Dobbiamo essere ottimisti o pessimisti sul mondo post Covid?
Alcuni cambiamenti potrebbero essere inquietanti. Ma forse avremo più solidarietà e fiducia nelle competenze.
di Andrea De Tommasi
“Concediti troppo spesso all’ottimismo e ci sarà troppo poco per cui lottare”, ha scritto Jennifer Senior in un editoriale sul New York Times dal titolo eloquente: “Elogio del pessimismo”. L’assunto è che il Coronavirus sia una “primavera” per i pessimisti, dove ogni cupo pensiero avuto sulla Pandemia si è più o meno verificato. Mentre il mondo inizia lentamente a riprendersi dal Covid-19 e appare in lontananza l’orizzonte di un ritorno alla normalità, sentimenti, speranze e prospettive della vita dopo il virus sono ancora da decifrare. Secondo alcuni, le persone potrebbero riscoprirsi contemporaneamente ottimiste e pessimiste. Tuttavia, di fronte alla minaccia della crisi economica e sociale, ciascuno, secondo le proprie inclinazioni, può essere responsabilmente fiducioso o saggiamente prudente.
“La tendenza delle persone ad essere ottimiste o pessimiste dipende da una varietà di fattori, tra cui il loro temperamento, le informazioni che consumano e dove vivono nel mondo”, ha affermato al quotidiano The globe and mail Andrew Ryder, psicologo clinico e professore associato alla Concordia University in Canada. Ad esempio, qualcuno potrebbero essere ottimista su come la Pandemia lo influenzerà personalmente, ma pessimista sul suo effetto sulla società in generale.
Nessuno sa esattamente cosa accadrà nel mondo post Covid-19 e alcuni cambiamenti potrebbero essere inquietanti: gli scenari geopolitici, le relazioni sociali, il modo di viaggiare o anche soltanto come uscire o andare al ristorante. Come rileva un approfondimento apparso su Politico magazine, “i momenti di crisi presentano anche opportunità: un uso più sofisticato e flessibile della tecnologia, il valore della scienza, la serietà della politica, meno individualismo”.
Il magazine ha raccolto in una copertina di marzo 34 articoli di intellettuali che hanno provato a disegnare gli scenari del mondo che verrà. Mark Lawrence Schrad, professore associato di scienze politiche, ha lodato il “nuovo patriottismo” dei medici e degli infermieri che hanno coltivato la salute e la vita delle loro comunità. Peter T. Coleman, psicologo sociale alla Columbia university, ha previsto un “declino della polarizzazione” politica e culturale verso una maggiore solidarietà nazionale: le persone iniziano a guardare oltre le loro differenze di fronte a una minaccia esterna condivisa. Secondo Tom Nichols, accademico e scrittore statunitense, la crisi del Covid-19 ha già costretto le persone ad accettare che le competenze contano e che il governo “è una questione per persone serie”, accelerando un ritorno alla fiducia negli esperti.
“Forse possiamo usare il nostro tempo con i nostri dispositivi per ripensare i tipi di comunità che possiamo creare attraverso di loro”, ha affermato Sherry Turkle, direttore fondatore del Mit initiative on technology and self, evidenziando la grande quantità di eventi musicali e non solo trasmessi in streaming nei giorni del distanziamento sociale. Ezekiel J. Emanuel, presidente del dipartimento di etica medica e politica sanitaria dell'università della Pennsylvania, ha previsto un’ascesa della telemedicina: “La pandemia cambierà il paradigma del luogo in cui si svolge la nostra assistenza sanitaria. Per necessità, le visite in remoto potrebbero salire alle stelle”. Theda Skocpol, sociologa all’università di Harvard, ha puntato l’attenzione sul rischio che il divario di disuguaglianza sia aggravato da questa crisi, allargando le disparità in termini di reddito e accesso ai servizi.
di Andrea De Tommasi