Dal cyberpunk a Fortnite: la creazione di un metaverso per condividere esperienze
Epic Games ha raccolto un miliardo di dollari per la realizzazione di una realtà virtuale sulla piattaforma di gioco Fortnite. Le prospettive di questo investimento sanciscono il passaggio a un mondo che si sposta online, come anticipato anni fa dal movimento cyberpunk.
di Flavio Natale
Nel 1992 Neal Stephenson, scrittore di fantascienza, pubblica Snow Crash, uno dei romanzi capostipiti del movimento cyberpunk. Questo libro contiene tracce di futuro quasi-divinatorie: prevede i computer portatili, la realtà aumentata, internet wireless, la valuta digitale. Il romanzo si apre con la corsa folle di Hiroaki "Hiro" Protagonist per consegnare una pizza in tempo (proprio come accade ai riders dei giorni nostri). Ma il tratto più iperstizionale e profetico di Snow Crash può essere individuato in quello che Stephenson chiama “metaverso”, e di cui si è sentito parlare nei giorni scorsi dopo l’annuncio di Epic Games, casa produttrice del videogioco Fortnite, di sviluppare un metaverso con un investimento complessivo di un miliardo di dollari.
Il metaverso è, in breve, uno spazio virtuale condiviso, online e attivo a prescindere dalla fruizione dei singoli utenti che effettuano l’accesso. Secondo Gene Park, giornalista del Washington Post, si tratta di un luogo i cui attributi principali sono “l'essere sempre vivo e persistente – con eventi sia pianificati che spontanei – capaci di fornire un'esperienza che operi dentro e fuori le piattaforme virtuali”. Questo mondo simulato funzionerebbe come quello reale e, in potenza, sarebbe in grado di contenere un’economia autonoma, posti di lavoro, aree commercializzate dove testare i prodotti, generare media e sistemi di informazione indipendenti. Un metaverso è, ad esempio, quello a cui si collega Wade Watts, il protagonista di Ready Player One, romanzo di Ernest Cline Ready diventato poi film di Steven Spielberg.
In un’intervista a Vanity Fair del 2017, lo stesso Stephenson illustrava i termini minimi di un metaverso, delineando il confine tra realtà aumentata (Ar) e realtà virtuale (Vr). “Se ti trovi in un'applicazione Ar, sei dove sei. Rimani nel tuo ambiente fisico, e ci sono solo cose che vengono aggiunte” dice Stephenson. “La realtà virtuale ha invece la capacità di portarti in un luogo immaginario completamente diverso, il genere di cose descritte nel metaverso in Snow Crash. Quando entri lì dentro, sei per strada, sei nel Sole Nero e l'ambiente circostante scompare. Lo scopo della Vr è portarti in un luogo inventato, lo scopo dell'Ar è cambiare l’esperienza del luogo in cui ti trovi”.
Ma torniamo per un momento a Fortnite.
Il videogioco, prodotto nel 2017, è stato originariamente concepito come un gioco cooperativo dove una tempesta globale ha fatto scomparire il 98% della popolazione mondiale, in parte sostituita da creature aliene. I giocatori (massimo quattro) devono raccogliere risorse e costruire fortificazioni per raggiungere determinati obiettivi. Ma la modalità Battle Royale è quella che ha portato il videogioco al successo planetario: ambientata su un'isola (e totalmente gratuita) questa piattaforma è stata concepita per coinvolgere cento giocatori connessi nello stesso momento, e in lotta per la sopravvivenza. A questa si è aggiunta in seguito la modalità Party Royale, che consente agli utenti di darsi appuntamento su un’isola (differente da quella del gioco) per interagire, quasi come in un social network. In questo mondo virtuale, il rapper Travis Scott ha tenuto un concerto (seguito da 12,3 milioni di utenti) e sono stati proiettati tre film di Cristopher Nolan – The Prestige, Batman Begins e Inception. Gli eventi hanno creato aspettative senza precedenti nel mondo reale (come quando il gioco è stato risucchiato da un buco nero per ripristinare i server in attesa del secondo capitolo). Questi elementi possono essere considerati un abbozzo di metaverso.
Secondo Matthew Ball, ex Head of strategy degli Amazon Studios: “Fortnite come social network e fenomeno culturale è impossibile da ignorare, perché attira un pubblico enorme, e rende possibile la condivisione di proprietà intellettuali in conflitto caotico. Per ora, è l'unico posto legale su internet in cui un avatar di Hopper di Stranger Things approvato da Netflix e uno di Rey Skywalker di Star Wars approvato da Disney possono coesistere”.
Nella visione di Tim Sweeney, fondatore di Epic Games, il metaverso di Fortnite potrebbe diventare “una sorta di social media 3D in cui, invece di scambiarsi messaggi e immagini asincroni, si possa interagire insieme in un mondo virtuale, condividendo esperienze di gioco o sociali”. Sweeney immagina anche il modello economico del nuovo mondo: “Il metaverso ha in sé una caratteristica molto importante: non è costruito solo da una mega società, ma sarà il frutto del lavoro creativo di milioni di persone, un mezzo fortemente partecipativo, come non si è mai visto”. Una piattaforma aperta “più grande di qualsiasi azienda”, in cui “i migliori creators (ovvero gli utenti che partecipano alla costruzione e valorizzazione della piattaforma, ndr) possono avere successo, trarre profitto dal lavoro e far crescere le attività intorno a esso”. Questo aspetto renderebbe le politiche del metaverso differenti da quelle di aziende come Facebook (in cui non c’è nessun profitto per i creators) o YouTube, dove quel profitto esiste, anche se in minima parte.
Negli ultimi anni, però, anche Facebook e Google si sono mossi in questa direzione. Facebook Horizon è un esempio di spazio virtuale che contiene i semi del metaverso, mentre gli strumenti del lavoro condiviso di Google sono passi per istituzionalizzare un lavoro, e un mondo, che si sposta online. La pandemia in corso ha naturalmente accelerato le prospettive di questo processo, e da quando eventi lavorativi e sociali si sono trasferiti in massa sulle piattaforme, un metaverso non sembra più una prospettiva così aliena.
Come scrive Dario De Marco in un’intervista pubblicata su Singola in occasione dell’uscita di Cyberpunk. Antologia Assoluta (Mondadori): “Il cyberpunk è tornato. No: il cyberpunk è arrivato. […] Quello che sta succedendo è che, in un certo senso, ci siamo accorti di vivere in un mondo cyberpunk, in una realtà che il genere narrativo nato 40 anni fa ha profetizzato - o contribuito a creare”.
Francesco Guglieri, postfatore del volume, aggiunge: “[…] il cyberpunk ti diceva che umano e macchina si incontrano a metà strada, che la cosa davvero importante non è la macchina che diventa simile all'uomo, ma l'uomo che si avvicina alla macchina. Questa è la grande cifra del cyberpunk che vedo più realizzata: tutti noi oggi "parliamo la macchina", di certo più di quanto lo facessimo dieci o venti anni fa. Pensiamo attraverso le app, moduliamo la voce per farci capire dagli assistenti vocali”. E questo potrebbe non essere un male. Infatti, esaminando le differenze di prospettiva tra lo scrittore di fantascienza Philip Dick – padre putativo del genere e sostenitore degli effetti alienanti del progresso tecnologico – e il movimento cyberpunk, Guglieri ricorda: “I cyberpunk invece sono, be', punk e ti dicono che questo incontrarsi a metà tra uomo e macchina è un incubo ma è anche eccitante, è un veleno ma anche qualcosa di rivoluzionario, emancipatorio, uno strumento di sovversione”.
Come diceva William Gibson, dunque: “Il futuro è già arrivato. Solamente non è ancora stato uniformemente distribuito”.
Bisogna solo capire come noi ci comporteremo a riguardo.
di Flavio Natale