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Addio al turismo consumista: arriva la frugalità intelligente

La pandemia ha materializzato nella mente di milioni di persone una minaccia alla propria incolumità. Quando ci rimetteremo in marcia saremo più grandi, più maturi, più pacati. 29/07/20

di Valentina Doorly

 

L’industria del Turismo & Ospitalità italiana si trova nel pieno di un cataclisma che sta sconquassando il nostro fondale e plasmando un nuovo scenario. Ne usciremo provati, consolidati, ma anche con nuovi e migliorativi business models. I comparti si sono disposti sulla scala di rilevanza del danno subito, proprio come pronosticato in un mio articolo di marzo: crollo delle città d’arte e mete dipendenti dal turismo internazionale; annientamento del comparto croceristico; ecatombe del turismo d’affari; requiem per le terme e il turismo della terza età. Afflussi capillari e robusti, invece, nelle mete minori, le campagne, le seconde case, le case dei nonni.

Fiducia confermata a località vicine e familiari, da sempre connotate da un rapporto di empatia con il cliente (la Romagna, il sorriso dell’Italia). Boom del turismo italiano in montagna, junghianamente percepita come luogo ideale dove andare a nascondersi, salvo poi ritrovarsi tutti nel rifugio di fondovalle davanti alla irresistibile fila di strudel. I numeri torneranno, la calma seguirà alla tempesta, ma sarà un modello di consumo turistico rinnovato e cambiato in alcune caratteristiche fondamentali.

La pandemia ha materializzato nella mente di milioni di persone una vera e propria minaccia alla propria incolumità, esperienza che, ci preme ricordare, è del tutto inedita per generazioni e generazioni che, dal 1945 in poi, non hanno mai più dovuto temere per la propria vita. Il trauma richiederà tempo per guarire, ma resterà interiorizzato, una cicatrice che ci ricorderà per sempre la precarietà della nostra condizione terrestre conferendo al nostro pensiero, e quindi al nostro comportamento, uno spessore che prima non aveva.

La sospensione brutale e assoluta della giostra cacofonica dei consumi è stata un’esperienza surreale e trasformativa per quasi tutti. Se ci avessero anticipato che, dall’oggi al domani non avremmo più potuto consumare niente se non generi di prima necessità e fare niente se non respirare, mangiare dormire non saremmo neanche stati in grado di concepirlo. Eppure questo è stato per molti un gigantesco esercizio di riabilitazione che ha stoppato routine di over-spending rimettendoci davanti allo specchio delle cose essenziali della vita. Moltissimi/e si sono accorti di avere armadi debordanti di fast fashion inutile, utili solo ad alimentare la nostra compulsione. Di aver speso negli anni precedenti cifre discutibili in consumi completamente velleitari ed effimeri. Molti si sono persino accorti di poter fare allegramente a meno dell’odore sintetico della palestra, sostituita con esercizi al parco.

Quasi tutti hanno riconsiderato i propri spending patterns, modelli di spesa, e depennato diverse voci. Nel nostro settore, le compagnie aeree low-cost, Ryanair in primis, ci avevano convinti che volare potesse e dovesse essere meno costoso di una pizza e un hamburger. Che si potessero e quindi, per un malinteso senso di progresso e innovazione, dovessero effettuare più viaggi possibili, continui, a destra e a manca, qualche volta anche a casaccio. The more the merrier, tanto più tanto meglio.

Un modello basato su volumi monumentali: la compagnia aerea è certamente in ansia all’idea che potremmo adesso aver perso il ritmo, l’abitudine e l’appetito. Come in agricoltura, in cui la saggia rotazione delle colture impone la messa riposo dei campi ogni tre anni, lasciando alla terra il tempo di rigenerare i suoi nutrienti e il suo humus, la pandemia ha messo a riposo forzato il grande campo della società e con esso, le nostre menti, che non riposavano da decenni. Una corsa consumistica senza riflessione e, ahimé, spesso senza gestione alcuna dei territori, delle destinazioni e degli assets.

Quando ci rimetteremo in marcia saremo più grandi, più maturi, più pacati. Verrano premiati i prodotti turistici che, negli anni, hanno diligentemente investito nel loro prodotto con regolarità, creando, ad esempio, una ricettività fresca, al passo coi tempi, rinnovata negli arredi, negli stili e nei servizi. Connotata da pennellate locali in lungo e in largo, che, al buffet della colazione, non offre formaggio industriale a fette sui vassoi di metallo ovali da mensa e pane par-baked che era già cadavere prima di arrivare in quel cestino. Pronta a regalare al cliente quel piccolo extra, quella sorpresa gentile che viene solo e sempre dal piacere di chi ama fare il proprio mestiere e si ricorda il significato della parola ospitalità. L’ospitalità, dovrà, ad esempio, essere necessariamente alfiere del proprio territorio. Il cost control è assolutamente gestibile con successo.

Seppur l’immensa diversità di un tessuto imprenditoriale, quello italiano, che resta micro per scelte famigliari, conferisce sicuramente un connotato di unicità alla penisola, questa non può essere una scusa per non investire nella formazione dello staff, anche se è il figlio/a dei proprietari. Un approccio customer-centric non è una velleità teorica da manuali accademici ma un dovere per tutti.

La bilancia degli movimenti italiani resterà ancora a favore delle mete nazionali, più che nel passato p.p. (pre pandemia) perché ci siamo resi conto di quanto abbiamo sotto il nostro cielo e vorremo continuare ad esplorarlo. Le nostre vacanze assumeranno una connotazione più profonda e meno superficiale. Aumenterà la richiesta di esperienze; si, un po' come le mitiche “vacanze intelligenti” codificate dal film di Alberto Sordi, rinnovate . Vacanze con un senso, un sapore, un significato. Il tempo vacanza continuerà a sbriciolarsi come un biscotto al plasmon, seguendo l’evoluzione di una società a-sincrona dove il tempo lavoro continua a frammentarsi esso stesso, de-sincronizzandosi e de-territorializzandosi, dilagando nel contempo negli spazi privati e impastandosi con essi in una forma composita e inedita. Grande opportunità per una serie di territori.

L’Europa, scintillante e impareggiabile casa comune, cornucopia di diversità culture e risorse, riceveva, nei sondaggi antecedenti alla risoluzione del Recovery Fund, un voto massicciamente negativo, con il 60% degli Italiani propensi a considerare l’uscita dalla famiglia. Se il Recovery Fund toglie sicuramente vento alla vela dei sovranisti, va però notato che questo è arrivato in “zona cesarini”, e non è stata una reazione d’istinto e quindi di cuore, quando eravamo nel caos e nel terrore della pandemia, ma è stata una reazione di testa, arrivata a giochi chiusi, largamente dettata da calcoli di convenienza e dalla consapevolezza che l’assesto europeo si stava giocando la sua stessa sopravvivenza. Le persone non dimenticano. Non mi meraviglierei se registrassimo nelle prossime stagioni turistiche flessioni di arrivi italiani in Olanda e Austria.

Nella classifica delle conversazioni radical – chic, quelle dei centri storici, i soffitti alti, le travi a vista, si appanna il tema della meta esotica, con il suo classico pacchetto di corollari: volo- intercontinentale- interminabile, fiacca da profilassi anti malarica, faticoso recupero dal jet lag, foto ricordo con i ragazzini dalla faccia comunque annoiata. Rientro a casa con, inspiegabilmente, poco da raccontare. Ma se fossimo invece andati nel Sulcis ? Forse meglio, forse, 2021.

 

di Valentina Doorly, Senior Business Advisor e Futurista, settore Turismo & Ospitalità

mercoledì 29 luglio 2020