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Quanto costerebbe veramente chiudere tutti gli impianti a carbone del mondo?

Il prezzo per liquidare la fonte fossile “più sporca” del pianeta si aggira attorno ai 5,7 migliaia di miliardi di dollari. Ma investire oggi nella transizione ridurrebbe i costi dell'aumento delle temperature del 30% rispetto a un'azione ritardata a dieci anni.

giovedì 21 novembre 2024
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Nonostante gli impegni internazionali nella direzione dello sviluppo sostenibile, i record battuti anno dopo anno dalle rinnovabili (in particolare dagli impianti fotovoltaici), gli eventi estremi che cominciano a mettere seriamente in allarme le persone, il carbone (la fonte fossile più “sporca” in assoluto) fornisce ancora più di un terzo dell’energia globale.

Questa risorsa, utilizzata nel 1882 per la prima volta per generare elettricità (accendendo mille lampioni di Londra), è stata la protagonista della storia del Novecento e del suo enorme sviluppo industriale (così come delle emissioni accumulate). Eppure, un modo per chiudere gli impianti attuali ci dovrà pur essere. E l’Economist si è messo a studiare quanto costerebbe. 

A oggi la capacità di generazione di elettricità a carbone equivale a 2.470 gigawatt (Gw) – per fare un paragone, il solare sta a 1.419 Gw – suddivisa in 7.120 impianti. Le emissioni cumulative da carbone, da quel lontano 1882, ammontano a 800 miliardi di tonnellate, fattore che singolarmente rende il mondo odierno più caldo di 1,2 gradi. E gli impianti producono a oggi circa 12 miliardi di tonnellate all'anno, che non fanno che pesare sul conto totale. 

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Come fa notare il settimanale britannico, le centrali sono ancora attive perché ci sono investitori che guadagnano. Ma quanto costerebbe rimborsare gli investitori per la chiusura di tutti gli impianti?

Per fare questo calcolo l’Economist ha mappato ogni centrale del mondo, studiato il numero di anni di vita rimanenti, la sua capacità di generazione di energia e calcolato le emissioni previste. Questi sono i risultati.

Calcolando che l’attuale parco mondiale di centrali a carbone rappresenta il 35% della produzione totale, rimborsare gli investitori per il capitale investito costerebbe 5,7 migliaia di miliardi dollari (equivalenti a circa tre anni di investimenti globali in energia pulita). “Più tardi si inizia, meno si deve pagare”, si legge sul settimanale, perché gli investimenti nelle fonti fossili stanno scemando da soli, e alcune fabbriche stanno già chiudendo. Detto ciò, però, prima si cominciano a chiudere gli impianti e meno emissioni accumuliamo. Ogni dollaro speso oggi per chiudere le fabbriche è dunque più efficiente del 30% (in termini di potenziale riscaldamento evitato) rispetto a uno speso tra dieci anni.

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È anche vero che gli investitori si aspettano qualcosa in più che recuperare i propri soldi. Se intendessero raddoppiare i guadagni, raddoppierebbe anche il costo totale per porre fine alle centrali a carbone. Eppure, si andrebbe comunque a pagare meno (una tonnellata di emissioni di CO2 equivale a un costo di 34 dollari) in termini di inquinamento che, ad esempio, catturando e conservando il carbonio sottoterra (i cosiddetti impianti Ccs), operazione per cui si spenderebbero 600 dollari a tonnellata.

Chiudere le centrali a carbone da un giorno all’altro è sicuramente arduo, dato l’elevato costo di rimborso degli investimenti e il problema della riallocazione dei lavoratori. Tuttavia, “la portata della sfida presentata dal cambiamento climatico richiede sia salti di immaginazione che un pensiero freddo e pragmatico sull'efficienza delle soluzioni”. I benefici della chiusura delle centrali oggi si propagherebbero nel prossimo secolo (e anche oltre), perché l’anidride carbonica non entrerebbe nell’atmosfera e avremmo un mondo più pulito, e meno caldo.

Copertina: 123rf