Cosa legge un futurista?
Un viaggio attraverso i libri che compongono la “dieta intellettuale” di uno studioso di futuro, tra storia, matematica, intelligenza artificiale e lavoro.
Non saprei dare una risposta generale alla domanda “Cosa legge un futurista”, ma posso raccontare cosa mi è capitato di leggere negli ultimi mesi. Lasciando da parte gli innumerevoli report che ho dovuto usare, quali libri ho letto in questi ultimi mesi?
Senza alcun ordine particolare, fra i libri che mi hanno colpito segnalerei due lavori di “Yoda”, il nickname di Andrew Marshall: Reflections on net assessment e The last warrior. In questi testi si racconta che al terzo piano dell’anello A del Pentagono (il più interno), c’è un ufficio a cui si può accedere solo se si hanno credenziali particolarmente elevate, perché è la sede di alcuni dei report più severamente classificati degli Stati Uniti. Si tratta dell’Office of net assessment (Ona), un think tank a servizio diretto del Segretario americano della Difesa. Semplificando un po’, è uno dei luoghi in cui viene elaborata la strategia militare degli Stati uniti. Per oltre quaranta anni Ona è stato diretto da Marshall, il che significa che Marshall ha lavorato con molti diversi Presidenti e Segretari della difesa. Senza entrare nel merito di cosa sia il net assessment (vi dedicherò una prossima uscita del blog), mi limito a notare che gli studi di futuro sono nati negli anni ’50 in ambito militare (specificamente alla Rand corporation, a cui “Yoda” ha lavorato prima di assumere la direzione di Ona). Di solito si dice: poi gli studi di futuro sono diventati civili (pun intended) e l’attenzione generale si limita a tracciare il loro sviluppo nel mondo del business, istituzionale o della società civile, come se non ci fossero più stati interessanti sviluppi interni al mondo militare. Credo si tratti di una lettura inutilmente unilaterale.
Ho poi gradito due volumi di Henry Kissinger, Leadership e Ordine mondiale. Il primo ricostruisce le biografie di sei leader del 20esimo secolo (Adenauer, De Gaulle, Nixon, Sadat, Lee e Thatcher) spiegando le scelte che si sono trovati a fare e le loro ragioni. Anche se a volte bisogna leggere un po’ fra le righe, si tratta di un’ottima ricostruzione delle loro diverse personalità. Da Ordine mondiale ricavo l’idea di Prima e Seconda Guerra mondiale come la seconda Guerra dei trent’anni, quella in cui l’Europa ha perso per propria incapacità il ruolo di guida mondiale che precedentemente aveva.
Thomas Chermack, Using scenarios e Lars Gerhold, Standards of futures research meritano un cenno: buono il primo, anche se a tratti un po’ semplicistico, deludente il secondo.
Ravin Jesuthasan e John W. Boudreau, Work without jobs, riescono a smontare l’idea che l’automazione necessariamente eliminerà lavoro. Sarebbe meglio affermare che l’automazione eliminerà il lavoro solo se non riusciremo a modificare l’organizzazione del lavoro in modo da sfruttare adeguatamente le potenzialità delle nuove tecnologie. L’eliminazione del lavoro sarà un nostro fallimento, non una conseguenza necessaria delle nuove tecnologie. Un testo da suggerire a politici, dirigenti aziendali e sindacalisti.
Per ultimo, ma decisamente non all’ultimo posto, mi sono letteralmente tuffato nel volume The joy of abstraction, di Eugenia Cheng. Si tratta di un’introduzione alla teoria matematica delle categorie, a volte denominata la matematica della matematica. Di regola, i manuali di teoria delle categorie sono pensati per matematici e spesso sono una barriera insormontabile anche per matematici abituati a lavorare all’interno di altre teorie matematiche. Il lavoro di Cheng è unico nel suo genere perché punta a sviluppare l’intuizione che sostiene le scelte tecniche, ricorrendo non solo a esempi interni all’universo delle matematiche ma anche alla vita ordinaria e alle sue ingiustizie (esplicito riferimento al reticolo dell’ingiustizia ampiamente esemplificato da Cheng).
Per assaporare un aspetto del lavoro si consideri il seguente esempio: ogni persona è un individuo, diverso da ogni altro individuo, eppure per certi aspetti siamo tutti uguali (per dire, davanti alla legge, o come soggetti etici). Come si spiega l’essere tutti uguali (davanti alla legge) con l’essere tutti diversi (come individui)? L’identità funziona come un interruttore e ammette solo due possibilità (due oggetti o sono identici e quindi sono lo stesso oggetto o sono diversi, e non ci sono altre possibilità). L’equivalenza è più sottile e permette di dire che due oggetti sono equivalenti da un certo punto di vista ma non da un altro punto di vista. La teoria delle categorie è il contesto ideale per sviluppare una teoria rigorosa dei diversi livelli della stessità, a livelli che permettono di formulare versioni sempre più sofisticate di essere lo stesso (da un certo punto di vista). Per farlo la teoria delle categorie adotta un approccio totalmente relazionale: gli oggetti non sono mai analizzati dal punto di vista dei loro elementi, ma sempre dal punto di vista delle relazioni (funzioni, morfismi, funtori, etc.) che hanno con altri oggetti. Una affascinante avventura intellettuale.
Una chiosa finale: sono sempre stato un lettore avido e posso leggere molto anche perché non guardo la televisione e non leggo giornali. Al massimo scorro i titoli su internet. Si tratta ovviamente di una mia personale idiosincrasia, che mi aiuta a non farmi catturare dal rumore di fondo. Un punto però ha valore generale e può assomigliare a un suggerimento: prima di ogni altro aspetto, un futurista è una persona curiosa e ha necessità di una variegata dieta intellettuale perché il mondo è sempre più ricco delle idee che possiamo avere.