Agricoltura e proteine vegetali: coltivare un futuro plant-based in Europa
Da Nord a Sud, il settore plant-based europeo sta esplorando nuovi modelli agricoli per rispondere alla crescente domanda di proteine vegetali: un’occasione per gli agricoltori di diversificare i propri introiti e favorire la transizione ecologica.
Il settore delle proteine vegetali conta tra le proprie file aziende innovative e produttori agricoli visionari che, unendo le forze, stanno contribuendo a creare il sistema alimentare del futuro. Ma cosa serve davvero per renderla realtà? Tra colture sottoutilizzate, modelli agricoli in evoluzione e investimenti governativi, è chiaro che ci sono sfide da affrontare e opportunità da cogliere.
Nel nostro Paese non mancano gli esempi di sinergia tra aziende del settore plant-based e il mondo agricolo: Kioene, azienda del Gruppo Tonazzo che ha da poco annunciato di volersi concentrare interamente sul brand di prodotti vegetali, ha solidificato i rapporti con oltre cento fornitori di materie prime (di cui l’82% sul territorio nazionale); l’Azienda Agricola Santinelli è parte integrante della realtà di Biolab, produttore di alternative vegetali alla carne; e infine il colosso Martinorossi, produttore di farine, preparati e ingredienti funzionali per i prodotti a base vegetale, che conta all’interno della propria filiera oltre 500 aziende agricole italiane. Anche nel resto d’Europa emergono progetti innovativi che mirano a rendere la produzione di proteine vegetali più efficiente, stabile e remunerativa per gli agricoltori.
I semi del cambiamento in Europa
Per rispondere alla crescente domanda di proteine vegetali, diversi paesi europei stanno esplorando nuove colture e modelli agricoli. Nel Regno Unito, l'azienda Novo Farina si sta concentrando sui piselli gialli, una coltura sottoutilizzata ma ben adattata al clima inglese. Il loro modello di produzione è interamente basato su risorse locali, offrendo agli agricoltori l'opportunità di diversificare le proprie entrate. Inoltre, i piselli gialli contribuiscono alla sostenibilità grazie alla loro capacità di fissare l’azoto nel terreno, riducendo l'uso di fertilizzanti chimici.
Autosufficienza proteica: il ruolo delle proteine alternative
L’Italia è ancora lontana dall’indipendenza nel settore. Le alternative vegetali e coltivate possono rafforzare la filiera e lasciare maggiore spazio all’agroecologia. Due gli scenari per il futuro.
In Svezia, l’azienda Lupinta ha scommesso sul lupino, un legume originario del Mediterraneo. Il fondatore, Eslam Salah, ha completato un progetto pilota per verificare l’adattamento di questa pianta al clima nordico in collaborazione con la cooperativa agricola Lantmännen. Il lupino può essere coltivato su terreni poco sfruttati (ad esempio quelli messi a riposo tra una stagione e l’altra), offrendo una fonte proteica sostenibile che ha già attirato l’attenzione degli agricoltori locali.
Nei Paesi Bassi, il Royal Agrifirm Group sta riscoprendo il potenziale economico della fava, storicamente utilizzata per l’alimentazione animale. Attraverso il progetto FabaFood, l’azienda sta collaborando con partner alimentari e biotech per sviluppare nuovi utilizzi della fava nei prodotti plant-based. Grazie a innovazioni scientifiche come le varietà sviluppate da KeyGene, la coltivazione di questa pianta potrebbe diventare più redditizia per gli agricoltori olandesi.
Carne coltivata: una nuova frontiera per il settore?
In alcuni Paesi, gli agricoltori stanno addirittura valutando nuove opportunità economiche legate alla carne coltivata. Un recente rapporto della Royal Agricultural University del Regno Unito ha evidenziato come, nonostante lo scetticismo, alcuni agricoltori siano interessati alle opportunità che potrebbe offrire, come la fornitura di materie prime per il processo di produzione o l'affitto di edifici agricoli ad aziende di carne coltivata.
Un esempio interessante riguarda l'utilizzo di sottoprodotti agricoli, come gli scarti della colza (una coltura che copre circa 30mila ettari in Italia), che potrebbero essere utilizzati per produrre nutrienti essenziali per i liquidi delle colture. Questo non solo ridurrebbe i costi di produzione della carne coltivata, ma fornirebbe agli agricoltori un nuovo sbocco commerciale. Intanto, in Europa, alcuni progetti pilota stanno già sperimentando la produzione di carne coltivata direttamente "on-farm" e testando la sostenibilità economica di questo modello.
Le sfide della filiera e il ruolo dei governi
Nonostante le potenzialità delle proteine vegetali, ci sono ancora ostacoli da superare. Novo Farina, ad esempio, si è scontrata con la concorrenza di prodotti importati a basso costo, soprattutto dalla Cina. Sebbene le proteine locali abbiano una qualità superiore e una tracciabilità migliore, i costi di produzione rimangono un fattore limitante.
Un’altra sfida è rappresentata dall’incertezza della domanda futura. Maureen de Haan del Royal Agrifirm Group sottolinea che la mancanza di previsioni affidabili rende difficile scalare la produzione, mantenendo quindi alti i prezzi. Questo frena gli investimenti a lungo termine degli agricoltori, che temono di non vedere un ritorno sicuro dal loro lavoro.
In risposta, alcuni governi europei hanno avviato misure di sostegno per facilitare la transizione alle proteine vegetali. La Danimarca ha stanziato 68 milioni di euro per incentivare la coltivazione di proteine vegetali, con altri 73 milioni destinati a promuovere un sistema alimentare più sostenibile. Anche la Germania ha destinato 20 milioni di euro per supportare il settore primario nella transizione alle proteine alternative. Al di fuori dell'Europa, il Canada sta investendo risorse per aiutare gli agricoltori a passare dalla produzione di mangimi per animali alla coltivazione di proteine vegetali per il consumo umano, sostenuto da una collaborazione strategica tra pubblico e privato.
La costruzione di un approvvigionamento proteico sostenibile e diversificato dipenderà dalla capacità di creare un sistema integrato tra agricoltori, industrie alimentari e governi. Gli agricoltori, in particolare, avranno un ruolo centrale, ma dovranno essere sostenuti da politiche adeguate, incentivi economici e infrastrutture moderne. Le aziende, dal canto loro, devono garantire una domanda stabile e continuare a investire in innovazione per rendere i prodotti più competitivi.
La transizione proteica non è solo una questione di sostenibilità ambientale, ma può offrire una nuova opportunità economica per gli agricoltori europei. In un contesto in cui l’agricoltura è messa sotto pressione dal cambiamento climatico e dalle oscillazioni dei mercati, il coinvolgimento nella catena di approvvigionamento di proteine alternative potrebbe offrire un modello agricolo più resiliente e sostenibile, a condizione che vengano messi in atto il sostegno e le politiche adeguate. I semi del cambiamento sono stati piantati, ma da un piccolo orto è tempo di seminare distese di campi: solo così agricoltori, aziende, consumatori e pianeta potranno raccoglierne i frutti.
Copertina: dietmarreichle