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Gli ambiziosi obiettivi energetici dell’India rischiano di scontrarsi con la realtà

Con due terzi delle famiglie in povertà energetica, ma terzo emettitore mondiale di CO₂ il Paese di Modi è ad un bivio cruciale: continuare a bruciare carbone o scommettere su solare, nucleare e idrogeno per una crescita sostenibile.

giovedì 9 ottobre 2025
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Nel 2047 l’India celebrerà i cento anni dall’indipendenza. Per quella data, il governo di Narendra Modi punta a trasformarla in una nazione “sviluppata”, energeticamente autonoma e socialmente prospera, una visione che prende il nome di “Viksit Bharat”. Ma oggi, come evidenzia un articolo del Guardian, tra blackout diffusi, ondate di calore estreme e una dipendenza ancora forte dal carbone, il Paese più popoloso del pianeta si trova di fronte a una delle sfide più complesse della sua storia: garantire sviluppo economico senza compromettere la sopravvivenza del pianeta.


Sotto assedio climatico

Nell’aprile scorso, a Delhi e nel nord dell’India, le temperature hanno superato i 40 gradi, con ospedali sovraffollati, blackout prolungati e interi quartieri al buio. Le ondate di calore sempre più letali stanno spingendo milioni di persone a utilizzare sistemi di raffreddamento, facendo esplodere la domanda elettrica e aggravando la pressione su una rete energetica già fragile. Due terzi delle famiglie indiane soffrono di “povertà energetica”, non disponendo di un accesso sicuro e continuo a elettricità e combustibili puliti. Nelle aree rurali e nei quartieri poveri delle metropoli, intere comunità dipendono ancora da legna, carbone o diesel per cucinare, illuminare o conservare cibo. Questa carenza di energia affidabile non solo ostacola la crescita economica, ma amplifica le disuguaglianze e mette a rischio la salute pubblica.


Il paradosso del carbone

Con oltre il 70% dell’elettricità ancora generata dal carbone, l’India resta fortemente dipendente dal combustibile fossile più inquinante. Nonostante le pressioni internazionali, il governo difende questa scelta come necessaria per sostenere la crescita industriale e garantire elettricità a una popolazione di 1,45 miliardi di persone. Durante la Cop28, il Paese di Modi ha rifiutato la formula del “phase-out” del carbone, preferendo parlare di “phase-down”, cioè una graduale riduzione, non un abbandono immediato. Secondo il principio di “responsabilità comuni ma differenziate” sancito dalle Nazioni Unite nel 1992, Nuova Delhi continua a sostenere che i Paesi storicamente più responsabili delle emissioni – Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Canada – debbano guidare la transizione globale e fornire finanziamenti, tecnologie e capacità ai Paesi in via di sviluppo. Una posizione che resta centrale anche nei negoziati in vista della Cop30, in programma a novembre a Belém, in Brasile, dove l’India punta a riportare al centro il tema del finanziamento climatico per l’adattamento e le perdite e danni.


Tra sole e nucleare

Il Paese del Gange non è fermo. L’India è oggi il terzo produttore mondiale di energia solare e il quarto di eolica. Nel 2024 ha raggiunto l’obiettivo di generare il 50% della propria capacità elettrica da fonti non fossili, con cinque anni di anticipo rispetto agli impegni presi a Parigi. L’espansione delle rinnovabili procede a ritmo vertiginoso, sostenuta da programmi governativi per il fotovoltaico domestico e da nuovi investimenti privati nel solare su larga scala. Parallelamente, il governo ha annunciato un piano ambizioso per decuplicare la produzione di energia nucleare – dagli attuali 9 gigawatt a 100 entro il 2047 – e per diventare leader mondiale nel settore dell’idrogeno verde, con una produzione prevista di 5 milioni di tonnellate entro il 2030. Queste iniziative puntano a rafforzare la sicurezza energetica, ridurre la dipendenza dalle importazioni e avviare una nuova fase di industrializzazione pulita. Ma gli ostacoli sono enormi: la rete elettrica resta inefficiente, la burocrazia rallenta l’implementazione dei progetti e la mancanza di regole ambientali per i grandi impianti solari ed eolici rischia di generare nuovi conflitti sociali e ambientali.


La prospettiva

 Anche se l’India dovesse ridurre drasticamente le sue emissioni, la realtà climatica del Paese non cambierebbe nell’immediato. Il governo ha presentato alle Nazioni Unite il suo Piano nazionale di adattamento, concentrato su allerta precoce, infrastrutture resilienti e protezione dei gruppi più vulnerabili.
Nonostante le contraddizioni, la strada sembra tracciata. "Il carbone non verrà eliminato finché non ci sarà la tecnologia per l'industria pesante, ma la transizione avverrà”, afferma Harjeet Singh, attivista indiano per il clima e consulente strategico del trattato di non proliferazione dei combustibili fossili. “L'India vuole diventare un Paese verde e pulito. Ci sono le tipiche sfide dei Paesi in via di sviluppo, troppa burocrazia e mancanza di competenze. Ma l'intento è quello”. 

 

di Tommaso Tautonico