Superare il capitalismo
Questo sistema economico ha rivelato il suo volto fragile nella mancanza di tutela dei diritti imprescindibili di ciascuna persona. Un modello socioeconomico giusto deve invece trovare la sua ragion d’essere nella resilienza e nella capacità di rigenerarsi in seguito alle crisi.
di Steni Di Piazza
La vita di ciascuna persona è caratterizzata da relazioni di reciprocità e condivisione per il soddisfacimento dei bisogni propri del vivere civile e comunitario.
In economia da ciò derivano modelli articolati in sistemi operativi per ogni livello di governo territoriale.
Le produzioni di beni e servizi sono, così, parte di paradigmi che, in estrema sintesi e ormai da secoli, hanno trovato forma dalle teorizzazioni sul capitalismo.
Mercato e lavoro costituiscono il fulcro di sistemi che hanno come obiettivo la massimizzazione del profitto, ormai lontani dall’assunto per cui dalla micro alla macroeconomia si debba operare per il benessere della Terra e dei suoi abitanti.
Era stato Keynes, nel secolo scorso, a denunciare e a dichiarare aperta, attraverso i suoi scritti, la questione sulle sofferenze e sullo sfruttamento di molti per l’arricchimento di pochi derivante da ogni forma di capitalismo.
A una apparente flessibilità, spinta a oggi fino al punto di parlare di capitalismo digitale, si contrappone una costante discriminazione, che si accentua nei periodi di crisi come quello che da più di un anno affligge il nostro pianeta e i suoi abitanti.
Un sistema trova la sua ragion d’essere nella resilienza e, dunque, nella capacità di rigenerarsi in seguito alle crisi.
Il capitalismo, al contrario, ha rivelato il suo volto fragile nella mancanza di tutela e garanzia dei diritti imprescindibili di ciascuna persona.
Produzioni sostenute da una finanza spinta oltre ogni limite di speculazione nell’unico obiettivo della massimizzazione del profitto, che disumanizza l’economia.
Inevitabile il richiamo all’etica e alla giustizia sociale, nel tentativo di articolare nuove visioni con la sostenibilità come elemento fondamentale.
Al binomio classico tra Stato e Mercato, così, l’avvicendamento verso una visione più ampia, per una cosiddetta terza economia, in cui siano gli obiettivi di welfare society a prevalere.
Elemento innovativo è la valutazione dell'impatto che ben si comprende come debba divenire parametro e guida per ciascuna valutazione e ciascuna produzione.
Non più produzioni infinite di beni e servizi non corrispondenti ai bisogni reali di ciascuna persona; non più scatole di indebitamento e discriminazioni; non più ricchezza di pochi e povertà diffuse.
Piuttosto la determinazione nel considerare alla base dell’economia il concetto di bene comune.
Ancor di più oggi, nel perdurare di una drammatica pandemia, mi sembra essenziale pensare nei termini di una Terza Economia, al cui centro sia il benessere di ciascuna persona.
Se la parola "capitalismo" è finita con il coincidere con "ingiustizia sociale" è ora di dire no agli scarti, alle produzioni di armi, all’inquinamento, al ricatto dell’acqua, al lavoro come sfruttamento e non come creazione di valore.
Utile potrà essere il ricorso all’esperienza olivettiana e la sua traduzione in azioni economiche che investano su territori e comunità.
Abbiamo numeri e tecnologie che devono mettersi al servizio dello sviluppo umano integrato.
Ogni fatto economico va messo in correlazione con ciò che ne deriva in termini di impatto sull'uomo e sull' ambiente.
Affondare le mani sugli strumenti, sui bilanci, sugli indicatori, per generare inclusione e superamento di sofferenze e nuove povertà.
In questo modo l’utilità sociale si designerà come il fine, l’obiettivo al quale tendere: il più grande miglioramento del benessere possibile per la maggior quantità di persone.
Oltre al capitale economico, andrà salvaguardato soprattutto il capitale umano, quello formato da persone, relazioni, enti e organizzazioni.
Un percorso non immutabile nel tempo, ma in continua evoluzione, che coniuga i diversi fattori economici e umani al fine di generare profitto, ma anche e prima di tutto sostentamento per gli individui che vivono le diverse realtà abitative, sociali e imprenditoriali.
Il fine, l’obiettivo, lo scopo dell’imprenditore della Terza economia, deve essere quello di generare profitti per il benessere delle persone; non soltanto redistribuzione ma impiego di tali profitti per azioni positive di sostentamento, formazione e inclusione sociale.
L'impresa intesa come parte integrante della società, non come un’entità avulsa, in cui i bisogni dei cittadini e delle comunità pesano quanto le richieste degli azionisti, in cui l’imprenditore indirizza la mission (priva da pensieri di mera filantropia), non soltanto verso il raggiungimento degli obiettivi di profitto, ma al welfare di comunità.
Questo ragionamento riconduce al vero contenuto innovativo del dibattito degli ultimi anni che è quello della responsabilità sociale dell’imprenditore, il quale, al pari di un politico, prende in carico con il suo agire una responsabilità nei confronti della comunità, coniugandola con le azioni dello Stato e del Terzo settore nel segno della sostenibilità.
È in questo modo che può mettersi in sicurezza l’economia dagli esiti di crisi che alimentano la parte oscura degli investimenti e del progresso tecnologico.
È importante legiferare per la realizzazione e l'affermazione delle imprese di comunità che operino per una innovativa idea di profitto: quello che concorrerà ai bisogni di ciascuna persona senza lasciare indietro nessuno.
L’economia crescerà e si svilupperà per il bene comune e i beni relazionali, grazie a politiche di giustizia sociale.
Non è, dunque, un futuro auspicabile per il superamento dei limiti ormai noti del capitalismo, ma l'unico ideale concreto che potrà condurci alla sostenibilità per l’Italia e per l’intero pianeta, per ripagare il debito di futuro alle nuove generazioni.
di Steni Di Piazza, senatore Movimento 5 Stelle, già sottosegretario per il Lavoro e le politiche sociali