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E se superati gli 1,5°C la temperatura potesse decrescere, anche grazie alla tecnologia?

Pubblicato il rapporto annuale del Future Earth sugli argomenti più innovativi in tema di ricerca climatica: soluzioni basate sulla natura, eventi composti e incapacità di migrare. C’è anche la rimozione del carbonio dall’atmosfera, con qualche riserva.

mercoledì 20 dicembre 2023
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Il superamento della soglia di 1,5°C sta diventando “rapidamente inevitabile”: ma se si attueranno misure tecnologicamente avanzate per riassorbire i gas serra le temperature, dopo essere aumentate, potrebbero tornare ad abbassarsi. Questo il primo dei dieci risultati del “10 new insights in climate science”, Rapporto pubblicato annualmente da Future Earth in collaborazione con The Earth league e il World climate research programme che fa il punto sui risultati più interessanti raggiunti in tema di ricerca climatica.

Data la criticità della situazione, si legge nel documento, “è necessaria un’eliminazione rapida e gestita delle fonti fossili”, e per farlo c’è bisogno che “i governi e il settore privato smettano di realizzare nuovi progetti di combustibili fossili”, accelerando il pensionamento delle infrastrutture esistenti. In questo processo di transizione i Paesi ad alto reddito devono fare da capofila, fornendo sostegno a quelli a reddito più basso.

Altro trend del futuro (ma anche del presente) riguarda le politiche di rimozione del carbonio dall’atmosfera: “Anche se non sostituisce la riduzione rapida e profonda delle emissioni”, sottolinea Future Earth, “la rimozione del carbonio sarà necessaria per affrontare le emissioni difficili da eliminare e per ridurre la temperatura globale”. L’attuale sistema di rimozione si basa principalmente sul contributo delle foreste, ma secondo il Future Earth bisogna trovare altri strumenti tecnologici adeguati (come la cattura e lo stoccaggio del carbonio) per accelerare il percorso.  

Ma fare eccessivo affidamento sui serbatoi di carbonio (destinati a immagazzinarlo) potrebbe essere una strategia rischiosa. “Finora sono cresciuti di pari passo con l’aumento delle emissioni di CO2, ma la ricerca mostra numerose incertezze su come reagiranno ai cambiamenti climatici”. In futuro, questi serbatoi “potrebbero assorbire meno carbonio di quanto si presume dalle valutazioni esistenti”. Per questo motivo, è importante puntare prima di tutto sulle soluzioni basate sulla natura (NbS) e sulla riduzione delle emissioni.

Altra chiave di volta per il futuro è lo sviluppo di una “governance congiunta” per le emergenze climatiche e la biodiversità, tematiche tra loro interconnesse ma troppo spesso affrontate separatamente. “Le convenzioni internazionali sul cambiamento climatico e sulla biodiversità (rispettivamente la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla diversità biologica) devono trovare un migliore allineamento”, si legge nel Rapporto.

Occhio inoltre ai cosiddetti “eventi composti”, combinazioni di più fattori e/o pericoli che si verificano simultaneamente o sequenzialmente. Identificare e prepararsi a questo tipo di eventi “è fondamentale per una solida gestione del rischio e per fornire supporto in situazioni di emergenza”.

Future Earth concentra poi l’attenzione sullo scioglimento dei ghiacciai montani. La deglaciazione generata dal cambiamento climatico è ancora più rapida nelle aree di alta montagna, tra cui l’Himalaya e le regioni polari. Questo fenomeno “minaccia le popolazioni a valle con carenze idriche a lungo termine ed espone gli abitanti delle montagne a maggiori rischi, come inondazioni improvvise”.

Ma anche l’incapacità di migrare potrebbe costituire un fattore di rischio: “Le persone che affrontano pericoli climatici di vario tipo potrebbero non essere in grado o non essere disposte a trasferirsi”, mentre le istituzioni “non tengono conto dell’immobilità e non compiono sforzi sufficienti per anticipare o supportare i bisogni delle popolazioni”.

Il Rapporto chiude poi su due temi: la giustizia climatica, da rendere maggiormente operativa ed efficace, e la riforma dei sistemi alimentari, che detengono “un ruolo chiave da svolgere nell’azione per il clima, con pratiche di mitigazione che vanno dalla produzione al consumo”.

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