L'economia libera e il presidio della democrazia
La libera impresa e il libero mercato sono sempre a rischio e tendono a degenerare in strutture di potere non controllate. La risposta è una democrazia trasparente ed efficace.
di Marco Vitale
Non mi imbarcherei mai in una disperata sfida a definire il capitalismo, per poi cercare di identificare le vie per una “evoluzione/reinvenzione del capitalismo e su cosa è il capitalismo e cosa non lo è. Gli storici dell’economia che più amo, Braudel e Cipolla, mi hanno insegnato che ci sono mille capitalismi diversi nei luoghi e nel tempo e che cercare di identificare un capitalismo da compattare o da proporre è una battaglia astratta e senza speranza come quelle che combatteva Don Chisciotte contro i mulini a vento. Lo stesso mi ha insegnato la mia esperienza professionale.
Sono cresciuto nell’impresa americana e nel management americano degli anni ’50 e ’60 ed ho vissuto, passo dopo passo, la trasformazione del management americano a partire dall’inizio degli anni ’70 per poi, dopo un decennio di lavoro serio, impadronirsi dell’America negli anni ’80 e cambiare profondamente (cioè nei principi), dall’interno, l’America che avevo conosciuto. Non ho il minimo dubbio nell’affermare che i grandi manager americani che ho conosciuto e frequentato negli anni ’50, ’60, ’70 non hanno più niente a che fare con il sistema economico americano di oggi e con i suoi valori odierni. Nell’America di oggi sarebbero del tutto sperduti. E allora? Era capitalismo quello degli anni’60 o quello di oggi? O nessuno? O tutti e due? Queste sono domande legittime per gli storici o per i sociologi. Ma per un movimento di opinione che vuole incedere nel sociale l’approccio deve essere meno astratto e teorico, e più concreto e operativo.
Io sostituisco tutte queste domande con quella del numero 42 della Centesimus Annus. Qui c’è già l’unica domanda che conta e c’è anche la risposta. E nel secondo paragrafo del 42 c’è la distinzione fondamentale tra “economia d’impresa” ed “economia libera” e quello che molti chiamano “capitalismo”. E nel finale dell’ultimo paragrafo del 42 c’è la visione profetica di quello che è poi successo nel mondo dopo il 1989 e che dobbiamo combattere e, se ci riusciamo, correggere.
E allora? Riassumo i miei pilastri che ho scoperto, passo dopo passo, in cinquant’anni di ricerca e di lavoro.
- l’economia libera (come la chiamava Papa Wojtyla che ha ben conosciuto il suo contrario) è il primo pilastro da proteggere sempre e in ogni epoca e in ogni territorio;
- ingredienti essenziali dell’economia libera sono: a) il mercato che non deve essere truccato e manipolato come sono la maggior parte dei mercati oggi e soprattutto quelli dei big data e dell’informazione; b) la libera impresa deve avere, se di grandi dimensioni, una governance che garantisca la presenza al vertice di tutti i soggetti che in essa operano (le grandi imprese sono enti politici e come tali vanno regolamentate);
- la libera impresa e il libero mercato sono sempre a rischio e tendono a degenerare in strutture di potere non controllate;
- per contenere queste degenerazioni la risposta è una sola: la democrazia, trasparente, solidale, efficace.
Quindi, dobbiamo impegnarci sempre ed in ogni momento per l’economia libera, per il libero mercato, per l’impresa responsabile, per il vaglio democratico sul funzionamento di tutti i citati pilastri (compresa la grande impresa).
Questa è stata la mia rotta in tanti decenni e lo è anche oggi e lo sarà per il piccolo futuro che mi resta. Il padre di Italo Calvino, che era un eccellente botanico, diceva che bisogna fare come le piante che immettono nell’aria milioni di semi, con la certezza (non la semplice speranza) che qualcuno attecchirà.
Poiché sarebbe troppo lungo sviluppare, in questa sede, questi concetti, propongo alcune letture:
- Carlo Cattaneo, Industria e Morale, con mia introduzione, nella quale si scopre che i temi del rispetto dell’uomo (omnium rerum mensura homo) e il rispetto dell’ambiente non sono solo del nostro tempo e non li ha scoperti Papa Francesco;
- L’Impresa Responsabile, che è una sintesi del mio pensiero sull’impresa e che illustra che la distinzione da fare non è tra impresa più o meno capitalista ma tra impresa responsabile e impresa irresponsabile;
- un bel libro (che è una tesi di laurea) su Economia Sociale di Mercato, dove a pag. 247 c’è un mio ampio scritto su “l’economia sociale di mercato e la Dottrina Sociale della Chiesa”, cioè degli unici due filoni di pensiero che resistono e sopravvivono al crollo di tutti gli altri filoni di pensiero, dal collettivismo al neoliberismo;
- una mia raccolta di scritti sui rapporti tra Chiesa ed economia che sono vecchi ma non datati. Essi contengono molti spunti, ancora oggi interessanti, ma, soprattutto, servono a capire che aveva ragione Goethe quando scrisse. Tutti i rimedi sono già stati scoperti e sono conosciuti; quello che ci rimane è solo di applicarli.
di Marco Vitale, economista d'impresa, presidente di VitaleZane&Co.