L'Italia e la carne coltivata: un passo indietro sull'innovazione sostenibile
Dal divieto italiano all'evoluzione verso una tavola sostenibile: sfide, soluzioni e la corsa verso un futuro alimentare innovativo.
“Tra cinquant'anni, eviteremo l'assurdità di allevare un pollo intero per mangiarne il petto o l'ala, coltivando queste parti separatamente con un mezzo adatto”. Potrebbero essere le parole di un biotecnologo o del Ceo di una startup di carne coltivata, invece sono state pronunciate dall’ex primo ministro britannico Winston Churchill.
Era il lontano 1931, eppure l’efficienza, in termini di energia e risorse, dell’allevamento animale sollevava già qualche dubbio. La settimana scorsa, la decisione del governo italiano di vietare la produzione e il commercio di carne coltivata, ha nuovamente fatto luce sul futuro delle proteine. L’Italia è di fatto il primo Paese al mondo a vietare un prodotto non ancora in commercio sul territorio europeo.
Proteine animali, salute pubblica e ambiente
Perché la legge italiana sulla carne coltivata è un problema? Facciamo un passo indietro. La produzione mondiale di carne è aumentata di quasi cinque volte nella seconda metà del ventesimo secolo e la quantità consumata per persona è raddoppiata. Le proiezioni indicano che entro il 2050 la popolazione globale sfiorerà i dieci miliardi di persone e il consumo di carne potrebbe aumentare di un altro 73% – e questo è un problema. L’Organizzazione delle Nazioni unite è stata chiara su questo punto: dobbiamo riconsiderare l'intero sistema alimentare – dalla produzione al consumo – e comprendere i suoi effetti a lungo termine per riuscire a sfamare la popolazione futura senza danneggiare il Pianeta e l’umanità stessa.
L’impatto ambientale degli allevamenti è forse la questione su cui si è maggiormente dibattuto negli ultimi anni. Gli ottanta miliardi di animali che vengono allevati ogni anno per soddisfare la richiesta di carne causano infatti una pressione importante sulla biodiversità, richiedendo notevoli quantità di terreno, acqua e risorse alimentari, contribuendo alla deforestazione, all'erosione del suolo e all'aumento delle emissioni di gas serra. Basti pensare che L'Europa occidentale è una delle regioni più “povere” di natura al mondo.
Una ricerca dell'Università di Oxford ha dichiarato senza mezzi termini che raggiungere gli obiettivi climatici è impossibile senza alleggerire il corrente sistema di allevamento animale industriale. Eppure in Europa, come nel resto del mondo, il consumo di carne è in aumento. Ma le criticità vanno oltre i problemi ambientali.
Gli antibiotici, largamente utilizzati nell'allevamento industriale, rappresentano un rischio enorme per la salute pubblica – a causa della cosiddetta resistenza agli antimicrobici (Amr). Le stime dell’Ue mostrano che ogni anno più di 670mila infezioni sono dovute a batteri resistenti agli antibiotici e circa 33mila persone muoiono come conseguenza diretta.
Gli ultimi anni hanno visto i prodotti a base di proteine vegetali prendere piede tra i consumatori, soprattutto quelli maggiormente attenti alla salute e alle questioni ambientali. Ma, come dimostrano i dati, questo non è sufficiente ad alleviare la pressione ambientale dell’allevamento animale. E del resto, alcune persone sceglieranno sempre di mangiare carne. È quindi necessario agire sul processo di produzione, trasformando il modo in cui produciamo le proteine animali, e diversificando il nostro sistema di produzione.
Il ruolo cruciale delle proteine alternative
È qui che entrano in gioco le proteine alternative, ovvero quei prodotti familiari ai consumatori nel gusto e nei formati, ma con un’impronta ambientale notevolmente inferiore.
Producendo le proteine direttamente dalle piante e coltivandole direttamente dalle cellule, possiamo concentrarci sulle coltivazioni per nutrire le persone anziché gli animali, creando un sistema alimentare più efficiente ed equo e salvaguardando l’ambiente.
Cosa ha vietato, esattamente, il governo italiano? La produzione di carne coltivata consiste nel prelevare un piccolo campione di carne da un animale, tramite una procedura non invasiva, moltiplicando poi questa carne in quello che è conosciuto come un fermentatore, simile a quelli utilizzati per produrre la birra. Si tratta di un ambiente sterile che favorisce lo stesso processo che avviene all’interno dell’animale, garantendo la temperatura adeguata e fornendo i nutrienti di base (acqua, proteine, carboidrati, grassi, vitamine e minerali) per la crescita della carne. È un processo paragonabile alla coltivazione di piante da talea in una serra. Il risultato è un prodotto con i valori nutrizionali della carne prodotta in modo convenzionale. Si tratta di un settore emergente, dalle interessanti potenzialità sociali, economiche e ambientali.
La legge votata alla Camera dei Deputati vieta anche il meat sounding per le carni vegetali, ovvero l’utilizzo di termini come “salame” o “bistecca” per prodotti a base di proteine vegetali – ufficialmente per evitare confusione tra i consumatori. I dati di mercato però suggeriscono che i consumatori siano tutt’altro che confusi. I prodotti a base di proteine vegetali sono infatti consumati regolarmente da un italiano su due; l’intero comparto in Italia è cresciuto del 21% portandola a essere il terzo mercato in Europa.
L’Italia vieta la carne coltivata: e adesso?
Il divieto italiano giunge in un momento in cui altri Paesi europei stanno investendo nella ricerca e nello sviluppo della carne coltivata e nella diversificazione proteica – cruciale anche per ridurre la dipendenza dalle importazioni estere. Non a caso il primo Paese ad autorizzare la vendita di carne coltivata è stato Singapore, che importa circa il 90% del cibo che consuma. L’Italia, per quanto riguarda la carne bovina, è autosufficiente solo per il 42%, secondo i dati dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea).
Ironia della sorte, un giorno dopo l’approvazione del divieto italiano, in Germania il governo tedesco annunciava fondi per 38 milioni di euro destinati alle proteine alternative e alla transizione proteica. Di questi, 20 milioni di euro saranno destinati alla creazione di un nuovo programma per sostenere gli allevatori che desiderano passare alla produzione e alla trasformazione di proteine di origine vegetale, fermentate e coltivate per l'alimentazione umana.
Anche i Paesi Bassi, il Regno Unito e la Spagna stanno destinando fondi considerevoli a progetti innovativi nel settore delle proteine alternative, mentre in Italia questo nuovo divieto rischia di tradursi in una riduzione degli investimenti e in un esodo dei ricercatori italiani, oltre a frenare la lotta al cambiamento climatico.
C’è poi la spinosa questione europea. Il provvedimento italiano ha infatti un significativo impatto sul mercato interno dell’Unione, e rischia di violare le norme europee in merito alla libera circolazione delle merci.
Proprio per questo motivo la Commissione europea e gli Stati membri avrebbero dovuto esaminare il disegno di legge prima del voto, attraverso la procedura chiamata “Tris”. Il governo ha però ritirato la notifica prima della scadenza prevista, impegnandosi a sottoporre nuovamente il provvedimento all’esame dell’Unione.
Oltre le ideologie: la tavola del futuro
Come abbiamo visto, la domanda di carne, in Europa e nel mondo, non farà che aumentare. Non abbiamo semplicemente la terra o l'acqua per soddisfare questa domanda con il sistema attuale. Diversificare le proteine che consumiamo offre nuove opzioni ai consumatori e nuove opportunità agli agricoltori di fornire colture di alto valore e l'agricoltura rigenerativa di cui abbiamo bisogno per il futuro.
Il progresso è l'asse su cui ruota la storia. Oggi, di fronte alle sfide globali legate all'alimentazione e all'ambiente, la nostra corsa verso il futuro deve essere guidata dall'intelligenza e dalla sostenibilità. Dai treni alle automobili, dalla radio a Internet, le nuove tecnologie hanno spesso suscitato incertezza, ma come umanità abbiamo imparato a regolamentare e trarre vantaggio da queste innovazioni.
La carne coltivata può ritagliarsi uno spazio nel nostro futuro alimentare, ma solamente se scienziati, allevatori, legislatori e cittadini saranno in grado di mettere all’angolo le ideologie e lavorare insieme per creare un sistema alimentare più efficiente, rispettoso dell'ambiente, democratico e in grado di sfamare la crescente popolazione globale.
Il Good Food Institute Europe è un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro che si impegna a promuovere un sistema alimentare più sostenibile, sicuro e equo, trasformando la produzione di carne. Collaboriamo con scienziati, aziende e decisori politici al fine di promuovere lo sviluppo di alternative vegetali e coltivate alla carne, rendendole deliziose, accessibili ed economicamente convenienti in tutta Europa.