Valutare la sostenibilità dell’innovazione sociale
Non sempre si può parlare di innovazione sociale e non sempre l’innovazione sociale può divenire fattore di sviluppo sostenibile. La complessità della valutazione frena le azioni e gli impatti futuri.
di Renato Chahinian
Lo sviluppo sostenibile ormai è divenuto un termine di moda e tutti dichiarano di volerlo perseguire come fine della propria attività, se non della propria vita. Certamente in questi ultimi tempi molte persone ed organizzazioni si sono progressivamente avvicinate ai temi della sostenibilità e cercano di dimostrarlo con comportamenti etici e virtuosi. Ma poi, se andiamo a vedere le analisi ed i dati in materia, come ha fatto l’ASviS nelle sue recenti pubblicazioni, scopriamo che la situazione generale è in peggioramento e che soltanto in due Goal (tra i 17 dell’ONU) siamo migliorati nel biennio 2019/21 e che in altri due siamo rimasti stabili. E’ evidente che tutto questo fervore alla fine non si concretizza abbastanza, che molte volte si tratta di pura apparenza e che spesso si dichiarano le iniziative sostenibili, mentre si occultano quelle insostenibili.
Il problema risiede nel fatto che è facile presentare una qualsiasi attività come sostenibile senza un’adeguata valutazione degli effetti che questa produce nel medio – lungo termine nell’ambito dell’intera comunità di destinazione. Ma dobbiamo pure tener conto che la valutazione degli effetti diretti ed indiretti in questo campo è assai complessa e per di più non è stata ancora completamente definita né dalla normativa esistente, né dalla prassi dominante.
Allora tenteremo di rispondere a tale problema con qualche considerazione limitata all’innovazione sociale, che più frequentemente viene indicata come fattore risolutore di tutti i mali della nostra società.
Innovazione sociale e sviluppo sostenibile
Innanzi tutto, si deve escludere che ogni nuova iniziativa in campo sociale sia un’innovazione sociale. Spesso nuove attività vengono definite innovative soltanto perché sono diverse dalle precedenti, ma non tengono affatto conto che il nuovo deve essere migliore del vecchio, altrimenti (con altre novità non migliorative) si ottengono gli stessi risultati di prima (od, a volte, anche peggiori).
Per tener conto di ciò, occorre un minimo di ricerca preventiva dei più rilevanti effetti che probabilmente scaturiranno da quanto viene progettato e si deve arrivare almeno ad una valutazione sommaria dell’impatto complessivo. In questa fase si possono esaminare assieme varie soluzioni attuative di natura tecnologica, organizzativa e comportamentale, che solitamente accrescono l’intensità degli effetti desiderati. Ma, nella pratica, spesso si viene affascinati dalla novità dell’intuizione e si dà per scontato che questa possa sortire effetti positivi e si rinvia ogni valutazione (quando la si fa) soltanto a consuntivo.
Trovata un’innovazione sociale soddisfacente, bisogna appurare che questa sia foriera di sviluppo sostenibile, perché non tutte le innovazioni lo sono. Basti pensare, a titolo di mero esempio, ad un trattamento (pur giusto e benefico) dei dipendenti che si siano particolarmente distinti in azienda per reperire un’economica fonte di combustibili fossili! In termini più teorici, è chiaro che il beneficio dell’innovazione sociale deve essere non soltanto sociale, ma anche economico ed ambientale.
Lo sviluppo sostenibile, pertanto, si consegue a lunga scadenza, quando si sono manifestati tutti gli effetti derivanti da una certa iniziativa e questi devono essere positivi per tutte tre le dimensioni (economica, sociale ed ambientale) dello sviluppo medesimo. Altrimenti, i vantaggi di una dimensione vengono vanificati in tutto od in parte dagli svantaggi delle altre. Almeno, al crescere di una, si deve verificare un impatto non negativo nelle altre due.
E’ questa una delle sfide più forti che comporta la ricerca dello sviluppo sostenibile, ma necessaria, in quanto un impatto economico negativo comporta una riduzione futura dello stesso benessere sociale, mentre un impatto ambientale negativo esige maggiori costi futuri di risanamento e più aspre tensioni sociali di adattamento.
Anche qui, nella realtà pratica, l’attenzione delle innovazioni sociali è rivolta prevalentemente ai soli effetti sociali conseguenti e non si tiene conto degli altri aspetti. Infatti, nel sociale anche più meritorio si possono verificare inefficienze evitabili o utilizzi di mezzi e strumenti non ecologici.
A tale proposito, una forma di investimento che tenga conto dell’esigenza ora richiamata è quella che viene realizzata dalla finanza sostenibile, la quale riguarda investimenti (sociali e/o ambientali) che devono permettere, oltre al recupero del capitale investito, anche un impatto economico positivo, che si traduce in un equo profitto. In questo modo, viene soddisfatto il fine sociale e, parimenti, l’operazione non crea perdite economiche. Per quanto riguarda l’equo profitto, poi, è da osservare che a breve si rinuncia ovviamente al massimo profitto, ma a lungo termine (il quale rappresenta l’orizzonte determinante dello sviluppo sostenibile) è proprio lo stesso equo profitto a portare al massimo profitto, perché si creano tante nuove opportunità successive e si riducono tutti gli effetti negativi indotti da una finanza non sostenibile.
Obiettivi ed operatori sociali
Passando in rassegna i 17 obiettivi dell’Agenda ONU, possiamo verificare che tutti hanno qualche riferimento sociale e sono collegati tra loro, anche se alcuni sono più specifici ed importanti. Volendo stabilire una priorità di ordine generale, non si può fare a meno di assegnare il primato al Goal 8 e particolarmente al lavoro dignitoso. Quest'ultimo, innanzi tutto, appare come essenziale per il conseguimento di una crescita economica sostenibile (seconda parte dello stesso obiettivo 8), in quanto soltanto con condizioni di lavoro dignitose per il prestatore e funzionali alla produzione si possono creare quelle sinergie di intenti che assicurano stabilmente la massima produttività in un ambiente di sostenibilità.
Ma il lavoro dignitoso è anche quello che risolve molti altri problemi sociali, quali la povertà, la fame, la salute e così via, perché in questo modo diamo a tutti la possibilità di essere economicamente autosufficienti e di procurarsi tutto quanto serve. Pertanto, se vogliamo ottenere altri vantaggi sociali, più che puntare sulla carità e sull’assistenzialismo (eticamente encomiabili, ma che non risolvono il problema), dobbiamo concentrarci sull’espansione del lavoro dignitoso, sia in favore dei disoccupati che degli occupati il cui lavoro non può considerarsi tale.
Un altro argomento su cui conviene riflettere è incentrato sulla figura dell’operatore sociale. Fino a qualche tempo fa l’iniziativa sociale era quasi esclusivamente intrapresa da organizzazioni del terzo settore, ma ora sempre più si chiedono interventi dell’ente pubblico (non soltanto a livello di supporto finanziario, ma anche operativo e regolatorio) e, in connessione con la responsabilità sociale d’impresa, pure tutte le aziende private sono tenute ad intraprendere attività più o meno estese con fini sociali. Possiamo dire che ora tutte le organizzazioni di qualsiasi tipo sono operatori sociali e quindi devono uniformarsi a criteri di valutazione sociali, senza trascurare quelli economici e di compatibilità ambientale.
Come si può notare, è una sfida non indifferente che coinvolge tutte le organizzazioni, ma anche tutti noi, come lavoratori nelle organizzazioni (che dovrebbero fare corrette valutazioni), come consumatori di beni e servizi (che dovrebbero essere sostenibili) e come cittadini (che dovremmo eleggere chi si preoccupa maggiormente della sostenibilità).
La complessa valutazione dell’innovazione sociale sostenibile
Non è qui il caso di approfondire un problema tanto complesso, ma si possono indicare alcune linee – guida.
Proprio per rendere riconoscibili gli investimenti sostenibili da quelli che non lo sono (o lo sono soltanto in parte: vedi i molti casi di social washing e green washing) l’Unione Europea ha previsto una dichiarazione non finanziaria per le maggiori imprese, con alcuni indirizzi di trasparenza per rendere sempre più palese il grado di sostenibilità degli investimenti effettuati. Tali indirizzi si stanno progressivamente affinando e saranno estesi gradualmente anche alle organizzazioni di dimensioni minori. Ma in realtà siamo ancora abbastanza lontani da una valutazione che permetta un giudizio sintetico di promozione o di bocciatura della strategia di sostenibilità di una qualsiasi organizzazione.
Inoltre, la stessa UE ha classificato alcune pratiche secondo il loro grado di sostenibilità (tassonomia) dal punto di vista ambientale e recentemente lo sta facendo pure dal punto di vista sociale. Ma la necessità di venire incontro alle esigenze del nostro sistema produttivo assillato dalla crisi energetica ha già causato qualche compromesso, per cui al momento sono sostenibili anche tutte le produzioni che prevedono consumo di gas (che provoca emissioni climalteranti) e di energia nucleare (che comporta vari rischi di sicurezza), ritardando così il ricorso alle fonti rinnovabili (solare ed eolico). E’ probabile, quindi, che anche per il sociale non si arrivi ad una tassonomia molto rigida.
In una tale situazione di carenza, sia nelle capacità di pianificazione delle organizzazioni in prospettiva sostenibile, sia negli orientamenti in questa direzione da parte degli operatori e degli investimenti, è ben difficile che riusciamo a conseguire tutti gli obiettivi ONU entro il 2030, a meno che non si verifichi qualche fatto nuovo oggi non ipotizzabile.
Le due circostanze vincenti potrebbero essere: una governance più sensibile a questi problemi, che attualmente non si riscontra, oppure un movimento dal basso della società civile (desiderosa di rendere concrete le tante aspettative ora disattese) che desse maggiore impulso a pratiche di valutazione corrette, sommariamente qui indicate. Eppure l’interesse che si sta creando intorno alle crescenti iniziative di successo sostenibile fanno ben sperare, ma la strada è ancora lunga perché la massa critica necessaria per un balzo significativo in avanti non può essere vanificata da tanti atteggiamenti ancora rinunciatari od addirittura contrari nei fatti (anche se non più nelle ideologie).
di Renato Chahinian, consulente in Economia e finanza dello sviluppo sostenibile
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