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La protesta della generazione Z nel sud globale rovescia i governi corrotti

Dai social media alle piazze, i movimenti giovanili, uniti dalla cultura digitale nonostante la distanza geografica, manifestano per ottenere giustizia sociale. Un nuovo modo di fare politica? 

lunedì 13 ottobre 2025
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Dal Nepal al Marocco, dal Perù al Madagascar, le crescenti disuguaglianze, l’incertezza per il futuro e la corruzione stanno spingendo in piazza centinaia di migliaia di giovani nei Paesi a basso reddito. “Questa ondata globale sottolinea come una generazione connessa digitalmente stia sfidando le strutture di potere tradizionali, plasmando la politica e ridefinendo la natura della protesta nel 21esimo secolo”, si legge su Newsweek.

Nati tra il 1997 e il 2012, i giovani appartenenti alla Gen Z sono cresciuti in un contesto di crisi economica, instabilità geopolitica e cambiamento climatico. A unirli, nonostante la distanza territoriale, sono le preoccupazioni per l’aumento del costo della vita, la precarietà lavorativa, le promesse politiche disattese e il controllo da parte di governi autoritari.

Perù 

Le proteste sono cominciate a metà settembre a seguito dell’approvazione di una riforma che avrebbe obbligato i giovani a versare contributi per fondi pensione privati. Alla “marcia della Gen Z” si sono aggiunte centinaia di persone deluse dalle politiche del governo di Diana Boluarte nel contrasto alla violenza delle organizzazioni criminali. Negli ultimi anni in Perù le bande criminali legate alla coltivazione e al traffico di cocaina, all’estrazione mineraria illegale e al contrabbando di legname e animali hanno consolidato il loro potere. Tra il 9 e il 10 ottobre la presidente Boluarte, in carica dal 2022, è stata destituita e l’incarico è stato assunto da José Jeri, presidente del Parlamento peruviano, fino alle elezioni del 2026.

Madagascar

Da settimane migliaia di giovani, guidati da un collettivo chiamato “Gen Z Madagascar”, stanno protestando contro la mancanza cronica di acqua potabile e i continui blackout. Il Madagascar è uno dei Paesi più poveri al mondo: tre quarti della popolazione vive in condizioni di povertà. I manifestanti chiedono anche le dimissioni del presidente Andry Rajoelina, salito al potere nel 2009 dopo un colpo di Stato, che ha sostituito il governo e represso le proteste con la forza. Ci sono stati decine di morti. Un’unità d’élite dell’esercito, chiamata Capsat, si è recentemente schierata con i manifestanti. Il governo ha detto che nel Paese è in corso un “colpo di stato illegale”.

Marocco

Con lo slogan “meno stadi, più ospedali”, i giovani marocchini chiedono riforme e investimenti per il sistema sanitario, l’educazione e la giustizia sociale e contestano i finanziamenti del governo per la costruzione delle infrastrutture per i Mondiali di calcio maschile del 2030. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità , il Marocco ha meno di otto medici ogni 10mila persone, rispetto ai 25 raccomandati. La disoccupazione giovanile supera il 35% e quasi un laureato su cinque non trova lavoro. Le proteste sono nate dal gruppo “GenZ212” (212 è il prefisso internazionale del Marocco) e vengono organizzate sui social media, in particolare su TikTok o Discord, una piattaforma usata dagli appassionati di videogiochi.

Nepal

In Nepal le proteste sono nate dai social, dove è cresciuto il malcontento per l’ostentazione del lusso da parte dei “nepo kids”, i figli dell’élite nepalese, e in generale per la classe politica. Un quarto della popolazione nepalese vive sotto la soglia di povertà, mentre il tasso di disoccupazione giovanile supera il 20%. Le manifestazioni, in cui sono morte oltre 70 persone, hanno portato alle dimissioni del primo ministro Khadija Prasad Sharma Oli. Al suo posto è stata nominata ad interim l’ex presidente della Corte Suprema Sushila Karki. A proporla sono stati proprio i giovani manifestanti in una grande chat su Discord.

Nonostante la distanza geografica, queste proteste condividono alcune caratteristiche. I manifestanti sono nativi digitali, molte forme di opposizione nascono  e si diffondono online, sui social media come Instagram, TikTok, Telegram e Discord. Anche i simboli usati sono comuni: come nota il New York Times, nelle proteste di tutto il mondo compaiono bandiere di One Piece, un anime (cartone animato giapponese) in cui una ciurma di pirati combatte contro un governo corrotto e repressivo.

Inoltre è completamente assente una leadership centralizzata o un’organizzazione verticale, e le rivendicazioni riguardano spesso disuguaglianze, leadership anziane e corrotte. Queste proteste raccontano un disagio generazionale condiviso e un nuovo modo di fare politica, connesso e decentralizzato.

Copertina: Ansa