Se invece ti do una risposta ottimista, ciò può fomentare il business as usual. Chi crede che tutto volga al meglio e l'auto elettrica salverà il mondo, si sente motivato a continuare sulla strada di sempre.
Questa è l'ambivalenza della comunicazione sulla sostenibilità. Forse la risposta più sensata è questa: "Sono pessimista con l'intelligenza, ma ottimista per la volontà" (Antonio Gramsci). Ognuno di noi può cambiare qualcosa, basta volerlo. Ma la ragione mi dice che questa società premia molto più il funzionamento nell'ordine dato, la stabilità, la complicità e l'opportunismo. La nostra società ha un'immagine liberale, ma il movimento ambientalista viene attualmente in parte criminalizzato, mentre i "whistleblower" non se la passano molto bene. Ci vuol anche coraggio per cambiare. Ma che cosa si intende per cambiamento?
E qui giungo al terzo motivo. Fare gli acquisti al supermercato biologico fa bene alla salute e tranquillizza la coscienza. Ma questo non basta assolutamente per superare la crisi multipla con cui abbiamo a che fare oggi. Solo la crisi climatica richiede un azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050, ma credere che questo obiettivo possa essere raggiunto solo con innovazioni tecnologiche e meccanismi di mercato è un'illusione. Ancora oggi la Germania dipende per il 79% da fonti di energia fossile (petrolio, carbone e gas). Qui un annullamento delle emissioni di gas serra corrisponderebbe quindi ad un ribaltamento del sistema energetico, vale a dire ad una trasformazione paragonabile alla Rivoluzione del neolitico e a quella industriale. Qui non si tratta di rendere verde la crescita economica, ma soprattutto di ridurre la produzione e i consumi. Non basta erigere le pale eoliche, bisogna anche spegnere le centrali a carbone. Invece di importare le mele dal Cile, serve una regionalizzazione dell'economia. Perché non ridistribuire equamente la ricchezza e il lavoro invece di continuare a crescere ingiustamente? Per la sostenibilità abbiamo bisogno di più socializzazione che non di privatizzazione. Ogni cambio di sistema energetico presuppone un cambio di sistema sociale - e con questo intendo anche del modo di governare.
Il quarto motivo. La tua domanda se "siamo" pronti al cambiamento, sovrintende un "noi" nel senso di comunità umana. La tesi che esprimo nel mio libro è che è molto difficile parlare di una umanità in un contesto di crescenti disuguaglianze socioeconomiche. "Noi" viviamo in una bolla percettiva pensando che sia assolutamente normale volare in aereo. In realtà è solo il 3% della popolazione mondiale che in un anno si gode questo lusso. Una cosa sconcertante è che le cento persone più ricche del pianeta posseggono insieme un patrimonio pari a quello che appartiene ai quattro miliardi dei più poveri. Mentre qualcuno spende ingenti somme per portare il primo uomo su Marte, sulla Terra l'umanità vive già su due pianeti completamente separati: un pianeta benestante e un pianeta svantaggiato. Questi pianeti non corrispondono solo al Nord e al Sud del mondo, ma coesistono spesso in ogni città.
A Colonia i più ricchi vivono nei quartieri di Hahnwald e Lindenthal. Qui la concentrazione di automobili è più alta della media, molte vetture sono di alta cilindrata e consumano di più. Ma questi quartieri sono tranquilli e verdi. Non mancano inoltre i supermercati del biologico, visto che acquisti a prezzi più alti qui non sono un problema. Le persone più povere si concentrano invece là dove gli affitti sono bassi, vale a dire a fianco di strade trafficate oppure in quartieri degradati come Chorweiler. Qui la concentrazione di automobili è più bassa, ma l'esposizione agli effetti nocivi del traffico è più alta.
Morale della favola: chi è più ricco vive nel benessere, causa il problema, ma evita gli effetti. Chi è più povero ha un impatto molto inferiore sull'ambiente, ma paga il prezzo di questo modello di "benessere". A livello globale è una élite composta dal 10% della popolazione ad essere responsabile della metà delle emissioni di gas serra, ma è la parte più povera del pianeta a pagare per il cambiamento climatico. Che interesse dovrebbe avere il pianeta benestante a cambiare rotta nello sviluppo, se i costi del proprio stile di vita possono essere esternalizzati sul pianeta svantaggiato?
La tesi che esprimo nei miei libri è che non ci può essere sostenibilità senza giustizia sociale. Bisogna ripensare il benessere, visto che una vita che scarica i costi sugli altri non può essere buona.
Davide, vivi, studi, insegni e pubblichi in Germania da 20 anni e stai osservando gli sviluppi sociali e politici di questo Paese con attenzione e spirito critico. Da straniero, immigrato, anche forse con una certa distanza. Come è cambiata la tua visione dell'Italia attraverso la tua vita e le esperienze in Germania? Nel tuo libro proponi la via d'uscita dalla crisi multipla in virtù del rinnovamento dell'ordine politico e sociale a partire da una società civile vivace e partecipativa: "La tesi di fondo è che la trasformazione verso la sostenibilità debba essere impostata come processo di apprendimento individuale e collettivo" (p.18). Allo stesso tempo ammetti: "Non c'è una strada maestra verso la trasformazione sostenibile (...) fa della diversità dei luoghi e della singolarità degli attori e il proprio potenziale" (p.19). Secondo te, quali sono i punti di forza e di debolezza della società tedesca e di quella italiana? Cosa possono imparare i due Paesi l'uno dall'altro?
Dipende cosa si intende per Germania e Italia, visto che non sono unità uniformi al loro interno. Colonia, Stoccarda e Monaco sono città dell'automobile, Münster delle biciclette. In Italia Bologna è molto diversa da Roma. Quando si organizza un dialogo fra due Paesi si invitano spesso attori non rappresentativi. Avendo la doppia cittadinanza sono italiano come Matteo Salvini e tedesco come l'estremista di destra Björn Höcke, ma mi sento più vicino agli africani che non a loro [ride].
Sono immigrato in Germania nel 1992 seguendo la mia curiosità. Ogni migrante è sempre un po' "etnologo della propria cultura" (Michel Foucault). La migrazione e l'etnologia permettono un'emancipazione mentale, perché mostrano che non esiste una normalità universale, ma ogni cultura è solo relativa. Fra Germania e Italia non ci sono solo differenze, ma anche molte somiglianze - e confrontarsi su queste potrebbe essere pure un modo di imparare l'un dall'altro. Molti tedeschi credono che la crisi della democrazia in Italia sia dovuta ad una sorta di tradizione interna (mafia, corruzione, frequenti cambi di governo ecc.).
La verità è che questi Paesi hanno avuto nel 20esimo secolo una storia estremamente simile: Prima guerra mondiale, poi moti rivoluzionari soppressi da un patto fra grande impresa e fascismo, Seconda guerra mondiale, sconfitta e perdita di parte della sovranità. Fino ad oggi ambedue i Paesi devono accettare basi militari straniere sul proprio territorio. Anche se l'Italia è governata attualmente da un governo di estrema destra, la maggioranza della popolazione è ancora più pacifista di quella tedesca.
In Italia come in Germania c'è una democrazia non compiuta: i governi cambiano, ma la politica non necessariamente. A che serve votare, se il governo si orienta ogni volta soprattutto a "continuità", "stabilità" e ovviamente "crescita"? La conseguenza è una rottura del rapporto fra cittadini e istituzioni. Attualmente in Germania solo il 30% della popolazione ha fiducia nei partiti, in Italia probabilmente ancora meno. Se certi sviluppi negativi sono comuni, allora anche le cause probabilmente lo sono. In ambedue i Paesi servono sforzi per riformare e rafforzare la democrazia. Serve il cittadino come soggetto politico e non solo come oggetto e consumatore.
La Costituzione italiana è per certi versi più democratica di quella tedesca, perché è stata scritta anche dalla Resistenza contro il nazifascismo. In Italia si possono indire referendum nazionali, in Germania no. Subito dopo Chernobyl nel referendum del 1987 l'80% degli italiani ha deciso la fuoriuscita dell'Italia dal nucleare. La Germania ha spento invece l'ultima centrale nucleare quest'anno, nel 2023. Un'altra differenza è la giustizia. La Costituzione italiana garantisce molta più autonomia alla magistratura rispetto a quella tedesca. Attraverso il lavoro di magistrati coraggiosi in Italia sappiamo cose che in Germania non si sanno, sebbene siano molto rilevanti anche per questo Paese.
Proprio perché l'Italia ha avuto una Costituzione più democratica ha dovuto pagare un tributo di sangue molto più alto nel mantenere certi equilibri di potere nella Guerra fredda. La mafia è cresciuta diventando un'agenzia di servizi per altri poteri che in compenso l'hanno coperta. L'Italia è stato un Paese molto vitale e in parte anarchico, ma proprio per questo martoriato fino ad oggi. La Germania è un Paese meno polarizzato, forse però anche più omologato. Qui si è riusciti a mantenere almeno l'apparenza dell'ordine, nel quale si preferisce però non alzare troppo il tappeto e non porre domande scomode.
Il sistema scolastico in Germania è un problema, visto che è un modello che riproduce la disuguaglianza sociale e dà poche possibilità a chi viene dai ceti bassi. Mentre in Finlandia lo Stato investe soprattutto sugli studenti più deboli (la società non vuole lasciare indietro nessuno), qui in Germania si investe soprattutto sui più "bravi" e sulle università d'élite.
Rispetto alla sostenibilità sia in Italia che in Germania il sistema dei trasporti e il traffico sono un problema centrale. La lobby dell'automobile in Germania è estremamente forte, mentre le ferrovie sono ormai peggiori di quelle italiane. Anche in Italia il tasso di automobili nelle grandi città è fra i più alti in Europa. L'infrastruttura del trasporto pubblico urbano in città come Berlino è un modello. Uno sviluppo positivo in Germania è l'idea di creare un abbonamento nazionale per i mezzi pubblici che costerà "solo" 49 euro al mese.
Un altro problema centrale in ambedue i Paesi è la cementificazione del territorio e la speculazione immobiliare. Venendo da Rimini sono molto sensibile al tema, visto che un tempo "riminizzazione" era sinonimo di cementificazione selvaggia. Come scrisse l'antropologo sociale Karl Polanyi nel 1944, tre cose nella società non devono mai diventare merce su cui speculare: il lavoro, il denaro e il terreno. In ambedue i Paesi servirebbe finalmente una regolamentazione dei mercati per evitare uno scempio ecologico e sociale.
Un'ultima differenza interessante riguarda forse i movimenti sociali. Negli anni Ottanta io sono cresciuto nell'Arci e in Legambiente. Allora il movimento ambientalista italiano era allo stesso tempo un movimento culturale. Ci opponevamo al "pensiero unico", visto che la monocultura agricola e quella architettonica sono espressione di una monocultura mentale. L'Arci ha un figlio famoso pure in Germania: Slow Food. Quest'organizzazione unisce nella sua filosofia ecologia, economia, vita in comune e cultura. Ebbene questa multidimensionalità nei movimenti tedeschi mi manca. Conosco solo un intellettuale tedesco che ha cercato di promuovere il movimento ambientalista come movimento culturale: Joseph Beuys.
Restando in Germania, vorrei parlare di un'iniziativa che hai ideato e avviato qualche anno fa: la Giornata del buon vivere. Il progetto, nato come progetto distrettuale, è poi diventato un movimento in tutto il Paese. In questo caso hai applicato con successo e portato in pratica la tesi della trasformazione e del rinnovamento della società dall'Agorà. Ci descrivi per favore l'idea in poche parole, perché il concetto mi sembra piuttosto "esportabile" e potrebbe fare scuola anche in Italia.
Non solo per me, ma per l'intero dibattito sulla sostenibilità gli anni 2008-2010 hanno rappresentato una cesura. Dopo la crisi finanziaria, il fallimento della Conferenza del Clima di Copenaghen e gli scandali attorno alle grandi opere si è smesso di credere che la soluzione alle grandi sfide del 21esimo secolo potesse venire dall'alto. Bisogna incominciare a farsi la trasformazione da sé partendo dal locale e dalle regioni. Il primo passo è quello di cercare la cooperazione con altre persone. Così nel 2011 ho avuto un'idea: cosa succederebbe se riuscissi a portare il mio vicinato ad autogovernare il proprio quartiere almeno per un giorno? Se le strade in un intero quartiere venissero liberate completamente dalle automobili per essere trasformate in una agorà in cui il cittadino si fa la città invece di consumarla? Un'agorà nella quale le alternative possano essere sperimentate invece di essere solo immaginate? Così è nata l'idea della "Giornata del buon vivere" (Tag des guten Lebens). Allora l'idea venne premiata a Colonia in un concorso e ciò mi ha motivato ad andare avanti.
All'inizio le istituzioni comunali erano molto scettiche, così ho creato un movimento urbano dietro all'idea, scrivendo a tutte le iniziative ambientaliste, le scuole, i teatri, i club ecc. L'idea venne sottoscritta in pochi mesi da 50 organizzazioni, che insieme hanno formato un'alleanza variopinta. L'Agorà Colonia conta oggi 160 organizzazioni. Con questa forza siamo riusciti a convincere i distretti di Colonia ad indire questa giornata e di dare più potere ai cittadini sul proprio quartiere almeno per un giorno.
La Giornata del buon vivere non è un nuovo evento, ma il catalizzatore di un processo partecipativo nei quartieri. Così già un anno prima della Giornata i vicinati hanno la possibilità di formulare democraticamente un programma di governo per il proprio quartiere nel nome del buon vivere: come vogliamo vivere insieme? Che mobilità e che politiche abitative vogliamo avere qui? Vogliamo acquistare in grandi supermercati o preferiamo più autoapprovigionamento regionale?
Come ho già detto un principio fondamentale del buon vivere è che non ci può essere vita buona a spese degli altri. Per allargare quindi gli orizzonti del dibattito democratico nei vicinati serve un dialogo con gli attori che rappresentano proprio questi altri: il Sud del mondo, i ceti meno abbienti, le generazioni future, la natura. Come sarebbe se il movimento Fridays for Future lavorasse con i vicinati per realizzare la transizione ecologica e sociale in ogni quartiere?
Nella Giornata del buon vivere 15-30 strade di un quartiere sono libere dal traffico, vale a dire anche senza macchine parcheggiate - e questo per creare un grande spazio libero a cielo aperto dove ogni vicinato può mettere in pratica i propri sogni e i bambini possono giocare. Gli abitanti sono liberi di fare tutto ciò che vogliono a condizione che non sia a scopo commerciale. Durante la Giornata non si può vedere o acquistare nulla sulle strade, solo l'economia della condivisione è ammessa. Chi fa il caffè, lo regala al vicino ottenendo in cambio un pezzo di torta. Si tratta di allargare al vicinato quel tipo di economia che ognuno di noi ha vissuto nella propria famiglia. Questo carattere promuove un'atmosfera di fiducia nel quartiere. La fiducia è una precondizione fondamentale per una democrazia forte e un'economia equo-solidale. Si tratta quindi di ricostruire una società sostenibile partendo dalle relazioni umane alla sua base e riconquistando lo spazio pubblico come agorà.
La prima Giornata si è svolta a Colonia nel settembre 2013 nel quartiere di Ehrenfeld (22mila abitanti) ed è stata un successo incredibile. Da allora questo rituale trasformativo ha luogo una volta all'anno in un quartiere diverso. Nel 2017 l'Agorà Colonia è stata premiata a livello nazionale dalla Fondazione nebenan.de e dal ministero federale degli Interni come miglior iniziativa di vicinato, diventando così un modello che fa scuola. Nello stesso anno sono stato invitato a Berlino per realizzare l'idea. La prima Giornata del buon vivere berlinese ha avuto luogo nel 2020. Nel 2022 è seguita Wuppertal e nel 2023 Monaco.
Quest'iniziativa è anche un modello per un nuovo rapporto fra cittadini e istituzioni. Per la sostenibilità abbiamo infatti bisogno di citizen-public-partnership al posto di public-private-partnership. La Giornata è un "living lab" per imparare nella pratica la trasformazione.
È un caso che quest'idea sia venuta da un immigrato come me? Credo che gli immigrati riconoscano opportunità che dall'interno della società non vengono viste. Non si può essere migranti se si ha paura di percorrere strade diverse. Ogni cambiamento verso la sostenibilità richiede la capacità di migrare da una realtà data ad una realtà possibile.
Davide, ti ringrazio per l'intervista e tuo impegno. Buone cose e buon lavoro.