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Space Economy: chi saranno i vincitori e i perdenti di questa nuova corsa all’oro?

Con un giro d’affari da 350 miliardi di dollari nel 2020, il settore spaziale è una delle terre promesse dei gruppi d’investimento. Italia tra le prime in Europa per spesa pubblica. Ma occhio alle insidie per la sostenibilità.

di Milos Skakal e Flavio Natale

Il NewSpace, o la space economy, è un termine che indica la partecipazione di imprese private al mercato del settore spaziale, differenziandosi in ciò dal traditional space, basato sugli investimenti pubblici. Secondo uno studio pubblicato dalla banca d’investimento Morgan Stanley, il valore prodotto dall’industriale spaziale, pubblica e privata, nel 2020 era di 350 miliardi di dollari. Le previsioni stimavano che entro il 2040 si potesse arrivare a una produzione di un valore pari a mille miliardi di dollari, mentre oggi, secondo Enrico Sassoon, direttore di Harvard business review Italia, questa cifra potrebbe essere raggiunta nei prossimi dieci anni.

Questo settore si sta infatti evolvendo a una velocità vertiginosa, e la trasversalità delle sue applicazioni (telecomunicazioni, turismo spaziale, colonizzazione di nuovi pianeti) ha portato all’ingresso nel settore di numerose aziende private, tra cui le famose SpaceX di Elon Musk e Blue Origin di Jeff Bezos, capaci di approfittare dell’abbassamento dei costi di lancio e delle innovazioni tecnologiche legate, ad esempio, alla miniaturizzazione dei satelliti .

Evoluzione degli oggetti in orbita intorno alla Terra secondo tipologia (Esa’s space environment report 2021)

Secondo Morning future, che ha intervistato sulla questione Paolo Trucco e Antonio Ghezzi, entrambi professori del Politecnico di Milano, e Angelo Cavallo, direttore dell’Osservatorio per la space economy del Politecnico di Milano, gli investimenti pubblici globali nell'economia spaziale ammontano a circa 90 miliardi di dollari, di cui poco meno della metà provengono dagli Stati Uniti. Gli investimenti nel nostro Paese sono decisamente più esigui (1,13 miliardi nel 2018), eppure, secondo il sito di approfondimento, lo spazio è al centro della strategia dell’Italia, uno dei sette Paesi al mondo la cui agenzia spaziale può contare su un budget di oltre un miliardo, oltre a essere quinta a livello globale e seconda in Europa in termini di spesa per l'economia spaziale in proporzione al Pil (0,55%). Il nostro Paese è anche il terzo maggior contributore dell'Agenzia spaziale europea (Esa) secondo le stime del 2020, con 665,8 milioni di euro, dietro la Germania (1311,7 milioni di euro) e la Francia (981,7 milioni di euro). Il governo ha anche varato un “Piano strategico space economy”, del valore di 4,7 miliardi di euro, per potenziare ulteriormente lo sviluppo del settore.

Secondo Morning future, le potenzialità della space economy sono infinite: “Questo settore è centrale per la diffusione della digitalizzazione, poiché crea le infrastrutture necessarie per l'innovazione digitale e aiuta a ridurre il divario digitale tra Paesi attraverso lo sviluppo di Internet via satellite”. Inoltre, si legge sempre sul sito, la space economy sta attirando un numero crescente di start-up, “che sono state in grado di raccogliere 4,8 miliardi di dollari di finanziamenti internazionali solo nel 2020”. La space economy pone inoltre le basi per servizi innovativi in numerosi settori tradizionali, come sanità, agricoltura, servizi pubblici, assicurazioni, logistica, trasporti e altri settori di frontiera come l'estrazione spaziale e il turismo. "Un numero sempre maggiore di attori diversificati si rivolge all'economia spaziale con crescente interesse per l'impatto che può avere su diversi settori", ha commentato a questo proposito Paolo Trucco, professore del Politecnico di Milano.

“Il settore spaziale sta affrontando un nuovo ciclo nel suo sviluppo, con tecnologie mature ormai ampiamente disponibili e progetti commerciali innovativi promossi da segnali e dati satellitari”, ha commentato Mattia Olivari, economista dell’Ocse, in un approfondimento pubblicato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). “Tra micro-satelliti e mega-costellazioni di centinaia di satelliti, tra piccoli vettori e banda larga, tra l’Internet of Things e i voli umani commerciali nello spazio, promettenti e sofisticati sistemi e tecnologie spaziali stanno rapidamente rivoluzionando il settore”. In particolare, gli ultimi anni hanno visto l’espansione del cosiddetto “segmento downstream” della space economy, settore rivolto alla fornitura di tecnologie satellitari, che rientra nel più ampio campo delle telecomunicazioni, servizi televisivi satellitari, prodotti geo-spaziali, meteorologia e servizi di geo-localizzazione. “Le telecomunicazioni satellitari commerciali sono state le prime a creare legami con un'ampia gamma di aziende, che non avevano precedenti collegamenti con la comunità spaziale, principalmente grazie alla fornitura di servizi di trasmissione televisiva”, aggiunge Olivari. Secondo l’Ocse, però, il mercato delle telecomunicazioni si trova in una fase di incertezza, dovuta alle rapide evoluzioni delle tecnologie terrestri e spaziali (come le fibre ottiche o il 5G) ma anche delle richieste dei clienti.

Nonostante questo, circa venti aziende private hanno annunciato “piani per il lancio di nuovi satelliti nei prossimi cinque anni per la fornitura di servizi satellitari a banda larga” nelle zone più rurali e remote del mondo. Queste società sono supportate da operatori satellitari, come accade per O3b (supportata da Ses), LeoSat da Hispasat e Sky Perfect Jsat, ma anche la stessa Starlink, supportata da SpaceX. Gli investimenti, secondo l’Ocse, “potrebbero variare da 3,5 a 12 miliardi di dollari per una costellazione di satelliti di prima generazione, a seconda del numero di satelliti e dell'infrastruttura spaziale e terrestre scelta”.

Gli space debris

Secondo l’Agenzia spaziale europea, attualmente esistono oltre 129 milioni di oggetti più grandi di un millimetro orbitanti attorno alla Terra, tra satelliti inattivi e altri materiali di scarto proveniente dalla Terra stessa. “I numeri che circolano sono impressionanti, specialmente se facciamo riferimento alla situazione attuale”, ha spiegato a Scienza in rete Patrizia Caraveo, autrice del libro Saving the Starry Night. “Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico, dall’inizio dell’era spaziale ad aprile 2021 sono stati lanciati 11.139 satelliti, 7.289 dei quali sono ancora in orbita. Di questi, circa quattromila sono attivi, i restanti sono guasti o spenti”. Il 57% di questi satelliti, aggiunge Caraveo, “sono stati lanciati negli ultimi quattro anni”, e solo nel 2020 ne sono stati lanciati 1.283. A questa cifra si aggiungono i dati proposti da McKinsey, secondo cui circa 70mila satelliti potrebbero presto entrare in orbita se i piani proposti dalle aziende private e dai player pubblici andranno a buon fine.

Questi detriti spaziali rappresentano un rischio molto serio perché l’impatto dei satelliti tra loro, tra altri veicoli spaziali o altri oggetti orbitanti potrebbe a sua volta generare ulteriori detriti, venendo così a generare la sindrome di Kessler, ovvero il rischio che l’insieme dei corpi costruiti dall’essere umano orbitanti intorno al globo “collassino”. Kessler ipotizzava già nel 1991 l’esistenza di un punto critico, dove la densità degli oggetti artificiali in orbita sarebbe diventata così alta da generare reazioni a catena, creando una nube di detriti capace di rendere lo spazio inaccessibile per centinaia di anni.

Una delle soluzioni, a questo punto, sarebbe agire prima che sia troppo tardi. A questo proposito, l’Esa ha commissionato ClearSpace-1, la prima missione al mondo per rimuovere i detriti spaziali, il cui lancio è previsto nel 2025. In caso contrario, "a meno che non vengano attivamente deorbitati, alcuni potrebbero rimanere lì per centinaia di anni”, commenta sempre McKinsey.

Nuove frontiere

Questa vera e propria febbre dello spazio non ha contagiato soltanto una stretta cerchia di miliardari: la possibilità di inviare satelliti a un prezzo molto ridotto ha aperto la strada infatti a una nuova generazione di imprenditori, i cosiddetti astropreneurs, piccole start-up specializzate spesso nella produzione di hardware e software, alla base delle tecnologie del settore. Secondo Joe Landon, vice presidente del Advanced programs development per Lockheed Martin, si svilupperà presto una economia “space for space”: l’offerta di beni e servizi necessari per effettuare operazioni nello spazio sarà fornita direttamente fuori dall’orbita terrestre. “Tutto ciò di cui c’è bisogna verrà prodotto nello spazio, utilizzando risorse estratte sui corpi celesti e […] prodotte grazie alle stampanti 3D”. Peter Platzer, co-fondatore e amministratore delegato di Spire Global, è convinto  che “entro il 2035 troveremo altre forme di vita nel nostro sistema solare. Stiamo arrivando al punto in cui gli operatori commerciali saranno capaci di inviare delle missioni cerca-vita su Marte e Venere a un costo molto inferiore rispetto al passato. Questo cambierà le regole del gioco, e credo che genererà ancora più interesse”.

Turismo spaziale e inquinamento

La possibilità di inviare persone nello spazio a prezzi ridotti rispetto al passato ha aperto le porte del cielo a un altro settore: quello del turismo spaziale. Il primo volo dell’azienda Blue Origin è partito il 20 luglio dello scorso anno, mentre solo nove giorni prima Richard Branson, fondatore del Virgin group, bucava il tetto dell’atmosfera con il suo Vss Unity. Secondo un articolo pubblicato recentemente su Cnn travel, tra soli tre anni potrebbe essere attivo il primo hotel spaziale “Pioneer station”, capace di ospitare 28 persone, mentre è prevista l’inaugurazione entro il 2027 della “Voyager station”, un’installazione orbitale con una capienza di 400 persone. Secondo Jess Harrington, analista di McKinsey, però, “Il turismo spaziale è ancora agli inizi. È come un ottovolante molto costoso”.

Questo settore, anche in vista del suo sviluppo futuro, pone delle problematiche, soprattutto dal punto di vista ambientale. La questione dell’inquinamento dovuto al lancio dei razzi è un tema ancora poco approfondito che merita un’attenzione particolare, e per spiegarlo adeguatamente è utile riportare alcune informazioni.

Per prima cosa, l’atmosfera terrestre è composta da vari strati, e, tra questi, due sono da distinguere: la troposfera, dove si sviluppa la vita terrestre, e la stratosfera, dove si accumula lo scudo di ozono che protegge il Pianeta dai raggi solari. Il vero problema ambientale non è causato dalla quantità di composti chimici utilizzati, per ora, ma dal fatto che i razzi bucano tutti gli strati dell’atmosfera. Infatti, è stato calcolato che il 100% dei lanci effettuati dagli umani nello spazio ha partecipato alla degradazione dello strato di ozono intorno al nostro pianeta. La concreta possibilità che il numero di missioni nello spazio aumenti di almeno dieci volte nei prossimi anni è perciò considerata un grave rischio per la stabilità dello strato di ozono. Loïs Miraux, dell’Università Mines ParisTech, sostiene che “I lanci di razzi diventeranno presto la maggiore fonte di emissioni di gas climalteranti di tutto il settore aerospaziale”. Il problema riguarda soprattutto l’accumulo di particelle come il black carbon, un agente chimico che “riflette” i raggi solari, responsabile del riscaldamento della stratosfera e del raffreddamento della troposfera. Sempre secondo Miraux, “Alcuni razzi possono emettere una quantità di black carbon circa 10mila volte superiore a quella dei moderni motori a turbina. Nel 2018, la quantità di black carbon emessa nella stratosfera dall’insieme di tutti i lanci di razzi è paragonabile a quella emessa dall'aviazione globale nello stesso anno”.

Lo spazio come luogo di conflitto o di cooperazione?

Il futuro dell’esplorazione spaziale è legato anche alle scelte politiche che verranno fatte dagli Stati per preservare lo spazio dai conflitti. Nel diritto internazionale esistono già da molti anni linee guida per promuovere la coesistenza pacifica tra gli interessi dei Paesi, come per esempio il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, siglato nel 1967 e ratificato da 111 paesi, che vieta il posizionamento di armamenti nucleari nello spazio extra-atmosferico. Quando è stato redatto, il testo aveva come obiettivo primario quello di limitare l’escalation nucleare durante la Guerra fredda e di garantire l’accesso allo spazio “a beneficio e nell’interesse di tutti i Paesi”. La tendenza che si sta invece riscontrando in questo periodo storico è quella dei “blocchi spaziali”, pool di Stati che, secondo Theodora Ogden, ricercatrice presso l’Arizona state university, si uniscono per far prevalere i loro interessi comuni. Ogden sottolinea che si stanno definendo due blocchi spaziali diversi per quanto riguarda la pianificazione di basi operazionali e l’apertura di giacimenti estrattivi sulla Luna: gli accordi di Artemis, a guida statunitense, e i cosiddetti Piani congiunti tra Cina e Russia. Per Svetla Ben-Itzhak, assistant professor in Space and international relations presso l’Air University in Alabama, “La storia mostra molti esempi di alleanze tra Stati sempre più stringenti che hanno poi portato a conflitti bellici. Finché l’adesione ai consorzi internazionale sullo spazio rimarrà aperta e permeabile a tutti gli Stati del mondo un futuro di cooperazione nel campo potrà essere costruito”.

L’Agenda 2030: un esempio virtuoso

Gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile sono stati un punto di riferimento anche nell’ambito della ricerca spaziale. Sotto l’egida del Global partnership for sustainable development data è stato messo a punto alla fine degli anni 2010 l’Africa regional data cube. L’iniziativa ha lo scopo di fornire a Ghana, Kenya, Sierra Leone, Senegal e Tanzania la possibilità di accedere alla tecnologia satellitare e di applicare i dati raccolti in settori come l’agricoltura, la sicurezza alimentare, la deforestazione, l’urbanizzazione, l’accesso all’acqua potabile e altro. In particolare, il progetto mira a essere reattivo, capace di elaborare situazioni complesse, inter-operativo e volto alla promozione di politiche sostenibili. L’utilizzo delle informazioni satellitari da parte di popolazioni che non hanno mai avuto accesso a questo tipo di servizi porterà importanti transizioni digitali che rivoluzioneranno la vita di milioni di persone. “All’inizio i dati erano classificati negli SDGs come strumento tecnico”, dichiara Brian D. Killough, del centro di ricerca Nasa Langley, “ma abbiamo imparato che sono un elemento essenziale della nostra vita e che ci aiutano a capire meglio le nostre abitudini”. Questo esempio porta a riflettere su quanto sia difficile trovare un equilibrio tra i limiti della ricerca spaziale, legati soprattutto agli impatti ambientali, e la necessità di diffondere le tecnologie satellitari per venire incontro alle esigenze di popolazioni del globo emarginate dal mondo digitale.

La space economy è un fenomeno che attrarrà sempre più capitali e investimenti nel prossimo futuro. Ma le incognite legate alla sostenibilità delle missioni extra-atmosferiche sono un macigno in un contesto dove le tensioni geopolitiche si acuiscono e dove i teatri di guerra si aprono in giro per il globo. La possibilità di regolare e utilizzare lo spazio per il benessere dell’intera specie umana e degli ecosistemi terrestri dipende dal buon senso politico dei governanti delle principali potenze mondiali. Ma, per ora, sembrano soffiare solo venti di guerra, così forti da rischiare di bucare la stratosfera.

fonte dell'immagine di copertina: alonesdj/123rf

mercoledì 15 giugno 2022