La convenienza economica dell’investimento ambientale
Per completare l’argomento sulla convenienza economica degli investimenti sostenibili, questa volta ci occupiamo dell’investimento ambientale.
di Renato Chahinian
Nel precedente articolo apparso su FUTURAnetwork si era affrontato l’argomento della convenienza anche economica degli investimenti sociali (purché correttamente programmati e gestiti), contrariamente a quanto ritiene l’opinione più diffusa. Per analogia, ora, si estende lo stesso tema pure alla convenienza dell’investimento ambientale, per la quale esistono ugualmente gli stessi dubbi.
Anzi, in questo campo, le remore ad intraprendere azioni concrete sono ancora maggiori, data la rilevanza dei costi aggiuntivi necessari, preso atto della percezione che si tratta di un bene comune (e quindi potrebbe riguardarci poco individualmente) e considerata la convinzione che, con le poche risorse a disposizione, abbiamo tante altre priorità da soddisfare. I pochi (ma sono in crescita), che, nonostante tutto, intraprendono un percorso di sensibile miglioramento ambientale, lo fanno più per fede ideologica o per dovere morale, ma raramente perché potranno avere in futuro un concreto vantaggio economico.
L’investimento ambientale e la sua sostenibilità
Nella valutazione dello sviluppo sostenibile si trascura generalmente l’aspetto economico di lungo periodo, il quale, al contrario, è presente in tutti gli impatti a lunga scadenza che ogni azione e comportamento attuali comportano. In particolare, come avviene per il sociale, anche il miglioramento ecologico porta a dei benefici futuri, i quali si concentrano proprio nel fatto di evitare i danni che invece si verificherebbero a causa del progressivo manifestarsi di effetti negativi derivanti da un ecosistema già abbondantemente degradato.
Di tale aspetto si stanno accorgendo gli operatori economici e soprattutto le grandi imprese, che iniziano a preordinare vere e proprie strategie di transizione ecologica, anche sulla spinta della graduale normativa che sta sorgendo in maniera sempre più stringente a livello europeo, ma ancora non esistono modelli generalizzati di efficienza/efficacia dello sviluppo ambientale e molte iniziative mascherano sapientemente pratiche di greenwashing, basate soprattutto nel pubblicizzare assiduamente quanto di sostenibile si sta realizzando e tacendo tutte le altre attività aziendali che, al contrario, non sono ecologiche.
Proprio tenendo conto di tutto ciò, giova stimolare una corretta politica di sviluppo ambientale cercando di chiarire gli impatti economici, al fine di individuare le strategie da compiere per ottenere contemporaneamente risultati ecologici significativi ed un soddisfacente sviluppo economico.
Gli obiettivi dell’investimento ambientale
Ogni nuovo investimento deve avere degli obiettivi e, nelle scelte strategiche di più ampio respiro, non possiamo ignorare quelli di carattere ambientale, data l’attuale situazione degradata del nostro pianeta. Al riguardo, non serve un grande sforzo per la loro individuazione, in quanto i principali sono già fissati nei Goal dell’Agenda Onu per il 2030 e pertanto ciascuna organizzazione ha presenti le mete da raggiungere, ovviamente nell’ambito della propria attività.
Ma per fare una scelta prioritaria in materia ambientale, è opportuno preferire la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, per il fatto che l’obiettivo 13 dell’Agenda (rafforzato poi al 2050) può considerarsi il più importante, il più urgente e quello il cui conseguimento porterà in buona parte pure alla realizzazione di molti altri (energia pulita, biodiversità e pedo-diversità, città e comunità sostenibili, acqua disponibile e pulita, ecc.).
La convenienza economica dell’investimento sociale
L’investimento sociale non è donazione e nemmeno elargizione a fondo perduto, ma impiego di capitale che dà benefici economici superiori nel lungo termine e pertanto può attuare anche lo sviluppo economico di ogni organizzazione.
di Renato Chahinian
Per ottenere la mitigazione del cambiamento climatico, occorre concentrarsi sulla riduzione delle emissioni di gas serra (ritenute dalla scienza il principale fattore di aumento artificiale della temperatura) e le maggiori cause di emissioni sovrabbondanti sono i consumi energetici di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) particolarmente per: il riscaldamento ed il raffrescamento degli edifici, la mobilità di persone e merci, i processi produttivi, i consumi domestici. L’imperativo essenziale, pertanto, è quello di abbassare il più possibile detti consumi, fino ad annullarli o comunque trovare assorbimenti alternativi di gas serra che possano compensare le emissioni incomprimibili (cattura e stoccaggio del carbonio o assorbimento naturale di anidride carbonica).
Per l’adattamento, poi, tenuto conto che il cambiamento climatico è già in atto e provoca danni sempre crescenti, occorre tutta una serie di opere di difesa territoriale dagli eventi dannosi, con la conseguenza della necessità di ulteriori investimenti.
Ma, per semplicità e brevità di questa trattazione, non ci occupiamo qui di tale secondo aspetto. D’altro canto, più mitigazione facciamo e meno fenomeni avversi avremo in futuro e quindi l’azione prioritaria da intraprendere rimane proprio questa, mentre quella di concentrarsi sull’adattamento (senza preoccuparsi del cambiamento del clima) significherebbe dover fare investimenti sempre più rilevanti per arginare i danni di un clima che impazzisce sempre più.
Preferendo allora la mitigazione, ciascuna organizzazione, grande o piccola che sia, ha l’obiettivo di consumare il meno possibile i combustibili fossili, soprattutto con le seguenti azioni:
- ridurre i consumi di ogni tipo di energia;
- per i fabbisogni di energia incomprimibile, ricorrere alle energie rinnovabili (che non usufruiscono combustibili fossili).
La prima azione comporta un’approfondita analisi dei consumi esistenti e delle possibilità di una loro riduzione, a parità di necessità da soddisfare. In realtà, questa operazione viene spesso sottovalutata, mentre prospetta quasi sempre la possibilità di consistenti risparmi energetici. Si tratta comunque di un nuovo investimento aziendale che, tuttavia, può risolversi in un progetto interno (se in azienda esistono competenze adeguate) oppure in consulenze esterne (generalmente di modesta entità, se non si tratta di sconvolgere l’intera organizzazione aziendale).
Più impegnativa, invece, appare la seconda azione, in quanto bisogna impostare un nuovo piano energetico che rifornisca di fonti rinnovabili tutte le attività aziendali e tale operazione generalmente è molto complessa, soprattutto nei processi industriali. Gli investimenti correlati, poi, si rivelano anche molto costosi, perché prevedono infrastrutture ed attrezzature diverse da quelle in uso con i combustibili fossili, nonché spesso la progettazione anche di modelli ed organizzazioni produttive differenti.
È proprio questo l’elemento critico della transizione, che tuttavia è possibile superare con un recupero degli ingenti costi iniziali e pure con maggiori vantaggi economici nel lungo termine.
Proseguiamo quindi l’argomento con particolare riferimento alle imprese, che istituzionalmente sono più sensibili ai problemi economici, ma, con le dovute distinzioni, la tesi è valida pure per le altre organizzazioni (pubbliche e non profit).
L’analisi costi-benefici e la relativa valutazione aziendale
Analogamente a quanto riportato nel precedente articolo sull’investimento sociale, anche per l’investimento ambientale è opportuno considerare i costi dell’investimento e confrontarli con i benefici futuri attualizzati. Come già visto, la formula è sempre la stessa, cioè i secondi devono essere superiori ai primi, mentre, se si esprime l’uguaglianza, il tasso di attualizzazione che risolve l’equazione costituisce lo Sroi (ossia il tasso di rendimento socio-economico dell’investimento).
Senza entrare in ulteriori dettagli tecnici, si tratta di valutare i costi iniziali dell’impiego di capitale per l’ambiente ed i benefici netti (diretti ed indiretti per l’impresa) che ne deriveranno fino al lungo termine, che, per assimilazione con gli obiettivi europei dell’azzeramento delle emissioni nette, dovrebbe essere il 2050 (quindi per altri 27 anni), ma, in realtà, gli stessi benefici (ed in misura ancor più elevata) continuerebbero a verificarsi anche dopo, sebbene la loro intensità attualizzata ad oggi risulti molto affievolita.
I costi per la transizione ecologica abbiamo stimato essere rilevanti, non tanto per il risparmio energetico, quanto per il passaggio alle energie rinnovabili: nella pratica, occorre, a ciascuna impresa, un impianto fotovoltaico adeguato, eventualmente integrato con pale eoliche ed altre fonti rinnovabili, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico per il funzionamento degli edifici dell’impresa, per il parco automezzi aziendali e per il regolare svolgimento di tutte le attività produttive. Si tratta generalmente di una somma notevole (soprattutto nei settori cosiddetti energivori), che va ammortizzata nel tempo, ma, dati gli effetti di lunga durata dell’investimento, anche il periodo di ammortamento può essere sufficientemente lungo e pertanto le quote annuali di copertura possono essere contenute.
Per quanto riguarda i benefici, anche questi potranno essere di notevole valore ed alcuni si verificheranno anche a breve, soprattutto quelli in relazione ai risparmi generati dai costi minimi di esercizio delle rinnovabili, rispetto ai prezzi elevati e volatili delle fonti fossili. Inoltre, si può notare che le poche imprese che avevano completato la transizione prima della nota lievitazione dei prezzi di gas e petrolio (tra il 2021 ed il 2022) hanno goduto di risparmi di costo talmente elevati da ammortizzare in pochi anni l’intero investimento ambientale e quindi ora (o tra poco) potranno beneficiare di maggiori profitti altrimenti non realizzabili. Comunque, anche attualmente, con i prezzi energetici normalizzati, un investimento del genere può essere ammortizzato, in virtù del permanente vantaggio relativo ai minori costi energetici, entro circa un decennio.
Ma i benefici aziendali non finiscono qui, poiché bisogna tener conto pure di:
- una rivalutazione degli immobili green, funzionanti quindi ad energia rinnovabile;
- la valorizzazione delle risorse umane, per le maggiori competenze e la tensione innovativa acquisite con la transizione, le quali generalmente portano a maggiori risultati anche produttivi;
- i benefici di mercato per effetto di una migliore reputazione, di una valorizzazione dei prodotti offerti e della possibilità di certificazioni di qualità, nonché di agevolazioni pubbliche (tutti fattori significativi di competitività);
- un maggiore valore aggiunto ed uno sviluppo aziendale delle attività.
I benefici collettivi
Ma sono molto rilevanti anche i benefici collettivi che si producono con gli impatti dell’investimento ambientale. Tali benefici, pur manifestandosi a vantaggio della comunità di riferimento, finiscono per riverberarsi anche sull’impresa stessa che li ha generati.
Poiché anche i fenomeni ambientali, come quelli sociali, hanno conseguenze economiche che si manifestano con grandezze monetarie, si può osservare che le principali esternalità negative causate da un’azienda che continua a disinteressarsi del cambiamento climatico sono:
- l’inquinamento atmosferico, con le esposizioni a polveri sottili e ad altri gas nocivi (sempre collegati ai combustibili fossili) che, soprattutto nelle grandi città, provocano morti, malattie e disturbi psichici, i quali, a loro volta, si concretizzano in danni economici per la collegata cura della salute e per il tempo di mancato lavoro (senza voler considerare il prezzo delle sofferenze);
- gli eventi catastrofici estremi sempre più frequenti e intensi, che provocano pure morti, feriti e danni ingentissimi alle cose ed al patrimonio esistente, con la necessità di elevatissimi fondi riparatori (danno emergente) e con il mancato guadagno (lucro cessante) delle attività produttive coinvolte per tutto il periodo del ripristino delle strutture danneggiate.
Sono perdite economiche enormi, oltre a costituire disagi ambientali, sociali ed esistenziali notevolissimi, che gravano pesantemente sulle comunità di riferimento e quindi, indirettamente, anche sulle imprese locali, quando non vengono coinvolte pure quest’ultime (con le proprie strutture ed il personale) in tali avversità.
Ma tutto ciò può essere attenuato notevolmente con il contributo virtuoso degli investimenti ambientali, che pertanto riducono le rilevanti perdite economiche di cui sopra, sia per la collettività che per le stesse aziende. Quindi, la mancata perdita futura da eventi negativi diventa un beneficio collettivo generato proprio dalle imprese che intraprendono un percorso virtuoso verso la sostenibilità ambientale. Anzi, si può affermare che, mentre la catastrofe naturale è legata alla probabilità che un simile evento si manifesti in un determinato territorio, data la portata planetaria del fenomeno, l’inquinamento atmosferico locale si produce direttamente e costantemente durante ogni attività non ecologica e pertanto produce i suoi nefasti effetti sicuramente e immediatamente.
Infine, è da notare che i benefici economici aziendali delle attività virtuose si riverberano amplificati su tutta la comunità per effetto delle attività indotte e del moltiplicatore degli investimenti, che coinvolgono l’intero sistema economico. Così si ottiene maggiore crescita economica e sviluppo dell’occupazione, mentre ora accade usualmente che si producono soltanto riprese drogate da investimenti speculativi e da riduzione dell’occupazione (o da contenimento dei salari).
Considerazioni finali
Un ultimo aspetto va considerato, in quanto la sfiducia dei nostri tempi, generata da un clima di incertezza a livello mondiale, derivante dall’instabilità socio – politica e dalle guerre (che praticamente hanno separato in due schieramenti contrapposti quasi tutti i Paesi della terra), fa temere fondatamente che l’auspicato Goal 17 dell’Agenda 2030 (partnership per gli obiettivi) non verrà concretamente realizzato, almeno a breve scadenza, e quindi difficilmente si potrà creare quell’unità di intenti necessaria a ottenere una massa critica planetaria in grado di arrestare il cambiamento climatico in atto.
In una simile situazione, il pensiero di molti ritiene che ogni sforzo individuale sia inutile, perché il clima continuerà a surriscaldarsi e il nostro eventuale impegno virtuoso sarebbe insufficiente per poterlo arrestare e tanto meno potrebbe evitare tutti i disastri che si preannunciano. Ma, a tale rassegnazione, occorre controbattere che:
- bisogna pur partire in pochi per diffondere un comportamento a tanti altri;
- ogni azione sostenibile comporta comunque una riduzione delle emissioni totali;
- come è stato osservato, il percorso di transizione porta in ogni caso ad un vantaggio economico per l’azienda e per la collettività;
- l’inquinamento è un fenomeno territoriale, la cui riduzione premia proprio le attività locali che la favoriscono;
- anche i disastri causati dalle perturbazioni estreme probabilmente si verificano più frequentemente e più intensamente nei luoghi ove le emissioni di gas serra e le variazioni di temperatura sono più elevate: il microclima di alcuni territori potrebbe infatti giocare un ruolo positivo o negativo rispetto ad una situazione climatica planetaria (su tale argomento forse occorrerebbe qualche precisazione in più da parte della scienza).
Infine, per una più approfondita valutazione della convenienza economica dell’investimento ambientale, giova citare le due opere fondamentali che hanno dimostrato la validità economica della transizione ecologica per il cambiamento climatico: il rapporto di Nicholas Stern del 2007 The economics of climate change, che inizialmente ebbe anche molte critiche, e l’articolo di quest’anno dello stesso Stern, assieme al premio Nobel Joseph Stiglitz, dal titolo Climate change and growth. I due eminenti studiosi mettono in evidenza da un punto di vista macroeconomico che dalla transizione ecologica può scaturire una crescita maggiore di quella stentata e discontinua verificatasi negli ultimi decenni.