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L’economia circolare può ridurre l’insicurezza delle materie prime

Per soddisfare le esigenze di crescita sostenibile e diversificare le fonti di approvvigionamento serve una forte innovazione dei nostri sistemi produttivi. Anche nei Paesi in via di sviluppo.

di Andrea De Tommasi

Per quasi due secoli, l’azienda belga Umicore è stata impegnata principalmente nell’estrazione mineraria e nella produzione di materie prime e metalli di base. Poi, intorno all’inizio del 21esimo secolo, questo gruppo con oltre 10mila dipendenti in 38 Paesi ha intrapreso una rivoluzione strategica diventando un pioniere nel riciclaggio dei metalli di scarto. Il suo obiettivo primario sono le batterie, comprese quelle dei veicoli elettrici, per recuperare rame, nichel, cobalto e litio. Non è solo la storia di un’azienda che converte la sua produzione in chiave sostenibile. Ma è una potenziale risposta alla questione delle “materie prime critiche”, che presentano il rischio più elevato di approvvigionamento per i Paesi Ocse, ma sono indispensabili per la realizzazione delle tecnologie verdi (impianti fotovoltaici ed eolici) e quindi per la transizione ecologica. Gli esperti ci avvertono che le carenze nella disponibilità di materiali per le tecnologie energetiche potrebbe influire sulla velocità di una transizione a basse emissioni di carbonio. E ci dicono che per rallentare il consumo sfrenato delle risorse naturali della Terra, fermare l’inquinamento da plastica e lo spreco di materie prime, abbiamo bisogno di un’economia circolare che funzioni per tutti. Una ricerca della Ellen MacArthur Foundation rileva che la transizione verso l'energia rinnovabile può affrontare solo il 55% delle emissioni. Ciò che può contribuire a tagliare il restante 45%, ha suggerito la Fondazione, è l'adozione dei tre principi guida dell'economia circolare: eliminare rifiuti e inquinamento, far circolare prodotti e materiali e rigenerare la natura. Il modello non si limita a settori specifici, ma è certamente più facile da implementare in aziende che trattano grandi quantità di beni. Ma a che punto è l’uso dei materiali riciclati?

Senza sosta

Il Global material resources outlook to 2060 dell’Ocse analizza i meccanismi chiave che collegano l’attività economica, l’uso dei materiali e gli impatti ambientali. Il Rapporto, prodotto prima della crisi pandemica, prevede un raddoppio dell'uso globale di materie prime entro il 2060, a meno che non cambino radicalmente l'uso delle risorse naturali e dei materiali a livello mondiale. La crescita della popolazione e la convergenza del reddito pro capite tra Paesi ricchi e Paesi poveri guidano la crescita nell'uso dei materiali. Tuttavia, i cambiamenti strutturali, specialmente nei Paesi non Ocse, e i miglioramenti tecnologici potrebbero parzialmente smorzare tale crescita. I tassi di riciclaggio, invece, variano notevolmente a seconda dei materiali. La biomassa e i combustibili fossili generalmente non si prestano al riciclo, poiché vengono consumati o degradati quando vengono utilizzati. Molti minerali non metallici sono troppo economici o difficili da riciclare. Per alcuni metalli, come il ferro e l’acciaio, i tassi di riciclaggio possono raggiungere il 70%. Tuttavia, l’Ocse prevede che il riciclaggio dei materiali rimarrà una piccola percentuale dell’economia totale e la fornitura di materiali secondari è insufficiente (o troppo costosa) per soddisfare le esigenze di un’economia in crescita e diversificare le fonti di approvvigionamento (riducendo l’oscillazione dei prezzi).

Questi problemi spingono gruppi di cittadini e associazioni ambientaliste in diverse aree del mondo a sostenere il riciclaggio di metalli e terre rare rispetto all’estrazione mineraria che porta con sé impatti ambientali e sociali potenzialmente elevati. Un obiettivo da raggiungere incentivando il recupero di materiali da telefoni cellulari, computer, monitor e batterie dismesse. Questa teoria affonda le sue radici nel concetto di “miniera urbana” (dall’inglese urban mining), coniato negli anni ’80 dal professore giapponese Hideo Nanjyo. Una miniera urbana è uno spazio funzionale nel quale vengono portati gli scarti quotidiani urbani, per poi immagazzinare, sotto forma di residui, materie prime come plastica, vetro, alluminio o rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee).

Ma cosa significa questo per i Paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, le cui economie si basano sull’estrazione delle risorse?

Un rapporto diffuso a luglio dallo Smart prosperity institute canadese (Spi) in collaborazione con l’Unep ha rilevato diversi ostacoli alla promozione della circolarità nel settore minerario. Gli intervistati hanno affermato che in molti luoghi i materiali riciclati spesso costano più di quelli vergini. E le aziende che recuperano i rifiuti, anche dalle operazioni minerarie, vedono spesso margini bassi, ostacolando gli sforzi per promuovere la circolarità. “La nostra attuale comprensione degli approcci per aumentare la circolarità è stata in gran parte guidata da importatori di risorse, come l'Unione europea o il Giappone", ha affermato Geoff McCarney, senior director of research di Spi e autore principale del rapporto. “Ma per molti altri luoghi, è probabile che il miglioramento della circolarità abbia implicazioni profonde e diverse per l'economia esistente”. 

Un caso interessante è quello delle batterie ricaricabili agli ioni di litio, che stanno alimentando sempre più il settore automobilistico, dello stoccaggio dell'energia, dell'elettronica di consumo e di altre applicazioni industriali e domestiche. Li-Cycle, una società canadese che opera nel settore del riciclo dei metalli dalle batterie esauste, ha messo a punto un sistema misto (meccanico ed elettrochimico) in grado di recuperare tra l’80% e il 100% dei metalli contenuti nelle batterie come litio, cobalto, nickel, rame e manganese. Secondo uno studio di Transport&Environment, nel 2035 oltre un quinto del litio e del nichel e più della metà del cobalto necessario all’accumulo potrebbe provenire da batterie “esauste”. Una pratica che, combinata con i miglioramenti della densità della batteria, ridurrà l’impatto dell’estrazione di questi metalli e la dipendenza europea dalle importazioni. L’Europa, secondo T&E, probabilmente dovrà importare meno materie prime grazie al riciclo.

Tuttavia, esiste un altro modo per ridurre l'estrazione di materie prime: utilizzare in primo luogo meno materiale. Nella cosiddetta gerarchia dei rifiuti “riduci, riutilizza e ricicla”, troppo facilmente dimentichiamo i primi due e ci concentriamo sul terzo. Affinché l'estrazione urbana abbia mai la possibilità di sostituire l'estrazione convenzionale, “non si tratta semplicemente di aumentare il riciclaggio”, ha affermato James Horne del Weee forum, un’organizzazione per la gestione ecocompatibile dei rifiuti elettronici, ma “occorrono progressi in molte aree correlate per consentire un utilizzo più efficiente delle materie prime e nell'ambito di un'economia circolare. Ad esempio, aumentando la durata del prodotto, cambiando l'atteggiamento dei consumatori nei confronti della proprietà e del consumo, evolvendo gli approcci alla produzione e alla vendita al dettaglio di articoli e garantendo la facilità di riutilizzo”. Alcuni di questi argomenti, tra cui la risoluzione del Parlamento Ue sul “diritto alla riparazione”, sono trattati nel Quaderno n.5 dell’ASviS “Le sfide del futuro dell'Europa”, curato da Luigi Di Marco.

Bruxelles si muove

Nel marzo 2020 la Commissione europea ha adottato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare che mira a rendere i beni venduti sul mercato Ue circolari e sostenibili. Come parte del nuovo Green deal europeo, il piano è strategico per raggiungere gli ambiziosi obiettivi ambientali dell’Unione, che includono la neutralità del carbonio entro il 2050. Quadri simili, ma denominati in modo alternativo, mirati all'efficienza delle risorse esistono anche in Giappone (Legge fondamentale per stabilire un ciclo dei materiali solido) e negli Stati Uniti (Piano strategico del programma di gestione dei materiali sostenibili). A livello europeo, l’Italia si trova in una posizione di relativo vantaggio in termini di produttività delle risorse ed eco-innovazione in certi ambiti, come il riciclo degli imballaggi (con il 73% di imballaggi avviati al riciclaggio il nostro Paese ha già raggiunto gli obiettivi europei del 2025) e la produzione di nuovi materiali sostenibili, come le bioplastiche. Tuttavia, c’è ancora molta strada da percorrere per rendere il sistema economico realmente circolare. Per questa ragione, fa notare il ministero della Transizione ecologica, il Piano nazionale di ripresa e resilienza nella Missione 2 ha dedicato circa tre miliardi di euro a progetti finalizzati al potenziamento della rete di raccolta differenziata e degli impianti di trattamento e riciclo, in particolare di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), plastica e tessuti, ancora carenti nel Centro-Sud, in modo da raggiungere per tempo i target Ue.

Come spiega il position paper del Gruppo di lavoro 12 dell’ASviS “Consumo e produzione responsabili”, “potenziare la transizione verso un’economia circolare richiede di aumentare la collaborazione tra aziende di diversi ambiti produttivi, con il pieno coinvolgimento a tutti i livelli degli stakeholder”. Ciò significa tra l’altro, secondo il documento, puntare sull’“innovazione dei modelli di produzione delle imprese, con occupazione anche per soggetti normalmente esclusi dal mercato del lavoro, prevedendo incentivi fiscali e l’adozione delle certificazioni ambientali Emas/Ecolabel”, che sono parte integrante del quadro strategico Ue. Una sfida attende anche le città che ripartono dopo il Covid-19: se fino a qualche anno fa il concetto di economia circolare era riferito solo al settore dei rifiuti, oggi è associato a un sostanziale ripensamento del modello di sviluppo, come spiega la terza edizione del position paper di Enel intitolato “Città circolari - Le città di domani”. Input sostenibili (rinnovabili, riuso e riciclo), sharing, prodotto come servizio vanno legati alle nuove tecnologie, alla digitalizzazione e all’Internet delle cose (IoT). Nel settore privato, l’Alleanza per l’economia circolare, che comprende 17 importanti imprese già impegnate sul tema, ha individuato il contributo dell’economia circolare per la mitigazione del cambiamento climatico e la sua progressiva integrazione nelle politiche europee e nazionali di decarbonizzazione (qui il Quaderno).

Raggiungere la circolarità su larga scala è complesso. C’è bisogno di nuove politiche, legislazioni e modelli di business che devono essere perfezionati col tempo, ma rappresenta un’opportunità che potrà dispiegare tutti i suoi effetti nei prossimi anni.

di Andrea De Tommasi 

 

PER APPROFONDIRE

Rivedi l’evento nazionale Goal 12 – Festival dello Sviluppo Sostenibile

Rivedi l’evento “Economia circolare e mitigazione del cambiamento climatico”

mercoledì 3 novembre 2021