Fusione nucleare, l’energia delle stelle. Utopia o realtà?
Dopo le parole del ministro della Transizione ecologica Cingolani si è acceso il dibattito sulla fusione nucleare in Italia. Il primo reattore, in Francia, dovrebbe essere pronto per il 2025. Resta il nodo sulle possibilità di usufruire di questa energia in tempi brevi. 23/03/21
di Flavio Natale
“La vera fonte energetica universale saranno le stelle. L’universo funziona con la fusione nucleare. Quella è la rinnovabile delle rinnovabili”.
Le parole di Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, pronunciate in occasione della videoconferenza di presentazione delle linee guida del suo ministero alle Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera e del Senato, sono state oggetto di un acceso dibattito, a maggior ragione perché pronunciate a ridosso del decennale del disastro nucleare di Fukushima, della recente discussione sull’impatto dei test nucleari condotti dal governo francese in Polinesia e dell’annuncio di una riapertura di un impianto nucleare da parte di Teheran.
“Io spero che, se avremo lavorato bene, fra dieci anni i nostri successori parleranno di come abbassare il prezzo dell’idrogeno verde e di come investire sulla fusione nucleare”, ha aggiunto Cingolani. “Questa è la transizione che ho in testa”.
L’intervento ha suscitato, da più fronti, aspre critiche.
Come riportato sul Manifesto, Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, ha affermato: “Cingolani dimostra di avere un’idea fuori dal tempo e dall’Ue. La fusione nucleare la aspettiamo da 50 anni e nessuno crede che l’avremo a breve”.
Dello stesso parere Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia: “La fusione nucleare non c’entra niente con la transizione ecologica. […] Cingolani viene lodato per essere un pragmatico ma stavolta è stato molto poco pratico, anche se ha confermato l’obiettivo del 72% di elettricità rinnovabile per il 2030, che sarà raggiungibile solo sbloccando gli iter autorizzativi che ora ne bloccano lo sviluppo”.
Monica Frassoni, presidente della European alliance to save energy (Euase) ha twittato: “Sono un po’ perplessa. Ma come fa un fisico come Roberto Cingolani a dire che la fusione nucleare, che non si sa se mai arriverà, sarà parte della transizione ecologica che deve essere avviata in modo irreversibile entro dieci anni?”
Nell’ambito del dibattito sul tema avviato sul magazine online Start Magazine, è intervenuto anche Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e della rivista QualEnergia.
“La fusione nucleare è una fata morgana che continua ad allontanarsi nel tempo”, ha dichiarato Silvestrini. “Potremmo citare la battuta ‘ci vogliono altri 30 anni’, che si sente ripetere a partire dagli anni Settanta del secolo scorso”. L’Italia, ricorda inoltre Silvestrini, ha preso l’impegno di diventare carbon neutral entro il 2050, e dunque il percorso più logico è quello di investire capitali verso risorse tecnologiche che possano “accelerare il processo di decarbonizzazione nel breve e medio termine, come le rinnovabili, la mobilità elettrica, i sistemi di accumulo, gli elettrolizzatori per produrre idrogeno dall’acqua”.
Ma in cosa consiste, esattamente, la fusione nucleare?
Secondo la definizione riportata da Wired, “La fusione termonucleare è una reazione in cui due nuclei leggeri si combinano in uno più pesante, liberando energia. Il processo è responsabile della produzione di energia nelle stelle, e si punta a realizzarlo anche sulla Terra in maniera controllata per produrre energia elettrica”. In seguito, il sito aggiunge: “Le reazioni di fusione più semplici e convenienti coinvolgono nuclei dell’atomo di idrogeno, in particolare quelli più pesanti (i cosiddetti isotopi) deuterio e trizio: il primo esiste già in natura ed è disponibile in quantità praticamente illimitate, mentre il secondo è prodotto a partire dal litio, un elemento diffuso sulla Terra e facilmente reperibile. Per questo motivo la fusione rappresenta una fonte di energia praticamente inesauribile e, in prospettiva, a basso costo”. Perché avvenga questa fusione, è necessario riscaldare un gas ionizzato di deuterio e trizio (chiamato “plasma”) a temperature di oltre cento milioni di gradi, ed è proprio per raggiungere e stabilizzare questo livello ottimale che, in Francia, è in fase di costruzione il reattore Iter (International thermonuclear experimental reactor).
Iter, programma nato dalla collaborazione tra Unione europea, Stati Uniti, India, Giappone, Corea del Sud e Russia, prevede la costruzione di un reattore sperimentale a Cadarache, nel sud della Francia, che dovrebbe diventare operativo nel 2025. L’obiettivo del programma (costato oltre 13 miliardi di euro) è quello di dimostrare la fattibilità tecnica della fusione nucleare come fonte di energia.
“Si tratta di produrre energia pulita senza scorie da smaltire”, si legge su Linkiesta, in un articolo pubblicato in gennaio sull’argomento in seguito all’esperimento compiuto il 24 dicembre nel “Korea superconducting tokamak advanced research” (Kstar), un reattore per la fusione nucleare del centro di ricerca National fusion research institute di Daejeon, in Corea del Sud. “Per pochi secondi un’energia paragonabile a quella prodotta dalle stelle ha brillato sulla Terra”: il reattore aveva infatti raggiunto temperature superiori ai cento milioni di gradi, mantenendole stabili per venti secondi, e andando oltre il record degli otto secondi del 2019.
“È un risultato eccellente per un settore di ricerca in cui da anni si investono milioni ed energie ma ancora non è riuscito a produrre risultati concreti”, si legge sul sito. “Nessun esperimento ha raggiunto un bilancio energetico soddisfacente: accendere un reattore come quello del centro di ricerca coreano richiede un input energetico ancora superiore alla quantità di energia che è in grado di produrre”.
La fusione nucleare è dunque fonte energetica ancora in fase di sperimentazione, e che necessita di numerosi investimenti. Giuseppe Mazzitelli, responsabile divisione Tecnologie per la fusione nucleare della Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), intervistato da Linkiesta, ha affermato che: “L’energia che si potrebbe produrre con la fusione nucleare sarebbe tale da cambiare le prospettive energetiche dell’umanità, in un mondo diretto verso un consumo sempre maggiore”.
Si tratterebbe anche di una fonte praticamente inesauribile. “Il deuterio è contenuto nell’acqua, e la parte che viene estratta da 500 litri sarebbe sufficiente a soddisfare in termini energetici il fabbisogno di un cittadino europeo medio per tutta la sua vita”, ha aggiunto Mazzitelli. “E dopo quell’acqua è ancora potabile. Questo rende tutto il processo estremamente sostenibile”.
A fronte però del forte investimento che Cingolani vorrebbe promuovere all’interno del Piano di ripresa e resilienza, l’interrogativo è piuttosto sulle ragioni per cui insistere nel breve termine su una tecnologia del cui funzionamento non abbiamo certezza, mentre l’energia da fonti rinnovabili risulta una realtà perfezionabile ma già pienamente attiva. “Uno dei motivi per cui si investe nel campo della fusione”, afferma a questo proposito Mazzitelli, “è che le prospettive che abbiamo in termini di produzione di energia elettrica sono estremamente affascinanti. E non è da considerarsi alternativo alle rinnovabili, le quali non hanno ancora la capacità di soddisfare a pieno il nostro fabbisogno energetico”.
Mazzitelli aggiunge poi che, dato che il 2025 diventerà l’anno in cui sarà operativo Iter, “il decennio appena iniziato sarà probabilmente quello decisivo nel determinare i risultati degli studi sulla fusione nucleare”.
Se il progetto Iter dovesse raggiungere i risultati prefissati, si procederà all’attivazione del Demonstration power plant (Demo), un prototipo di reattore nucleare a fusione studiato dal consorzio europeo Eurofusion come ideale successore del reattore sperimentale Iter. “Passare da Iter a Demo significa passare da un oggetto che produce 500 megawatt a uno che ne deve produrre almeno 2000”, spiega Tony Donné, programme manager di EuroFusion. “Mentre Iter deve dimostrare che si può ottenere dal plasma più energia di quanta se ne consumi, Demo deve garantire la produzione di elettricità da fusione. Questo sarà l’ultimo reattore di ricerca sulla fusione nucleare, prima della messa in opera dei reattori commerciali veri e propri, prevista per il 2050”.
Il lavoro che viene fatto su Iter, in Francia, assume così un’importanza capitale. L’Italia, con il suo know how sviluppato soprattutto nei laboratori di Enea a Frascati, sta partecipando attivamente a questo progetto, assicurandosi importanti gare pubbliche, per un totale di 1,2 miliardi di euro.
Anche a Padova si trova un impianto sperimentale di fusione nucleare, il cosiddetto Prima (Padova research Iter megavolt accelerator). “Prima è un laboratorio che ospita un acceleratore di fasci neutri, che serve per il riscaldamento del plasma e per l’avvio del processo di fusione del reattore sperimentale Iter”, si legge sul sito di Enea. “Il progetto vede impegnato il Consorzio Rfx di Padova, di cui fanno parte l’Enea, il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e l’università di Padova”.
Tra i sostenitori della fusione nucleare in Italia troviamo Eni che, nel 2018, ha sottoscritto un accordo da 50 milioni di dollari con il Commonwealth fusion systems (Cfs), la start up nata all’interno del Massachusetts Institute of Technology (Mit), per sviluppare il primo reattore a fusione commerciale in grado di funzionare continuativamente. “È una sfida che Eni intende realizzare con un partner d’eccellenza come il Mit, che sulla fusione ha un’esperienza di lunghissima data”, dichiara l’Eni, che già sul suo sito proponeva numerose ragioni a favore di una svolta nucleare in Italia: “Carbone, petrolio, gas, rinnovabili sono spesso argomenti centrali nei dibattiti televisivi, in parlamento e nei bar. Raramente, invece, parliamo di energia nucleare”. Secondo l’Eni, infatti, “pensiamo di esserci liberati del problema anni fa. Ma non tutti sanno che oggi le centrali nucleari producono circa un terzo dell’elettricità e un settimo dell’intera energia consumata nell’Unione europea”.
Nonostante le varie battute di arresto (referendum per la chiusura definitiva dei quattro reattori italiani dopo l’incidente di Chernobyl nel 1986, e secondo referendum dopo la catastrofe di Fukushima), l’Eni infatti vorrebbe favorire un ritorno al nucleare nel nostro Paese, dal momento che questa risorsa energetica “rappresenta un’alternativa low carbon agli altri combustibili fossili, ed è un componente critico dei mix energetici di tutti gli Stati europei, Italia compresa”.
Le centrali atomiche europee producono infatti complessivamente 119 miliardi di Watt (GWe) nucleari, di cui oltre la metà di questi derivano dalle 58 centrali che battono bandiera francese (nonostante l’obiettivo, promosso dall’ex presidente Hollande ma ritardato da Macron di dieci anni, di ridurre entro il 2025, dal 75% al 50%, il quantitativo di energia prodotta dal nucleare).
Uno studio riportato su Forbes e citato da Eni ha calcolato il numero di morti per miliardo di KWh di energia prodotta. “Risulta che il carbone è di gran lunga il più letale, seguito da petrolio, biomasse, gas naturale, idroelettrico, solare, eolico e, infine, dal nucleare che risulta la fonte di energia più sicura”.
Fusione nucleare o no, dunque, sembra che il discorso di Cingolani abbia aperto una questione di rilevanza significativa per le questioni energetiche future. Perché se la fusione nucleare non può essere considerata un’energia di transizione (dato che per una prima tangibile prova della sua efficacia dovremo aspettare il 2025), può essere però considerata un’energia del futuro, nell’accezione più pura del termine, ovvero come un’energia che verrà sviluppata nei prossimi anni e che dovrà tenere conto di un mondo, questo sì, alla ricerca di una disponibilità energetica sempre maggiore.
di Flavio Natale