Urgente la riforma dell’Onu: stipendi a rischio già quest’anno
Contributi in ritardo, anche da parte di Usa e Cina, agenzie in affanno: le Nazioni unite affrontano un buco finanziario sempre più grande. E un documento riservato rivela che diverse agenzie potrebbero essere unificate.
Le Nazioni unite stanno vivendo una delle più gravi crisi finanziarie della loro storia. Secondo l’aggiornamento del 29 aprile, solo 101 Paesi su 193 (il 52%) hanno versato per intero i loro contributi al bilancio dell’organizzazione per il 2025. Di questi, appena 49 hanno rispettato la scadenza del 6 febbraio, prevista dal regolamento. Si tratta dei contributi obbligatori, che finanziano settori chiave come affari politici (Assemblea generale e Consiglio di sicurezza), giustizia e diritto internazionale, monitoraggio dei diritti umani. Secondo l’Economist, “il deficit di cassa di fine anno, senza tagli, probabilmente raggiungerà quota 1,1 miliardi di dollari, lasciando le Nazioni unite senza fondi per pagare stipendi e fornitori entro settembre”. E anche le risorse per le operazioni di peacekeeping, finanziate tramite un conto separato, potrebbero esaurirsi “entro la metà dell’anno”.
Le quote dei contributi obbligatori sono calcolate sulla capacità economica di ciascun Paese: Stati Uniti (22%) e Cina (15%) da soli coprono un terzo del bilancio. Eppure, osserva il settimanale inglese, “entrambe sono diventate inaffidabili”. Gli Usa hanno arretrati per oltre 2,7 miliardi di dollari, mentre nel 2024 il contributo della Cina è arrivato così in ritardo che è stato impossibile per l’Onu spenderlo tutto prima della chiusura dei conti.
Sotto la nuova amministrazione Trump, Washington ha ripreso una linea apertamente scettica verso le istituzioni internazionali, usando l’arma del ritardo nei pagamenti come leva politica. Non è la prima volta che accade: arretrati significativi si erano già registrati negli anni ’80 e ’90, più recentemente, tra il 2017 e il 2020. Negli ultimi anni anche la Cina ha mostrato un atteggiamento più ostile verso le attività multilaterali, ritenute troppo occidentali. Per questo Pechino punta a sviluppare nuove architetture internazionali (Brics, Sco), riducendo la centralità dell’Onu.

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di Valentina Barretta
C’è poi un paradosso segnalato proprio dal settimanale inglese: le regole Onu impongono di rimborsare ai membri, anche a chi non ha versato nulla, i fondi non spesi sotto forma di sconto sulle quote future. Così i ritardatari finiscono per danneggiare l’organizzazione due volte: limitano le spese attuali e intaccano le risorse future. Per fare un esempio, nel 2026 l'Onu dovrà rimborsare 300 milioni di dollari pervenuti alla fine del 2024, il triplo del rimborso di quest’anno.
Anche altri Paesi versano le proprie quote con ritardi sempre maggiori: l’anno scorso il 15% dei fondi è arrivato solo a dicembre. Poi ci sono i free-rider: 41 Stati membri non hanno versato (complessivamente) 760 milioni di dollari, tra cui Argentina, Messico, Venezuela e gli stessi Stati Uniti. Alcuni di questi contributi potrebbero essere stati pagati dopo la chiusura dell’anno contabile, ma i numeri confermano una tendenza all’instabilità finanziaria.
Non va meglio sul fronte dei contributi volontari, destinati a specifici progetti, agenzie o fondi tematici. Gli Stati Uniti, storico primo donatore, hanno ridotto drasticamente gli aiuti internazionali, mettendo in crisi le attività di agenzie come Unicef, Unhcr e Programma alimentare mondiale (Wfp). Gli aiuti umanitari sono il primo fronte della crisi: all’inizio di maggio Tom Fletcher, coordinatore senior degli aiuti umanitari dell’Onu, ha lanciato l’allarme: “È dura. Si stanno prendendo decisioni davvero brutali e il settore probabilmente si ridurrà di un terzo. I fondi tagliati non torneranno presto, e potrebbero esserci ulteriori tagli ai finanziamenti in futuro”. Il problema è strutturale: l’Economist ha evidenziato che, senza ridimensionamenti significativi, l’Onu potrebbe affrontare un deficit di cassa di 1,1 miliardi di dollari entro la fine dell’anno, mettendo a rischio la sua capacità operativa.
Per questi motivi i vertici del Palazzo di vetro stanno correndo ai ripari. La prima risposta si chiama UN80: è l’iniziativa lanciata dal segretario generale António Guterres a marzo, in occasione dell’80esimo anniversario delle Nazioni unite. UN80 si concentra principalmente su tre aree: migliorare l’efficienza operativa, rivedere l’implementazione dei mandati degli Stati membri e condurre una revisione strategica per realizzare cambiamenti strutturali più profondi. “Le risorse si stanno riducendo in tutti i settori, e questo avviene ormai da molto tempo”, ha affermato Guterres.
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E un documento interno riservato, visionato dalla Reuters, rivela che sul tavolo c’è una ristrutturazione assai radicale. Gli alti funzionari delle Nazioni unite, su impulso del segretario Guterres, starebbero valutando la possibilità di fondere in un’unica entità le principali agenzie umanitarie, e creare un meccanismo più snello, centrato soltanto su quattro grandi dipartimenti: pace e sicurezza, affari umanitari, sviluppo sostenibile e diritti umani. Se quello che attualmente è un promemoria venisse tradotto in pratica, per il Palazzo di vetro sarebbe la più grande riorganizzazione di sempre. L'Onu deve diventare un'organizzazione “snella, incisiva e fiscalmente responsabile”, afferma tra l’altro il documento. Ma alcuni temono che un’operazione così radicale di fusione potrebbe compromettere le attività specifiche svolte dalle singole agenzie. Di certo la posta in gioco è alta. Senza un cambio di passo, le Nazioni unite rischiano di operare con risorse dimezzate e personale ridotto, proprio mentre le crisi globali richiedono risposte più forti.
Copertina: Ansa