Pericolo sportwashing
Lo sport può essere un mezzo di condivisione e inclusione, ma anche uno strumento per mascherare il mancato rispetto di alcuni diritti universali. Il caso dei Mondiali in Qatar e delle Olimpiadi invernali in Cina.
di Rossella Sobrero
Lo sport è da sempre considerato un importante veicolo di inclusione e uno dei mezzi per promuovere l’educazione, la salute, la pace. Molto spesso viene riconosciuto allo sport un ruolo importante anche per combattere la violenza e il razzismo.
Ma purtroppo non è sempre così. Nelle ultime settimane si è parlato di un grande evento sportivo come i Mondiali di calcio in Qatar in modo non positivo: in questa occasione è stato utilizzato il termine sportwashing, una declinazione di greenwashing parola che nasce in ambito ambientale ma viene utilizzata per indicare in generale azioni definite di “ecologia di facciata”.
Il termine sportwashing sottolinea la strumentalizzazione di un evento sportivo per promuovere una diversa immagine di un paese che cerca di nascondere, per esempio, il mancato rispetto dei diritti umani. Lo sport diventa così uno strumento per mascherare e distogliere l’attenzione dal mancato rispetto degli impegni presi aderendo agli obiettivi che le Nazioni unite si sono poste in materia di sostenibilità anche sociale.
Tra i grandi eventi sportivi del 2022 che hanno fatto parlare di sportwashing ci sono state, oltre ai Mondiali di calcio in Qatar, le Olimpiadi invernali in Cina.
L’accusa di sportwashing può essere rivolta anche alle aziende. Per esempio la petrolchimica Ineos negli ultimi anni ha investito nello sport 470 milioni di euro sostenendo diverse discipline: calcio, ciclismo, atletica, vela, Formula 1.
di Rossella Sobrero, presidente Ferpi