“Neve diversa”: il cambio di paradigma per un turismo invernale sostenibile
Un rapporto di Legambiente si muove alla ricerca di una possibile soluzione per il futuro della montagna, tra buone pratiche, tecnologie innovative e tools digitali: per uno sviluppo efficace nel rispetto delle risorse naturali.
“Possiamo cambiare il nostro rapporto con la neve? Cambiare il nostro rapporto con la neve vuol dire beneficiarne quando arriva e non pretenderla a tutti i costi quando non c’è”, afferma Legambiente nel rapporto “Neve diversa: il turismo invernale nell’era della crisi climatica” pubblicato il 7 marzo. Mentre la crisi climatica sta picchiando duro sulla stagione sciistica 2022/203 (quasi una gara maschile di Coppa del mondo su cinque cancellata o rinviata), l’associazione ambientalista indaga sulla situazione attuale delle località di montagna e sulle diverse criticità, provocate principalmente da siccità e innalzamento delle temperature. L’obiettivo dello studio è quello di trovare delle risposte immediate per arginare le problematiche più rilevanti cercando di attuare dei progetti in grado di ridare vita ad una montagna ormai pensata e percepita quasi esclusivamente come località sciistica, nella valorizzazione degli aspetti ambientali, economici e, non di minor importanza, sociali. Nel Rapporto vengono riportate dieci “brutte idee” che fanno da contraltare ad altrettante “buone idee da copiare”. Le prime, ripartite equamente tra Alpi e Appennini, sono molto diverse tra di loro e raccontano di investimenti non solo dannosi per l’ambiente, ma che soprattutto appaiono anacronistici rispetto ai tempi.
La neve artificiale
L’Italia, stando alle ultime stime disponibili, è tra i Paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale, con il 90% di piste innevate artificialmente, seguita da Austria (70%), Svizzera (50%), Francia (39%). La percentuale più bassa è in Germania, con il 25%. Per Legambiente il sistema di innevamento artificiale non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio. Inoltre l’innevamento artificiale richiede sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie ed enormi oneri a carico della pubblica amministrazione. Per questi motivi Legambiente torna a ribadire “l’urgenza di ripensare ad un nuovo modello di turismo invernale montano ecosostenibile”, partendo da una diversificazione delle attività.
Progetto Beyondsnow. Il progetto, che vede riuniti enti (pubblici e privati) ed esperti di sei Paesi alpini (Italia, Francia, Svizzera, Germania, Austria e Slovenia), elaborerà percorsi di sviluppo sostenibile, processi di transizione e soluzioni attuabili. Tra le competenze dei partner di progetto si annoverano la ricerca scientifica e applicata di rilievo internazionale, lo sviluppo di tecnologie innovative, il coinvolgimento attivo della cittadinanza e degli stakeholder, l’approccio ecologico. Grazie a questi studi verrà elaborata una mappa delle vulnerabilità e verranno proposte possibili alternative di sviluppo turistico. Un modello adattivo di resilienza che, supportato da uno strumento digitale accessibile gratuitamente, il Resilience Decision-Making Digital Tool, renderà possibile fornire informazioni mirate alle autorità locali, agli operatori turistici e alle comunità sui futuri scenari climatici ed economici nelle aree pilota. L’Rdmdt verrà reso pubblicamente disponibile attraverso il sito web del progetto, dei partner e degli osservatori, coinvolgendo anche le autorità locali, regionali, nazionali ed europee, anche con l’obiettivo di creare delle linee guida politiche per una regione alpina resiliente, promuovendo una fondamentale riflessione sui cambiamenti da attuare nei territori alpini a causa del cambiamento climatico.
La mobilitazione
L’iniziativa Reimagine Winter, promossa dal collettivo di The Outdoor Manifesto a cui ha aderito anche il Club Alpino italiano, ha visto lo scorso 12 marzo attivisti e associazioni ambientaliste scendere in piazza con lo scopo di contrastare i finanziamenti e i progetti legati alla realizzazione di nuovi impianti, piste da sci, chiedendo massima trasparenza riguardo i flussi economici provenienti da risorse pubbliche. Sottolineata dagli attivisti la necessità di sviluppare dei processi partecipativi capaci di tenere conto dell’opinione della popolazione. L’obiettivo è quello di far fronte alla paradossale condizione ambientale, economica e sociale in cui si trovano le “terre alte” promuovendo una condizione di equilibrio reale tra abitanti, territorio e turismo preservando, al contempo, l’integrità delle risorse naturali.
Un approccio sociologico
“Il nostro Paese, dal dopoguerra, ha iniziato a vedere la montagna come luogo dello svago per gli abitanti delle città”, ha dichiarato nel Rapporto il sociologo ambientale all’Università di Trieste e membro del Comitato Scientifico di Legambiente Giovanni Carrosio. “Lo sci è sempre stato un bene posizionale, che consente cioè alle persone di posizionarsi nella scala sociale, o di scalarla in modo fittizio aspirando ai consumi dei ceti benestanti”. Secondo Carrosio, “la monocoltura dello sci ha infatti concentrato la ricchezza e contribuito alla desertificazione produttiva delle zone montane, che soltanto da pochi anni vedere nascere nuove attività legate alla terra, all’artigianato e a volte anche all’industria high-tech. In gran parte delle valli la ricettività turistica è stata costruita sulle economie di scala dello sci, ed è tanto complicato quanto necessario convertirla ad altro”.
Resta da capire, secondo Legambiente, quanto possa essere ampliata l’offerta del turismo all season e in quanta parte questo si possa affiancare, o sostituire, a quello tradizionale degli impianti sciistici. In questo processo sarà di grande importanza il ruolo giocato dalla politica che dovrà essere all’altezza di trovare idee capaci di aggregare la collettività.
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di Andrea Stefanoni