Abitare e anziani, le nuove forme di housing per una popolazione che invecchia
Le case di proprietà sono spesso inadeguate ai bisogni degli over 65. Servono nuove soluzioni da sviluppare in collaborazione con la società civile. Ne parla un rapporto della Fondazione Filippo Turati.
L’invecchiamento della popolazione comporta un aumento della longevità, ma anche un maggiore rischio di solitudine. Come supportare le persone “nell’invecchiare bene”, anche da un punto di vista abitativo? Da un lato, occorre attuare veri e propri programmi per la longevità attiva. Dall’altro, mettere al centro le persone longeve co-progettando servizi, interventi e spazi abitativi a loro rivolti. È quanto emerge dal rapporto “Abitare e anziani (fragili): evidenze e spunti per coprogettare nuove forme di housing”, diffuso nelle scorse settimane da Fondazione Turati e scritto da Chiara Lodi Rizzini, Manuela Verdino e Franca Maino di Percorsi di secondo welfare.
“In questo contesto la casa occupa uno spazio centrale: con l’avanzare dell’età da luogo di affetti, sicurezza e protezione essa può diventare luogo di isolamento e fonte di pericolo”, rilevano le autrici, “si pensi alla presenza di barriere architettoniche, di abitazioni inefficienti o isolate”. Investire nell’abitare per gli anziani diventa quindi una condizione fondamentale. Ma il rischio è quello di impiegare le (poche) risorse su progetti abitativi senza futuro. Come nel caso di residenze per anziani che, negli anni, sono diventati condomini per gli affitti brevi o hanno cambiato target, rivolgendosi agli studenti.
Il Rapporto segnala che l’investimento principale dovrebbe ruotare intorno alla costruzione di “comunità amiche della longevità”: ambienti e spazi urbani e periurbani idonei a favorire un invecchiamento sano. E che prevedano, ove possibile, il coinvolgimento civico degli anziani in attività che vadano a beneficio della cittadinanza, trasformando la vecchiaia da costo in risorsa collettiva.
Soluzioni abitative per un mondo sempre più urbano e anziano
Il crescente tasso di urbanizzazione comporta un ripensamento dei modelli abitativi: coliving e cohousing offrono alternative per le diverse generazioni. In Italia, il 71,7% dei giovani vive ancora con la propria famiglia.
Nuove soluzioni
Governi, imprese private, Terzo settore e comunità locali stanno avanzando proposte e soluzioni interessanti. La ricerca si concentra su tre modelli principali. Il primo riguarda interventi finalizzati alla permanenza a casa propria, che possono includere la rimozione di barriere architettoniche dell’abitazione; servizi di cura e assistenza socio-sanitaria; domotica, telesoccorso e telemedicina; attività per la socialità e lo sviluppo di relazioni; progetti per l’alleggerimento dei carichi di cura per i caregiver. Il secondo modello riguarda il co-sharing, in cui un ospitante offre alloggio a un ospite in cambio di un aiuto concordato che può comprendere anche qualche forma di compensazione economica. Infine ci sono i progetti di co-housing, progetti di abitare condiviso che hanno luogo dentro uno stesso edificio ma in alloggi indipendenti. Un modello ancora minoritario in Italia.
Strategie di lungo periodo dovranno comprendere, tra l’altro, interventi su progetti di “residenzialità leggera”, che non hanno cioè il loro fulcro nella struttura residenziale ma affiancano strutture calibrate sulle esigenze di anziani over 80/85 in condizioni di non autosufficienza o a rischio non autosufficienza; piani di coabitazione intergenerazionale che prevedano strutture condivise tra giovani e anziani; progetti di animazione di comunità attraverso l’investimento su nuove figure di prossimità con competenze in ambito socio-sanitario. Ma c’è un problema di risorse: come scrive Giancarlo Magni, presidente della Fondazione Filippo Turati nella prefazione al Rapporto, “il welfare state, tramite la fiscalità generale, non è in grado di finanziare questi nuovi bisogni. Ci sono solo due soluzioni: o si ricorre al mercato privato, ma in questo caso saranno soddisfatte le necessità della parte più ricca della popolazione, o si passa dal welfare state alla welfare society, sfruttando le tante risorse che possono venire dalla società civile”.
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